no tav – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Fri, 18 Aug 2023 07:20:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Movimenti. Nicoletta Dosio: «Il TAV non passerà, noi saremo sempre qui» https://www.micciacorta.it/2023/08/movimenti-nicoletta-dosio-il-tav-non-passera-noi-saremo-sempre-qui/ https://www.micciacorta.it/2023/08/movimenti-nicoletta-dosio-il-tav-non-passera-noi-saremo-sempre-qui/#respond Fri, 18 Aug 2023 07:20:46 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26661 Dall’inizio nel movimento, condannata, detenuta, prof: «La mia Val di Susa tradita è terra di lotte. In carcere mai stata sola: lì nessuno è potente, ci si unisce per umanità come nei nostri presìdi»

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Dall’inizio nel movimento, condannata, detenuta, prof: «La mia Val di Susa tradita è terra di lotte. In carcere mai stata sola: lì nessuno è potente, ci si unisce per umanità come nei nostri presìdi»   Nicoletta Dosio, la sua storia e quella del movimento No Tav è ispirazione per tantissime persone che si considerano di sinistra. Lei a questa parola oggi quale significato dà? Una parola che uso sempre meno volentieri perché la ritengo vittima del male transgenico dell’opportunismo, metafora di rovinose ipocrisie che ne hanno annullato il significato originario: quello dell’opposizione al sistema, che entrava nel palazzo del potere per portare le voci degli ultimi e scardinare le blindature. Io continuo ad essere affezionata a quella sua antica valenza che ben rappresentava la visione del mondo dei miei vecchi, in parte comunisti e in parte socialisti e comunque rivoluzionari. Ormai dire sinistra significa dire poco, a volte addirittura diventa un equivoco; io continuo a dire lotta, rivoluzione nel senso di cambiamento radicale della società e del rapporto con la natura e con il mondo. Purtroppo la cosiddetta sinistra ha smarrito quello che poteva significare nel tempo e l’abbiamo visto sulla nostra pelle, nel momento in cui in Parlamento e al governo è entrato chi si diceva di sinistra, ma ha cominciato a fare politiche di destra. Un esempio? Da destra a sinistra c’ è un voto unanime per le politiche di guerra, le privatizzazioni, per le le grandi male opere di cui il Tav è elemento emblematico. Sono politiche guerrafondaie infarcite di slogan che dicono “libertà” e “democrazia” per praticare l’opposto. Ma non sono le parole che contano, contano i fatti. Io quei fatti li vedo in una lotta che riparte dal basso, senza deleghe, senza mediazioni né volontà di compromessi. La cattiva politica crea disaffezione alla politica, alla partecipazione popolare. E’ sulla sfiducia di un popolo tradito e disorientato che avanzano qualunquismo e fascismo. Tu hai sempre vissuto in Val di Susa. Cosa connota questa valle e cosa l’ha portata a una lotta così lunga – siamo a 32 anni – senza mai scendere a compromessi? Sono nata nella parte bassa della valle, quasi nella cintura torinese, ad Alpignano, e la mia famiglia è “meticcia”: papà piemontese e mamma emiliana, di Reggio Emilia, emigrata a 16 anni in Piemonte per trovare lavoro alla fabbrica Philips delle lampadine. Era la maggiore di cinque fratelli, una famiglia poverissima e perseguitata in quanto mio nonno era un comunista che si rifiutò sempre di prendere la tessera del Fascio. Era un povero contadino e lavorava quando qualcuno gli dava lavoro, precariamente e sempre a rischio di essere arrestato (in occasione di ricorrenze del regime scattavano immancabilmente anche per lui gli arresti preventivi). Quindi provengo da una lunga storia di resistenza. Mio padre era invece di famiglia valsusina, operaia, di tradizioni socialiste e libertarie. Questa è l’esperienza, la ricchezza umana e culturale, l’eredità preziosa che mi ha sostenuta ed orientata sempre, soprattutto nei momenti cruciali della vita. Ho poi studiato e iniziato a