legge Mancino – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Fri, 13 Oct 2017 07:05:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Marcetta su Roma del 28 vietata, ma Forza Nuova: si farà https://www.micciacorta.it/2017/10/23808/ https://www.micciacorta.it/2017/10/23808/#respond Fri, 13 Oct 2017 07:05:45 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23808 Roma antifascista. Il leader Roberto Fiore conferma la manifestazione all’Eur contro lo ius soli e «gli stupri»

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ROMA. La marcetta su Roma il prossimo 28 ottobre, a 95 anni da quella che servì come forzatura a Mussolini per imporsi al governo e che dette avvio al Ventennio fascista, ci sarà. Il leader di Forza Nuova ha risposto ieri sera, dalla sua bacheca Facebook, al divieto imposto dal Viminale, ribadendo che la manifestazione resta confermata, anche senza autorizzazione della questura di Roma. LA RICHIESTA della piazza per la verità non era ancora arrivata ieri, quando il ministro dell’Interno Marco Minniti ha preventivamente dato disposizioni perché non fosse concessa alcuna autorizzazione. «Le dichiarazioni di Minniti dimostrano una volontà anti-storica e anti-italiana tipica di un governo sulla via del tramonto», ha risposto Roberto Fiore. Lo stesso Fiore, in una specie di auto-intervista postata sempre sulla sua bacheca Fb, spiega anche che in ogni caso la sfilata del 28, inizialmente convocata «per dire no allo ius soli e fermare gli stupri degli immigrati», non doveva essere letta come una protesta contro il titolare degli Interni. «Non è contro Minniti ma piuttosto contro Soros», precisava, intendendo il miliardario George Soros accusato dai neofascisti di finanziare le ong umanitarie che fanno soccorsi a mare di migranti nel Mediterraneo. FORZA NUOVA ha leggermente cambiato la motivazione della chiamata a raccolta. Prima aveva detto che non si trattava di una marcia «filofascista o nostalgica ma solo patriottica», ora, dopo il divieto, dice che sfilerà all’Eur «per la libertà d’espressione». L’appuntamento è per le 15, con partenza alle 16 da piazzale Pier Luigi Nervi, nel quartiere dell’Eur, costruito dal regime e ancora pieno di fasci littori e simboli fascisti, con recente scandalo della rivista più «cool» della Grande Mela, il New Yorker, che proponeva di abbatterli. I forzanuovisti sostengono di aver già organizzato una cinquantina di pullman da altre città, che dovrebbero convergere a Roma nella data prefissata, scimmiottando così la pagliacciata di Mussolini e dei suoi ras più sanguinari, che quasi un secolo fa utilizzarono i treni, quasi tutti fermati fuori dalla capitale. Tenuti fuori dal centro storico e dai palazzi del potere dove si stavano concludendo le manovre giolittiane per dare l’incarico di formazione del nuovo esecutivo a Benito Mussolini, i camerati si sfogarono sul quartiere rosso e operaio di San Lorenzo, messo a ferro e fuoco, dove i morti della resistenza furono almeno quattro. L’ANPI nazionale per il prossimo 28 ottobre rievocherà quei trascorsi con una lezione di storia nell’aula Giulio Cesare del Campidoglio alla quale parteciperà la prima cittadina Virginia Raggi insieme a esponenti di varie forze politiche. Mentre Pippo Civati di Possibile torna a chiedere lo scioglimento di Forza Nuova come organizzazione parafascista e quindi che viola «la Costituzione, la legge Scelba e la legge Mancino». Anche Emanuele Fiano, deputato Pd, padre del ddl, approvato finora in prima lettura alla Camera, che allarga le fattispecie punibili per il reato di apologia del fascismo, ha definito la marcia convocata da Forza Nuova «una provocazione, offensiva e pericolosa». LA SINDACA Raggi con un twitter aveva già dichiarato che la marcia «non può e non deve ripetersi». Nicola Fraoianni, segretario di Sinistra Italiana, dice di «prendere atto delle parole del ministro dell’Interno sulla possibile manifestazione neofascista del 28 ottobre a Roma» e aggiunge che il suo partito verificherà «se le parole di Minniti diventeranno atti concreti» . Non è ancora chiaro se singole sezioni romane dell’Anpi o gruppi antifà organizzeranno nei prossimi giorni una contro manifestazione. FONTE: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO

