Marcello Musto – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Wed, 28 Jun 2017 16:32:09 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Marx. Al di fuori delle proprie catene per guadagnare il mondo https://www.micciacorta.it/2017/06/23465/ https://www.micciacorta.it/2017/06/23465/#respond Wed, 28 Jun 2017 16:32:09 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23465 KARL MARX. A Toronto, un convegno per i 150 anni del primo libro de «Il capitale» di Marx

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Al Convegno di Toronto, alla York University, nell’occasione del Convegno per i 150 anni della pubblicazione del I libro de Il capitale di Marx (1867), organizzato da Marcello Musto, molti relatori hanno sentito il bisogno di evocare Dante e il suo Inferno. Lo hanno fatto William Clair Roberts della McGill University di Montreal, peraltro autore di Marx’s Inferno: The Political Theory of Capital, Ursula Huws, della Herfordshire, Gran Bretagna, che ha immaginato Marx come un novello Virgilio, e Mauro Buccheri, della York University. Immaginare il capitalismo come un inferno dantesco in un ambiente come quello canadese della York University, dove è facile incontrare per strada anatre, procioni, scoiattoli e dove gli studenti di tutte le etnie si muovono con gli zaini e gli auricolari, educati, ben vestiti, ordinati e terribilmente soli con se stessi e con il loro mondo globalizzato tutto dentro lo smartphone, suscita una forte sensazione di contrasto. Questi stessi studenti hanno partecipato in massa al convegno. DOV’È L’INFERNO? L’ho trovato qualche giorno dopo a Times Square a New York, un luogo dove i racconti che la Grande Mela sa fare di se stessa la ritrovi nei volti della folla, tra una limousine e i sacchi della spazzatura, tra grattacieli e un traffico rumorosissimo. Di quest’inferno e di altri simili si è parlato alla quieta York, dove le analisi su e a partire dal Capitale di Marx si sono succedute fino a una splendida conclusione di Immanuel Wallerstein. La maggior parte dei relatori ha provato ad analizzare, o meglio, a rivisitare oggi, molti dei temi che rappresentano i punti decisivi della teoria marxiana del modo di produzione capitalistico. Forte attualizzazione di Marx senza tuttavia eccedere in facili nuovismi. Se la cosiddetta globalizzazione, con la conseguente crisi del 2008 (da cui in parte, ma solo in parte, Usa e Canada sono forse usciti, l’Europa no), crisi ovviamente evocata da una gran parte dei relatori, si è affermata, riportando la parola capitalismo al posto del più generico e ambiguo termine modernità, ciò è accaduto perché il sistema capitalistico ha portato alle estreme conseguenze, accrescendolo in modo esponenziale, quel che c’era già nel XIX secolo, quando Marx parlava di mercato mondiale. Del resto, il termine globalizzazione rievocò maldestramente la metafora della mano invisibile di Adam Smith, quella stessa metafora che fu oggetto della critica di Marx. Niente di nuovo sotto il sole? No. È solo che l’esigenza generale emersa in questo convegno è di superare annacquamenti analitici di una riflessione sul tempo storico che perde il senso critico e si ammorbidisce in filosofie vaghe che ammiccano al potere politico. Come ha osservato Moishe Postone dell’Università di Chicago: «il termine “capitalismo” è stato reintrodotto sia in più ampie discussioni accademiche che in quelle intellettuali come una concezione che ora appare più analiticamente adeguata di «modernità», che è stata dominante nei decenni postbellici». Postone, come altri, prende le distanze da opzioni culturaliste e genericizzanti per richiamarsi alla specificità di una forma storica come quella capitalistica che tuttavia possiede il potere della globalizzazione. UN ASPETTO della globalizzazione è la fluidità con cui si ricostituiscono classi, razze, etnie. Questo è uno dei problemi più complessi e difficili da affrontare sul piano politico, perché mentre il capitalismo, di crisi in crisi, procede nel suo incessante dominio, la dislocazione delle classi e di donne, uomini e bambini che vengono sfruttati in ogni angolo del mondo, si muove continuamente e si nasconde dietro la fiction estetica di ciò che Marx disse della società capitalistica, che si presentava appunto come un immenso ammasso di merci. Merci non accatastate nelle periferie, ma oggi nascoste nei containers e offerte feticisticamente in forma di spettacolo non stop ai consumatori nelle mall, queste grandi caverne di Platone del XIX secolo dove non è dato al prigioniero di liberarsi. Come organizzare i lavoratori, essendo essi oggi in processi di produzione disseminati nel mondo anche per uno stesso prodotto? Come riaprire il tema della cooperazione, modo con cui gli uomini, come afferma Marx, sviluppano la facoltà della specie umana e, nello stesso tempo, mezzo del peggiore sfruttamento dispotico? I discorsi sulla sparizione della classe operaia hanno l’aria di una resa connivente. UN CONTRIBUTO IMPORTANTE è stato sicuramente quello di John Bellamy Foster sul tema ecologico e l’interpretazione di Marx e del Capitale in tale contesto. Egli ha mostrato come sia possibile leggere il Capitale come una critica ecologica dell’economia politica. Silvia Federici ha discusso la concezione marxiana del lavoro riproduttivo, che ha anticipato l’attuale dispiegarsi delle relazioni di genere con il capitalismo storico, ma ha anche criticato Marx perché non vide il processo di formazione della famiglia del proletariato caratterizzato dallo sfruttamento delle donne e dei bambini e l’introduzione del salario di famiglia. Forse, per segnalare l’attualità di Marx vale la pena citare questo passo del Capitale: «L’industria moderna non considera e non tratta mai come definitiva la forma di un processo di produzione. Quindi la sua base tecnica è rivoluzionaria, mentre la base di tutti gli altri modi di produzione passata era sostanzialmente conservatrice. Con le macchine, con i processi chimici e con altri metodi essa sovverte costantemente, assieme alla base tecnica della produzione, le funzioni degli operai e le combinazioni sociali del processo lavorativo. Così essa rivoluziona con altrettanta costanza la divisione del lavoro entro la società e getta incessantemente masse di capitale e masse di operai da una branca della produzione nell’altra. Quindi la natura della grande industria porta con sé variazione del lavoro, fluidità delle funzioni, mobilità dell’operaio in tutti i sensi». FONTE: Alfonso M. Iacono, IL MANIFESTO