insegnare. Il primo posto di ruolo è stato il liceo classico di Susa, dove ho trovato come allievi, accanto ai figli della borghesia segusina, i figli dei ferrovieri di Bussoleno e della Valle . Erano i primi anni ‘70, un crogiolo di esperienze e di storie, tante storie. Anche la scuola partecipava di quell’ansia di cambiamento, nell’esigenza di una cultura che fosse davvero di tutti e per tutti. Volevamo una scuola “pubblica, democratica e formativa”. Per “ la riforma della scuola” abbiamo fatto negli anni un mucchio di scioperi e tutte le volte ci accorgevamo che era una controriforma sempre più totale. Una frana iniziata dai primi anni ‘80, in cui, anche per i cedimenti della cosiddetta sinistra, riprese il sopravvento il sistema, si chiusero i sogni e per qualcuno si aprirono le prigioni. La scuola ha rappresentato la parte più importante della mia vita, ho amato i miei allievi, da loro ho imparato tanto e ho cercato di dare al meglio delle mie possibilità. Con molti di loro continua l’amicizia. Uno dei miei allievi è pure il mio avvocato, Emanuele D’Amico. Sono venuta poi ad abitare stabilmente a Bussoleno nel ’79 , dopo cinque anni da pendolare. Fu proprio il vostro quotidiano, il manifesto, l’occasione che mi mise in contatto con i compagni ai quali ancor oggi sono legata politicamente e umanamente. Viaggiavo in treno e al mattino compravo, all’edicola della stazione di Alpignano, il manifesto (allora ancora in formato “Ordine nuovo”, quindi di dimensioni tali da non passare inosservato). A notarlo fu Gigi, un compagno di Lotta Continua, ferroviere, che prestava servizio sulla tratta Torino-Bardonecchia. Facemmo amicizia, lui mi invitò ad un’assemblea. Così conobbi altri militanti, uno dei quali, Silvano, divenne poi il mio compagno di vita (anche per lui gli albori dell’impegno politico incrociano il manifesto: le storie dei comunisti eretici, della primavera di Praga, di Cuba e dei paesi cosiddetti non allineati riportate dal quotidiano venivano lette e commentate collettivamente, poi incollate sui muri di Bussoleno con una colla casalinga fatta di acqua e farina). Qui in Valle, la lotta è sempre stata una resistenza di popolo, concreta, condivisa dalle famiglie. Resistenza operaia e contadina, antifascista: nella famiglia stessa di Silvano il padre e tutti i figli erano partigiani e la loro casa di montanari era diventato un punto clandestino di incontro tra i giovani combattenti e le famiglie. Fin dai primi anni sessanta In valle iniziarono le lotte operaie contro i licenziamenti e la delocalizzazione del lavoro. A fine anni settanta la ristrutturazione capitalistica allargò all’ambiente le proprie mire di profitto, così il conflitto sociale divenne anche conflitto ambientale. La prima fu l’opposizione alla costruzione dell’autostrada: in una valle che nel punto più largo è di tre chilometri esistevano già due strade statali, due intercomunali e, unica presenza naturale, la Dora Riparia. Proprio lungo la parte centrale della Valle e quasi totalmente sul fiume fu costruita la famosa autostrada Torino-Bardonecchia ora di proprietà Gavio. Ci opponemmo, per ragioni ambientali, economiche e sociali: compagni di Democrazia Proletaria, qualche ambientalista che si sentiva allo stretto nelle pastoie delle grandi associazioni ambientaliste. Furono proprio le grandi associazioni ambientaliste, con le loro strutture fuori-Valle, autodelegandosi al ruolo di “rappresentanti degli interessi diffusi”, a sedersi ai tavoli dei palazzi torinesi per trattare con i proponenti l’opera. Il tema del confronto non fu “se fare l’opera”, ma “come farla”. Per cui abbiamo avuto lo smacco di vedere come risultato la prima devastazione della Valle che ha portato alla morte, per esempio di tutta l’orticoltura e la frutticotura della Bassa Valle. Il traforo autostradale del Frejus è stato inaugurato nell’80. Successivamente fu costruita l’autostrada