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Chioggia, “Chiudete il lido fascista” E la polizia denuncia il gestore della spiaggia https://www.micciacorta.it/2017/07/23515/ https://www.micciacorta.it/2017/07/23515/#respond Mon, 10 Jul 2017 08:40:50 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23515 Il vialetto di accesso al Punta Canna con i cartelli che inneggiano al fascismo e stabiliscono le regole del proprietario Gianni Scarpa, che ieri si è detto stupito per il clamore

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CHIOGGIA. Dai saluti romani e gli inni al regime, agli agenti della Digos tra gli ombrelloni. Dai comizi nostalgici e i cartelli con le immagini di Mussolini, alla polizia scientifica sull’arenile. È bufera sul caso di “Punta Canna”, la spiaggia fascista di Chioggia il cui titolare, Gianni Scarpa, esalta pubblicamente il Duce e fa propaganda in mezzo a centinaia di bagnanti del lido («qui vige il regime, la democrazia mi fa schifo, se non vi piace me ne frego!»). Dopo la denuncia di “Repubblica”, ieri questura e prefettura di Venezia si sono attivate sulla vicenda: Scarpa è stato denunciato per apologia di fascismo, la Procura della Repubblica di Venezia aprirà un fascicolo ed è probabile che all’imprenditore — su questo punto il pallino è in mano al Comune di Chioggia — verrà revocata la concessione della spiaggia. Ma andiamo con ordine. Ieri mattina il questore, Vito Danilo Gagliardi, che ha definito il caso «raccapricciante», ha inviato a “Playa Punta Canna” i poliziotti della Digos e della scientifica per verificare la situazione e capire da quanto tempo e con quali modalità va avanti la singolare “politicizzazione estremista” dello stabilimento balneare: un lido posto tra le ultime dune di Sottomarina, verso la foce del Brenta, frequentato ogni giorno da oltre 650 clienti. Gli agenti della questura hanno acquisito anche gli audio e le immagini pubblicate dal nostro giornale. In una registrazione si sente Scarpa che intrattiene i bagnanti con un discorso amplificato dalle casse in spiaggia: «A me la democrazia mi fa schifo... Io sono totalmente antidemocratico e sono per il regime. Ma non potendolo esercitare fuori da casa mia, lo esercito a casa mia. A casa mia si vive in totale regime... ». Poi, dopo un’intemerata contro Papa Francesco («lo rimandiamo a Buenos Aires con un ponte, visto che non vuole costruire i muri»), l’attacco ai tossicodipendenti («li sterminerei tutti”) e al «50% della popolazione mondiale che è merda e qui dentro non entra». Parole choc gridate in un luogo pubblico (la spiaggia è in concessione ma resta demaniale), un posto arredato con cartelli che esaltano la “legge del fucile”, l’“uso del manganello sui denti” e le “camere a gas”. «Storia sconcertante — commenta Noemi Di Segni, presidente delle comunità ebraiche italiane — Vi ringrazio per avere portato alla luce e denunciato questa vicenda, ma è preoccupante che lo debba fare il giornalismo e non le autorità, le istituzioni, la politica. Troppo spesso assenti. Dove sono, mi chiedo?». Torniamo a Scarpa. Con i suoi inni a Mussolini, le foto dei saluti romani e i “me ne frego”, con i suoi comizi balneari che incitano alla violenza e alla discriminazione, il titolare di “Punta Canna” sfida due leggi del nostro ordinamento: la legge Scelba (che vieta l’apologia di fascismo) e la legge Mancino (sull’odio e la discriminazione razziale). «Il caso Chioggia è uno scandalo sul quale chiederemo al governo di riferire in aula», attacca Lele Fiano, deputato Pd. La storia di “Punta Canna” ha suscitato indignazione sul web, nella politica (la presidente della Camera Laura Boldrini se ne è occupata personalmente) e