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Il work in progress di una teoria https://www.micciacorta.it/2016/10/work-progress-teoria/ https://www.micciacorta.it/2016/10/work-progress-teoria/#respond Wed, 12 Oct 2016 09:26:18 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22537 «I Grundrisse di Karl Marx. I lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 150 anni dopo», a cura di Marcello Musto, edizioni Ets

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Marx

In quel grande cantiere che è l’opera di Marx, i Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (ai quali ci si riferisce di solito con la prima parola del titolo tedesco, Grundrisse) occupano una posizione davvero molto peculiare. Oggi per chiarire il significato di questo testo, i suoi temi principali e, soprattutto, la storia della sua fortuna, possiamo servirci di un corposo volume curato da Marcello Musto (I Grundrisse di Karl Marx. I Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 150 anni dopo, Ets) dove le questioni e le vicende di quest’opera marxiana sono ripercorse da molti e diversi punti di vista. I Grundrisse sono un’opera importante e singolare per diverse ragioni. La principale è che essi costituiscono la prima esposizione del sistema marxiano della critica dell’economia politica. Come è noto, Marx scrisse e riscrisse più volte quello che poi sarebbe diventato Il Capitale. La prima edizione di questo testo, che uscì nel 1867, fu preceduta da un lungo lavoro preparatorio, di cui i Grundrisse, scritti a Londra tra il 1857 e il 1858, sono la prima e decisiva tappa; e fu seguita da una serie di rielaborazioni, alle quali Marx si dedicò per diversi anni della sua vita. Il primo libro del Capitale fu da lui rimaneggiato nelle edizioni che seguirono alla prima, mentre il secondo e il terzo libro rimasero allo stato di abbozzo, e furono sistemati e completati solo da Engels dopo la morte dell’amico. La critica marxiana dell’economia è dunque un gigantesco work in progress, un lavoro non finito. E i Grundrisse – primo tentativo di esposizione sistematica della teoria – ci consentono proprio per questo di osservare molto da vicino questioni decisive e problemi essenziali, che nelle opere più compiute talvolta rimangono sotto traccia. Ma c’è almeno un’altra ragione che rende i Grundrisse un testo così affascinante: ed è il fatto che, nei Lineamenti molto più che nel Capitale, il modo marxiano di esposizione segue assai da vicino il modello argomentativo che era stato sviluppato da Hegel, cioè si sforza di presentare i contenuti secondo uno svolgimento dialettico, dove ogni categoria economica viene sviluppata attraverso l’analisi delle contraddizioni di quelle che la precedono. Questo è un punto fondamentale che implica diverse conseguenze. L’hegelismo che li pervade fa dei Grundrisse un testo destinato ad essere molto apprezzato dai filosofi; per il linguaggio e il modo di argomentare, infatti, è molto più vicino alla loro sensibilità di quanto non lo sia il Capitale. Un interessante interprete francese, Henri Denis, sostiene non senza qualche buona ragione (anche se forse radicalizza un po’ troppo la sua tesi) che Marx è costantemente combattuto tra Hegel e Ricardo e che, mentre nei Grundrisse prevale il primo, nel Capitale è il secondo ad avere la meglio. Molti interpreti marxisti non condividono questa tesi. Ma non ci sono dubbi che la fortuna dei Grundrisse sia stata anche legata alla affascinante dialettica hegelianizzante cui Marx dà