con i cantieri che, partendo dalle due estremità, occuparono in una decina d’anni tutta la valle. Bussoleno fu l’ultimo punto d’attacco: insieme agli abitanti della zona investita dall’opera avevamo messo in piedi un comitato spontaneo che cercò di bloccare il progetto opponendosi agli espropri dei terreni. La situazione si fece presto invivibile, perché Il paese fu investito dal nuovo traffico pesante, proveniente dai due tronconi già realizzati e messi prontamente in esercizio. Alla fine fummo perdenti, anche se con una mitigazione: la struttura che avrebbe dovuto tagliare in due l’abitato fu realizzata in tunnel dentro la montagna. Magra consolazione e non senza danni: gli scavi tagliarono le falde acquifere che alimentavano la frazione di Santa Petronilla. E ci fu un operaio morto sul lavoro, un minatore, travolto da un mezzo, a causa dei ritmi di lavoro, non rispondenti ad esigenze di sicurezza ma alla fretta di concludere l’opera. A fine anni ‘80 si annunciò un nuovo progetto devastante: il megaelettrodotto a 380 volt, Grand Ile-Moncenisio-Piossasco. L’infrastruttura era destinata a portare in Italia, attraverso la vallata della Maurienne e la Valle di Susa, l’energia prodotta dalla centrale nucleare francese Superphenix. Il nucleare cacciato dall’Italia dal referendum popolare sarebbe così rientrato dalla finestra attraverso i suoi prodotti, perpetuando un modo di produzione inaccettabile. Anche l’impatto ambientale si annunciava disastroso: l’infrastruttura avrebbe dovuto affiancare, a poche decine di metri, l’analogo elettrodotto già esistente, aumentando in modo esponenziale il rischio idrogeologico della zona e i pericoli per la salute, legati ai campi elettromagnetici. Decidemmo di opporci e questa volta non accettammo più alcuna mediazione dei “Rappresentanti di interessi diffusi”, ma favorimmo la nascita dei comitati popolari, Comune per Comune, su entrambi i versanti italiano e francese, nelle zone investite dal progetto . Fu una mossa vincente: niente elettrodotto. Per una volta avevano vinto le ragioni della salute e dell’ambiente. Avevamo appena superato una prova quando se ne presentò un’altra: il progetto Tav. Con lo slogan “Lo vuole l’Europa”, la Valle di Susa si trovò per l’ennesima volta ingabbiata in una prospettiva infrastrutturale devastante: il “Corridoio ferroviario ad Alta Velocità Lisbona-Kiev”. Quei primi anni ‘90, con la nascita dell’ Europa di Maastricht e la caduta del Muro di Berlino, furono cruciali. La fine della “guerra fredda” aveva rimesso in campo la “guerra calda”, questa volta a senso unico. Iraq, Somalia, Libia, Jugoslavia, Afghanistan: territori da destabilizzare e da conquistare in nome del capitale; e l’Italia tra gli aggressori, in prima fila, a fianco della Nato. Fu allora che nel nostro paese partì la corsa alle privatizzazioni. A farne le spese furono anche le Ferrovie dello Stato. Mentre si smantellavano come “rami secchi” tratte ferroviarie valutate socialmente utili ma non economicamente remunerative e venivano chiuse stazioni, officine e poli ferroviari, comparvero sul territorio nazionale i progetti Tav, il treno superveloce, costosissimo, socialmente discriminante, altamente devastante per i territori e lauto affare per i costruttori. In Valle ripartì la resistenza. Il metodo della lotta popolare si era rivelato quello giusto, così, quando si è presentatala la questione dell’alta velocità l’abbiamo nuovamente messo in pratica mobilitando le persone e i territori in modo capillare, senza imporre strategie dall’alto, ma organizzando nella pratica, collettivamente e di momento in momento, la risposta più adeguata. Si unirono così, senza forzature, storie, esperienze e pratiche anche molto diverse tra di loro. Proprio dalla ricchezza del confronto e dall’agire diretto e collettivo è nato il movimento No Tav che ha saputo fare delle diversità non motivo di