tra le associazioni antifasciste. «È sconvolgente che ci sia stata tolleranza su quanto accadeva in un lido molto conosciuto e frequentato — dice Diego Collovini dell’Anpi veneto — Penso anche a chi ha concesso la spiaggia a questo signore». Le concessioni demaniali passano dal Comune. «Stiamo approfondendo per capire che cosa sia accaduto — assicura il vicesindaco di Chioggia, con delega al Demanio, Marco Veronese — Ci sono due temi: uno è quello della concessione, e ci siamo attivati. L’altro è penale: se è stato commesso un reato, va punito». Va giù duro il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni: «Porteremo la vicenda in Parlamento perché non è possibile che tutto sia avvenuto senza che nessuna autorità si sia accorta di nulla, e solo dopo l’inchiesta giornalistica di Repubblica qualcosa si sia mosso. Vogliamo che sia fatta chiarezza e che la concessione demaniale sia ritirata ». Interrogazioni urgenti al ministro degli Interni, Marco Minniti, sono annunciate anche da Antonio Misiani del Pd, che parla di «vergogna intollerabile » («la spiaggia va chiusa, la simbologia nazifascista non è folklore»), e dalla senatrice di Articolo 1 Lucrezia Ricchiuti («continuo a denunciare il riorganizzarsi di gruppi neonazifascisti, spero che il ministro questa volta si attivi»). Fonte: PAOLO BERIZZI, LA REPUBBLICA  

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Il ritorno dell’onda nera. Quei saluti romani da Dongo a Cremona https://www.micciacorta.it/2017/05/23264/ https://www.micciacorta.it/2017/05/23264/#respond Mon, 01 May 2017 07:31:11 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23264 Braccia tese contro il 25 aprile e per ricordare il duce. A Milano pronte le denunce della Prefettura

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Casa Pound

MILANO. È un’onda nera, quella che nell’anniversario della morte di Mussolini ha allungato un’ombra sull’Italia. Sempre di più. Da Milano, dove la prefetta promette denunce e dove le mille braccia tese in un saluto romano collettivo dei militanti di Lealtà Azione e CasaPound davanti alle tombe dei repubblichini al Campo 10 del cimitero Maggiore hanno assunto anche il sapore amaro della provocazione diretta alle istituzioni che il 25 Aprile avevano vietato quella stessa manifestazione. A Cremona, dove altri “no” sono stati aggirati e altre braccia si sono alzate per commemorare il segretario del partito fascista Roberto Farinacci, tra bandiere della Repubblica di Salò e le note di “Giovinezza”. Da Dongo, nel Comasco, dove il duce fu catturato, e dove solo l’intervento delle forze dell’ordine ha evitato che i nostalgici con corone d’alloro e fiori per i gerarchi fucilati si scontrassero con l’Associazione locale dei partigiani.
Eccola, la geografia nera di un Paese che sembra non riuscire ad archiviare il passato. Una mappa che ha toccato anche Roma con lo striscione appeso da Forza Nuova al Colosseo per gridare “Viva il Duce”. E Vicenza, con il necrologio con tanto di foto di Mussolini apparso per annunciare una manifestazione e un rosario da far recitare a un sacerdote espulso dalla Chiesa per aver negato l’esistenza delle camere a gas naziste. Troppi sfregi. Tanto che la presidente della Camera Laura Boldrini invita il Parlamento a procedere sulla legge in discussione per contrastare con più incisività la propaganda neofascista. «Lo Stato non si faccia deridere dai nostalgici — ha detto — Le manifestazioni fasciste in Italia non possono essere consentite: né il 25 Aprile, né in qualsiasi altro giorno dell’anno. I raduni con tanto di saluti romani di Milano e Cremona rappresentano un affronto alla democrazia nata dalla Resistenza». Anche il presidente milanese dell’Anpi, Roberto Cenati, denuncia «un aumento di rigurgiti fascisti in aperto contrasto con i principi della Costituzione e delle leggi Scelba e Mancino. Il quadro è preoccupante ed è inaccettabile che a 72 anni dalla Liberazione si ripresentino questi oltraggi».
