movinento del 77 – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Mon, 05 Dec 2016 08:42:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 77. Un libro di storia sul movimento https://www.micciacorta.it/2016/12/22749/ https://www.micciacorta.it/2016/12/22749/#respond Mon, 05 Dec 2016 08:42:57 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22749 Saggi. Il movimento del 1977 in italia» di Luca Falciola per Carocci editore

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Un libro importante e complesso quello di Luca Falciola, Il movimento del 1977 in Italia (Carocci, pp. 270, euro 33). Siamo lontani anni luce dalle ricostruzioni velate di nostalgica memoria, come dai giudizi schematici che assimilano quel movimento alla lotta armata, il tutto racchiuso (e liquidato) nella definizione «anni di piombo». Quello di Falciola è invece un libro di storia: non un libro che narra la storia del movimento, ma che ricostruisce la cornice economica, sociale, politica e culturale di quegli anni. Un libro che, insieme ad altri saggi dello stesso autore e di studiosi/e di generazioni non coinvolte in quelle vicende, offre un approccio libero dai vincoli del passato. L’interesse dal punto di vista storiografico è quello per un momento di passaggio e di rottura, la fine degli anni ’70, decisivo nella vicenda nazionale. In questo contesto «il movimento del ’77 si profila come un’ultima avanguardia che resistette – o provò a resistere – ai processi di depoliticizzazione e di privatizzazione già avviati nella società e persino in una parte del mondo giovanile di sinistra. COME IN TUTTI i buoni libri di storia, l’autore fa un largo ricorso alle fonti primarie: non solo quelle prodotte dal movimento, ma anche le carte di polizia ormai accessibili nell’Archivio centrale dello Stato e l’archivio del Pci. Proprio riguardo allo scontro tra il Pci e il movimento, inevitabilmente centrale in qualsiasi lettura di quell’anno, Falciola segnala in maniera convincente lo scarto tra un’analisi sociologica, antropologica e culturale sofisticata, e le soluzioni che il Pci faceva rigidamente discendere dai propri valori fondanti e dalle proprie parole d’ordine, ovvero l’esortazione alla partecipazione politica, il senso di responsabilità istituzionale e l’etica del lavoro. Ben curate sono le pagine del libro sulla cultura del movimento, tema normalmente affrontato limitandosi all’area del trasversalismo bolognese e alle radio libere. Falciola, invece, analizza a fondo l’influenza esercitata dalle riflessioni sulla «microfisica del potere» di Foucault, sulle «macchine desideranti» di Deleuze e sui «bisogni» della Heller. L’autore coglie in maniera intelligente l’ambiguità di queste influenze che pur teorizzando una soluzione collettiva dei bisogni e dei desideri dell’individuo erano interne al cambiamento in atto che si allontanava dai principi del solidarismo e che poi, dopo la sconfitta politica del movimento, proseguirà con il trionfo dell’individualismo. CENTRALE NEL LIBRO è, inevitabilmente, il discorso sulla violenza. Falciola è lontano dalle ipotesi che schiacciano totalmente le vicende del movimento su quelle della lotta armata, anche se la riduzione del movimento quasi esclusivamente alle vicende dell’Autonomia operaia organizzata porta l’autore a citare spesso le tesi di studiosi, come ad esempio Angelo Ventura, che vanno in tutt’altra direzione. Fortunatamente nella sua analisi sulla violenza politica l’autore ci risparmia citazioni di volantini e riviste che dovrebbero individuare antiche responsabilità morali risalenti almeno a Raniero Panzieri se non prima. Caso mai a volte le sue riflessioni sono sorprendenti al contrario, come quando afferma che nel 1977 «la violenza fece prepotentemente irruzione nel discorso politico e si diffuse in modo pervasivo tra i militanti». Ora, se è un’ottima scelta quella di non avventurarsi nella ricerca di «grandi vecchi», appare un po’ bizzarro mettere tra parentesi bombe, stragi e strategia della tensione, lo scontro quotidiano fra l’estrema sinistra e i neofascisti e la gestione della piazza, sia da parte dei movimenti che delle forze di polizia. UN’ULTIMA OSSERVAZIONE riguarda lo stile del libro. Falciola ritiene che uno dei limiti della narrazione sul ’77 sia «un eccesso di estetica», riferendosi all’uso di un linguaggio a volte tipico dello stile narrativo di quegli anni: osservazione corretta. Basta però ricordarsi che la scelta del linguaggio non è mai una scelta neutra: basta leggere le pagine del libro che elencano le cause della crisi economica, oppure la ricostruzione degli avvenimenti più drammatici di quell’anno. SEGUI SUL MANIFESTO

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