divisione, ma fonte di arricchimento umano e culturale. Nelle prime adesioni al Movimento le istanze ideali erano molteplici, a volte anche assai diverse. E’ stata proprio la lotta contro l nemico comune a mettere insieme le persone e a farle crescere collettivamente in senso antifascista, sociale, ambientalista. Dalla necessità concreta e quotidiana di opporsi al primi approcci del Tav sono nati i presìdi: non erano un elemento folcloristico né dei centri ricreativi, ma luoghi in cui si stava insieme giorno e notte, per presidiare il territorio ed impedire i primi tentativi di esproprio. Eravamo anche riusciti ad aggregare parte della componente istituzionale locale: alcuni sindaci e interi consigli comunali furono con noi, sul territorio dei loro Comuni, ad impedire le prime prese di possesso istituzionali. Questi furono gli albori di una giornata che dura da decenni e che non ha alcuna intenzione di tramontare. Furono i fatti a portare da subito ad una crescita politica collettiva, una visione diciamo rivoluzionaria di sinistra, nel senso giusto del termine (in cui non si può comprendere il PD, da sempre favorevole all’opera). Poi ci caddero addosso le compatibilità governative, i cosiddetti “dodici punti” del governo Prodi, tra cui il cedimento sul Tav (come quello del rifinanziamento alle missioni militari e le autorizzazioni alle nuove basi Nato) e la parola “sinistra “ fu degradata a foglia di fico per nascondere le “vergogne”. Fu così che dai presidi scomparvero le bandiere di Rifondazione e dei Verdi e il Movimento prosegui con le proprie forze e con la consapevolezza che, nello stato di cose presente, “non esistono governi amici”. Gran parte dell’opinione pubblica vi accomuna ai cosiddetti Nimby – Not in my back yard, non nel mio giardino – e sostiene che è facile essere contro. Ma voi invece avete sempre avuto una visione “per”, proponendo un nuovo modello di sviluppo. Assolutamente sì. Essere No Tav significa essere per un mondo e per una società più giusti e vivibili, quindi essere contro quest’opera devastante, che serve soltanto ai grandi interessi, funzionale ad una visione di Europa che è poi quella della guerra all’uomo oltre che all’ambiente. Il tracciato Tav, di cui la Valle di Susa costituisce un segmento, nacque come corridoio Lisbona-Kiev e non a caso, viste le finalità recentemente esplicitate dall’Ue e dagli organi militari d’informazione: “i corridoi trasportistici progettati per l’alta velocità devono essere linee di penetrazione, oltre che commerciale, anche militare, per la movimentazione di uomini e mezzi da nord a sud e da ovest a est”. Dunque il nostro è anche un No alla guerra, in sintonia con la storia antifascista di questa Valle che nel ‘44 vide i ferrovieri del polo ferroviario di Bussoleno organizzarsi nella omonima formazione partigiana e proclamare un sciopero ad oltranza che bloccò la linea e praticò il sabotaggio sistematico dei trasporti d’armi e truppe nazifasciste. La Valle di Susa non è fuori dal mondo, chiusa in un giardino dalle mura invalicabili. La ferrovia internazionale esiste già, addirittura dalla fine dell’’800 e su di essa passano, oltre al trasporto locale, la Freccia rossa italiana e il Tgv francese. Ed è la linea meglio attrezzata a livello nazionale anche per il trasporto merci, potendo ospitare sui pianali, oltre ai container, anche i TIR con motrici. Eppure la sua capienza è sfruttata solo al 12%. Inoltre Bussoleno, fino a fine anni ‘80, era sede di un importante polo ferroviario a cui facevano capo mille ferrovieri, un deposito locomotive con carro-soccorso di seconda classe e un’officina per la revisione delle motrici. Tutto fu smantellato con la privatizzazione delle ferrovie . Ora i dipendenti della stazione di Bussoleno si contano sulle dita di una mano. Il nostro “No” al Tav è anche un “No” al mercato globale, all’industrializzazione dell’agricoltura, allo