A Milano, dove la tensione si respira da giorni, i mille neofascisti del saluto romano sono stati il triplo dei 300 che avevano messo in scena lo stesso rito un anno fa. Perché quello del cimitero Maggiore è un film che si ripete da tempo. E che, questo 25 Aprile, il sindaco Beppe Sala e la prefetta Luciana Lamorgese hanno cercato di fermare. Il blitz è avvenuto, con quattro giorni di ritardo, incrociandosi con un un’altra data simbolo dell’estrema destra: il ricordo di Sergio Ramelli, il militante del Fronte della Gioventù morto negli anni Settanta dopo un’aggressione da parte di esponenti di Avanguardia Operaia, del repubblichino Carlo Borsani, del consigliere provinciale missino Carlo Pedenovi. Proprio Sala aveva tentato un gesto di «pacificazione », presentandosi alla cerimonia di commemorazione di Ramelli e Pedenovi e deponendo una corona di fiori. Ma di fronte alla parata nera del Campo 10, ha pronunciato parole nette. Perché un conto, ha detto, è la «memoria », un altro «l’apologia di fascismo ». Per questo, adesso, il sindaco invoca denunce delle «autorità competenti». Ma anche «una ferma condanna da parte di tutte le forze politiche. Milano non merita queste offese». Le prime, ha annunciato la prefetta, arriveranno. Anche perché, ha spiegato Lamorgese, quella al cimitero Maggiore è stata «una manifestazione clandestina». La questura sta indagando per identificare chi ha fatto il saluto romano e un fascicolo sarà consegnato «già domani» al procuratore aggiunto Alberto Nobili.
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Negazionismo la legge che fa litigare gli storici https://www.micciacorta.it/2016/06/negazionismo-la-legge-litigare-gli-storici/ https://www.micciacorta.it/2016/06/negazionismo-la-legge-litigare-gli-storici/#respond Fri, 10 Jun 2016 14:55:25 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22018 Dire che la Shoah o un altro genocidio non è avvenuto è reato Ma può un tribunale giudicare il passato? Le posizioni contrapposte di Guido Crainz e Anna Foa

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Shoah

Chi nega la Shoah pubblicamente può essere punito con il carcere. Il negazionismo è diventato reato. Dopo nove anni di discussioni, di svariati rinvii tra i due rami del Parlamento, di vibranti appelli firmati dagli storici contrari, la Camera ha definitivamente approvato la proposta di legge che punisce il negazionismo con una pena da due a sei anni di reclusione. Sotto il profilo giuridico, si tratta di una modifica apportata alla legge Mancino (legge 654 del 1975) che già puniva «la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale»: la modifica consiste nell’inasprire la pena nel caso in cui la propaganda sia fondata sul negazionismo, che diventa così un’aggravante. Ma non è chiamata in causa solo la negazione della Shoah. Pene più aspre anche per chi diffonda ideologie razziste fondate sulla «negazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra». E qui toccherà ai tribunali dirimere questioni su cui la stessa comunità scientifica non ha mai trovato un accordo. Cosa distingue uno “sterminio” dal “quasi sterminio”? A che punto scatta la “nozione di genocidio”? «Mi fa orrore pensare che questo tipo di discussioni possa finire in tribunale», ha dichiarato in passato Carlo Ginzburg nel contestare l’opportunità di una legge. E anche i giuristi si interrogano sull’opportunità del provvedimento quando la Corte di Strasburgo specie sui crimini diversi dall’Olocausto è sempre più favorevole alla libertà di espressione, contro i paletti posti dai diversi paesi. «Tutta la storia del Novecento rischia di finire in tribunale», sostiene Marcello Flores, direttore dell’Istituto storico della Resistenza. «E secondo quali criteri i giudici decideranno cos’è un crimine contro l’umanità e cosa non lo è?». Si chiude così una storia infinita cominciata nel 2007, quando l’allora ministro della Giustizia Mastella avanza una proposta di legge per uniformare l’Italia ad altri ordinamenti europei (tra gli altri Germania, Austria, Belgio, Francia e Spagna). Quasi unanime la contrarietà manifestata dagli storici italiani tanto da indurre Palazzo Chigi a frenare sul dispositivo: il negazionismo è un fenomeno preoccupante, sostennero gli studiosi, ma si combatte con strumenti culturali, non penali. Sei anni più tardi, nel 2013, il Pd ripropone l’opportunità della legge. L’iniziativa appare legata a una suggestione emotiva, la tempestosa sepoltura dell’aguzzino Priebke che coincide con il settantesimo anniversario della razzia del Ghetto. Ancora una volta, la quasi totalità degli storici denuncia i