vita in quelle pagine. Nel volume curato da Musto, le vicende legata alla diffusione e alle traduzioni dei Grundrisse sono ripercorse con una ricchezza di informazione e di analisi che non è dato trovare altrove. Venti capitoli scritti da altrettanti studiosi (per l’Italia c’è Mario Tronti) sono consacrati alla disseminazione dei Grundrisse su scala planetaria, dall’Europa, all’Asia, all’America latina. È una storia molto interessante. Pubblicati per la prima volta a Mosca nel 1939-1941, i Grundrisse cominciarono a entrare in circolo nella cultura europea diversi anni dopo, con l’edizione tedesco-orientale del 1953. Ma si trattava ancora di un testo accessibile a una ristretta cerchia di studiosi. Perché se ne avesse una conoscenza più ampia, si sarebbero dovute attendere le traduzioni nelle principali lingue europee, che erano ancora di là da venire. Ciò che è interessante ricordare, però, è che dai Grundrisse vennero abbastanza presto estrapolati alcuni blocchi, che furono presi quasi come dei testi a sé. A parte la «Introduzione» relativa al metodo dell’economia politica, che era stata pubblicata da Kautsky già nel 1903, due soprattutto furono i frammenti dei Grundrisse che attirarono l’attenzione. In primo luogo quello dedicato alle Forme che precedono la produzione capitalistica, pubblicato in Italia nel 1956 e in Inghilterra nel 1964, con la prefazione di Hobsbawm: un testo dove si poteva trovare una versione del materialismo storico molto diversa da quella canonica. Un altro brano che fece epoca fu il cosiddetto Frammento sulle macchine, che, come ricorda Tronti nel suo saggio, fu pubblicato nel 1964 da Raniero Panzieri sui «Quaderni rossi», nella traduzione di Renato Solmi. Un testo eccezionale e profetico, dove Marx preconizzava l’automazione della produzione, il superamento del lavoro materiale come base della ricchezza e la centralità del general intellect. Il Frammento è stato uno dei testi decisivi per l’operaismo italiano. Ma è solo verso la fine degli anni 60 che i Grundrisse vengono finalmente letti nella loro interezza: in Italia nella traduzione di Enzo Grillo, che esce presso la Nuova Italia in due volumi, nel 1968 e nel 1970. In Francia vengono pubblicati nel 1967-68, ma un’edizione più affidabile arriva solo nel 1980 (come spiega nel suo contributo André Tosel). A seguire vennero tante altre edizioni in tutto il mondo, sulle quali il volume curato da Musto esaurientemente ci informa. Ma il volume non è solo una storia della fortuna o degli effetti. Anzi, nella prima parte troviamo diverse analisi dedicate ai temi più rilevanti del testo marxiano, dovute a studiosi di alto profilo internazionale. Non li possiamo citare tutti, ma ricordiamo le riflessioni di Terrell Carver sull’alienazione, quelle di Enrique Dussel sul plusvalore, quelle di Ellen Meiksins Wood sul materialismo storico, di Iring Fetscher sulla società post-capitalistica; e per finire il testo di Moishe Postone che riassume la sua originale interpretazione del marxismo centrata sulla questione del governo del tempo. Nel complesso, si tratta di un volume ricchissimo, frutto di un lavoro prezioso. Se un dubbio si può sollevare, è solo questo: tra tante analisi interessanti, sono poche quelle che mettono a fuoco difficoltà, aporie o punti deboli del testo marxiano. E invece anche questo è necessario, se con l’opera del pensatore di Treviri si vuole intrattenere un rapporto veramente critico. SEGUI SUL MANIFESTO

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