sfruttamento dei lavoratori, alla crudeltà degli allevamenti intensivi. Ed un “Sì” ad una diversa qualità di vita e di produzione, che valorizzi le produzioni locali, abbia la consapevolezza del limite e rispetti i diritti dell’uomo e della natura. Dunque non lottiamo solo per noi (sappiamo bene che la buona vita non è reale se non è collettiva) e non lasceremo che siano imposto ad altri i mali che noi rifiutiamo. In questa valle dove passano le merci, i capitali e dove vorrebbero far passare i trasporti di guerra, è però negata libertà di transito alle persone che, venute da inferni di oppressione e di fame, cercano nel ricco occidente pane e dignità. Per questo il movimento No Tav pratica concretamente l’accoglienza e l’aiuto ai migranti in cammino verso la Francia. Nel libro di WuMing 1 – “Un viaggio che non promettiamo breve” del 2016 – si descriveva benissimo tutto questo. E si raccontava come un nuovo movimento politico, il Movimento cinque Stelle, in qualche modo rischiava di appropriarsi della vostra lotta. Ad anni di distanza qual è la tua opinione? Diciamo che certamente una buona parte del movimento No Tav fu affascinata dal M5s e lo votò perché prometteva aria nuova, e perché si presentava con il radicalismo di chi non fa sconti e assicura che farà piazza pulita delle vecchie ipocrite promesse. Anche in Valle molti si illusero che il M5s, una volta al governo, avrebbe fermato il Tav, come lo stesso Grillo aveva promesso dai palchi elettorali della Valle. Alla sirena del “vaffa” risposero, in buona fede, anche tanti bravi compagni. Però ricordiamo il motto del Gattopardo: “Tutto cambia perché nulla cambi”. E così fu, alla prova dei fatti. Per quanto mi riguarda, non mi sono mai fatta illusioni, quindi non ho provato delusione quando, vinte le elezioni e saliti al governo con la Lega, i M5s si rimangiarono le promesse sul Tav e su tante altre cose. La delusione in Valle fu cocente, non meno che al tempo del governo Prodi e anche questa volta non si fecero sconti. Il consenso al M5s cadde in picchiata libera anche in termini di voti, crebbero in modo esponenziale la sfiducia nella politica istituzionale, l’astensionismo, la non-delega e la certezza che, dato lo stato di cose presente, “non esistono governi amici”. Un’altra critica che vi viene fatta è che la vostro lotta non è mai riuscita a diventare europea, a coinvolgere almeno in modo massiccio, i cugini francesi. E’ una cosa che che ti rimproveri oppure la contesti? Lo contesto. Fin dai tempi del progetto di mega elettrodotto, che doveva partire dal Superfenix e arrivare poi in Italia abbiamo lottato assieme alle realtà francesi della Maurienne, le stesse che abbiamo ritrovato nell’opposizione al tunnel transfrontaliero del Tav Torino-Lyon. Proprio qualche settimana in Val Maurienne si è tenuto un campeggio contro la devastazione ambientale e sociale legata ai lavori per le discenderie propedeutiche al tunnel, esattamente come da noi. Il Movimento No Tav è stato tra i promotori, insieme alle associazioni ambientalistiche della Maurienne e a Les soulèvements de la terre, del campeggio resistente e delle manifestazioni poi represse a suon di lacrimogeni, bombe assordanti, manganelli e spray urticanti. Per parteciparvi, dalla Valle di Susa si sono organizzati sei pullman che poi sono stati bloccati al traforo del Frejus con un’operazione congiunta delle polizie italiana e francese. Legami duraturi di solidarietà si sono stretti anche con le comunità resistenti della Zad di Notre-Dame-des-Landes, a sostegno della loro mobilitazione contro l’aeroporto che avrebbe espropriato della terra e della vita le comunità contadine ed i loro progetti di proprietà collettiva. In Francia – come in Italia – pesa indubbiamente il sostegno al progetto Tav da parte dei sindacati concertativi e delle forze politiche di una sinistra che, in nome del lavoro comunque, dimentica il