pericoli del provvedimento, tra gli altri «la trasformazione dei processi in cassa di risonanza per tesi ignobili». La legge fu messa da parte ma non per molto. E anche tra gli studiosi non sono mancate voci favorevoli alla necessità di una iniziativa legislativa, «che certo non risolve immediatamente il problema, ma può favorire una presa di coscienza da parte dei più giovani», ha sostenuto Anna Rossi-Doria. Ora l’ultima definitiva puntata, con l’approvazione della legge fortemente voluta dalla comunità ebraica. A festeggiare è soprattutto il presidente dell’Ucei Renzo Gattegna, che plaude a «un fondamentale strumento nella lotta ai professionisti della menzogna ». Soltanto il tempo potrà dire se è stata solo un’illusione.   *********** PERCHÉ NO Le idee e la ricerca non devono essere censurate ANNA FOA Ecosì, alla fine, la legge sul negazionismo è stata definitivamente approvata dal Parlamento italiano ed è diventata legge anche in Italia. Ero, e continuo ad esserlo, tra quanti ritenevano questa legge un errore. Un errore sotto due diversi aspetti, quello della ricerca storica e della libertà di pensiero e quello dell’effettivo risultato che una legge del genere può portare. Cominciamo dal primo di questi due aspetti, quello che può sembrare meno importante, a torto perché implica una deroga ai principi fondamentali del nostro assetto politico e culturale. Con questa legge, infatti, si passa oltre quelli che erano i limiti della legge Mancino, legge che non era una legge su reati d’opinione, contrariamente a quanto sostenevano i suoi detrattori, che puniva chi diffondeva in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, o incitava a commettere atti di discriminazione o violenze per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Ora, la modifica inserita per colpire il negazionismo introduce forti aggravanti ove questi atti di razzismo si fondino «in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra». Si introduce così una forte ipoteca da parte dei tribunali e della legge sulla ricerca storica e sulla libertà di scrivere e pubblicare, una sorta di via aperta verso una verità decisa dall’alto. Infatti, chi stabilirà che cosa rientra nei reati previsti? Chi deciderà se uno scritto, una ricerca, un libro di storia si basano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o degli altri genocidi? Questo è un salto nel vuoto molto grave. È ancora più grave, io credo, proprio perché la legge è volta a difendere la memoria della Shoah e non invece il razzismo o l’antisemitismo. Si fonda cioè sulle buone intenzioni. Ma come la mettiamo con la legge polacca che commina la galera a chi offenda nei suoi scritti l’onore della Nazione, reato per cui è stato nel dicembre incriminato lo storico Jan Tomasz Gross, autore di ricerche importanti sulla Shoah e l’antisemitismo in Polonia? Vi sembra che si tratti davvero di misure di natura tanto diversa? Per quanto riguarda il risultato di questa legge, chi l’ha sostenuta mira, credo, più che altro a un effetto deterrente. Non mi immagino infatti che ci saranno in Italia processi importanti, anche perché i negazionisti italiani sono veramente personaggi senza rilievo, meri antisemiti che si ricoprono di dignità storica e che dovrebbero soltanto essere lasciati nell’oscurità dove ora vegetano. Invece è possibile che con questa legge assumano un rilievo che non meritano, diventino martiri della libertà delle idee, dimentichino di essere i figli di chi i libri li bruciava in piazza per diventare tutti degli eroi della libertà. Mi auguro proprio che non vorremo dar loro tutto questo spazio. Più o meno, questo è il risultato che le leggi contro il negazionismo hanno avuto nei paesi d’Europa in cui sono state varate: una crescita del negazionismo e dell’antisemitismo, in tutte le sue sfaccettature. Il negazionismo non si combatte nelle aule dei tribunali, ma nella ricerca, nella scuola, nell’insegnamento. Nelle aule dei tribunali si processano i perpetratori, non i loro esangui epigoni a tavolino, a meno che non si voglia diffonderne le idee e far loro da cassa di risonanza. La Shoah è l’evento storico più documentato della storia. Da dove abbiamo assunto l’idea di aver bisogno di leggi per proteggerne la memoria, invece che di docenti che ne insegnino le vicende, che riescano a creare negli studenti passione e interesse? Si è preteso di sostituire lo studio con le celebrazioni, ora si pretende di sostituire alla ricerca storica e all’insegnamento la censura e le aule dei tribunali. Facciamo attenzione almeno ad una cosa: non deleghiamo a questa legge, che ormai esiste e con cui bisognerà fare i conti, l’insegnamento del Novecento, lo studio della storia del nazismo, dei genocidi, delle violenze di massa. Continuiamo ad insegnarli, a studiarli, a trasmetterli. Continuiamo ad insegnare, insomma, anche se pensiamo di avere un’aula di tribunale che protegge le nostre ricerche.   PERCHÉ SÌ Non sono opinioni ma propaganda per nuovi crimini GUIDO CRAINZ Ho seguito con disagio il dibattito sollevato dalla legge sul negazionismo, con una crescente difficoltà a riconoscermi nell’opinione quasi unanimemente ostile degli storici (ha fatto eccezione Anna Rossi-Doria con un importante contributo ad un convegno su questo tema, e nell’intervista che le ha fatto di recente Simonetta Fiori per questo giornale). Il disagio è inevitabile, credo: è difficile considerare sostanzialmente positiva una legge giudicata da amici e colleghi come liberticida. È difficile resistere ad appelli contro di essa che hanno visto il confluire di veri maestri della storiografia e di giovani e appassionati studiosi. Eppure una legge contro la negazione della Shoah a me sembra fondata, mentre la sua estensione ad altri casi mi lascia enormi dubbi. Sono molte le argomentazioni messe in campo contro la legge in sè: contro una sorta di “verità di Stato” e contro norme volte a colpire la libertà di ricerca e di opinione (e sia pure l’opinione più aberrante). In più forme si è affermato che la battaglia per la verità storica si fa nelle università e nei luoghi di cultura, non nei tribunali; che le “verità ufficiali” sono proprie dei regimi totalitari; e che la legge può essere sin dannosa, creando la convinzione che il problema sia stato risolto una volta per tutte e possa quindi essere accantonato e rimosso. A me sembra che queste e altre argomentazioni, non prive di ragioni, rischino però di eludere un nodo di fondo: stiamo parlando di libero pensiero o di falsificazioni colossali, intrise di evidenti finalità politiche e “pratiche”? È “libertà di espressione” accusare le vittime di aver “inventato il mito” delle camere a gas e di essere dei miserabili mentitori? È possibile ignorare i nessi evidenti fra il negazionismo e il deliberato alimentare umori e pulsioni antisemite? O rimuovere il fatto che nei casi più radicali è l’esistenza stessa dello Stato di Israele che si vuole colpire, rianimando i peggiori demoni della storia contemporanea? Su questo nodo centrale a me sembra difficile nutrire dubbi, e non occorre neppure ricordare che il grande convegno negazionista di dieci anni fa non si svolse in una sede scientifica ma alla corte di Ahmadinejad, a Teheran: quell’Ahmadinejad che univa la denuncia della “menzogna sulla shoah” alla volontà di annientare lo Stato di Israele (furono molto diverse le logiche che portarono all’utilizzo di un falso colossale ed evidente come i Protocolli dei Savi Anziani di Sion?). Per questo mi sono faticosamente convinto che è giusto punire per legge il negazionismo sulla Shoah (e mi sembra invece sbagliata una estensione del reato): per l’unicità della tragedia e per la connessione diretta fra il negazionismo e l’intento di dare nuovo e criminale impulso all’antisemitismo. Certo, hanno ragione gli oppositori della legge, è arduo e pericoloso tracciare il confine fra l’esposizione di un’idea e l’incitamento all’odio o la promozione di un reato, ma il negazionismo sulla Shoah mi sembra averlo abbondantemente varcato. Negarla, insomma, non mi appare l’espressione di un’opinione ma la perpetuazione di quel crimine in altre forme, e la possibile incubazione di altri crimini. E i crimini non si combattono solo con la diffusione delle idee giuste e dei principi di legalità: si combattono anche con le sanzioni. Si combattono introducendo in modo formale un profilo di legittimità e di illegittimità, e questo la legge mi sembra fare (in modo imperfetto e talora discutibile, ma non vorrei che i limiti oscurassero la sostanza). Lo penso e lo scrivo con il pudore sempre necessario in questi casi ma con l’assoluta convinzione che all’antisemitismo — di destra e di sinistra — non possano essere concessi varchi. Mai e in nessun luogo, a partire da quelli dell’educazione (e senza dimenticare le vergogne che circolano in internet). Certo, una legge non risolve il problema: separa però ciò che è lecito da ciò che non lo è; e non chiude ma apre semmai ulteriori vie al diffondersi di prese di coscienza collettive. C’è da interrogarsi piuttosto sulle chiusure reciproche che vi sono state, a me sembra, fra dibattito parlamentare e dibattito degli storici: non è stato comunque un buon segno.

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