diritto alla salute e alla qualità della vita. Certamente corresponsabile è il falso ambientalismo per il quale l’alternativa alle autostrade è il Tav e non il recupero del trasporto ferroviario pubblico a breve e media percorrenza né la lotta alla globalizzazione di produzione e consumi. Arriviamo al 2012. Forse all’apice della vostra lotta c’è questo questo episodio che fra l’altro non credo neanche sia sia stata la cosa più grossa che hai fatto. Un volantinaggio al casello autostradale che vi e ti costerà la prigione. Insieme a me sono stati condannati con sentenza definitiva altri undici compagni. Come me è finita in carcere anche Dana, con un aggravamento di pena per aver spiegato al megafono le ragioni della protesta. Quel pomeriggio del 3 marzo 2012 eravamo un folto gruppo al casello autostradale di Avigliana. L’indignazione per quanto era successo nei giorni precedenti ci spingeva ad una risposta concreta, che rompesse anche il muro di silenzio e la disinformazione sparsa a piene mani dai mass media di regime. Due giorni prima, durante lo sgombero del nostro presidio alla Maddalena di Chiomonte, il nostro compagno Luca Abbà, per sfuggire all’inseguimento dei poliziotti, si era arrampicato su un traliccio e, colpito da una forte scarica elettrica, era precipitato a terra. Mentre giaceva inerte, senza soccorsi, ai piedi del traliccio, circondato dalla polizia che ci impedì di avvicinarci, intorno a Luca continuava il lavoro delle ruspe guidate da automi indifferenti. Trasportato in ospedale, le sue condizioni si rivelarono da subito gravissime e per giorni rimase tra la vita e la morte. La reazione della Valle fu pronta e durissima: venne immediatamente occupata l’autostrada del Frejus e il blocco si allargò alle statali. C’eravamo proprio tutti, dagli anziani ai giovanissimi, comprese persone che, pur simpatizzando, non avevano mai partecipato attivamente. Azioni di protesta solidale partirono anche fuori valle. Solo dopo due giorni e con l’impiego di un migliaio di agenti in assetto antisommossa armati di ruspe, idranti e lacrimogeni riuscirono a fiaccare la resistenza popolare e a sgombrare l’autostrada. La mattanza proseguì fino a notte, fin dentro l’abitato di Bussoleno con una vera e propria caccia all’uomo: manganellati uomini e donne inermi; spaccati i vetri delle auto che le “forze dell’ordine” trovavano sul loro percorso; fatta irruzione in un bar dopo averne forzato le porte, alla ricerca di presunti manifestanti. Il giorno dopo leggemmo sui giornali gli sperticati elogi tributati da parte del governo Monti e di tutto l’arco parlamentare alle forze dell’ordine. La nostra risposta fu la protesta al casello autostradale di Avigliana: srotolato uno striscione che inalberava la scritta “Oggi paga Monti”, alzammo le sbarre del casello di una delle autostrade più inutili e costose d’Italia, facendo passare gratis i passeggeri che prendevano di buon grado i volantini e solidarizzavano con le nostre ragioni. La protesta durò non più di venti minuti, ma ci fruttò una condanna complessiva di dodici anni di carcere. Non era una novità: tutta la storia della nostra lotta si svolge sul filo della repressione e dell’applicazione del diritto penale del nemico, metodo che però non è mai riuscito a fermarne le ragioni e le pratiche. Si potrebbe dire che, per governi, questure e tribunali, fin dagli anni novanta questo nostro territorio resistente è diventato un laboratorio. La repressione si è alzata contro di noi nel momento in cui il potere si è reso conto che il nostro non era solo un movimento d’opinione, ma una forza popolare determinata a difendere, nella teoria e nella pratica, il diritto ad un’esistenza degna su una terra non avvelenata e devastata. I primi a farne le spese, a fine anni ‘90, furono tre ragazzi anarchici, Sole, Baleno e Silvano, incarcerati con l’accusa di associazione sovversiva. In seguito all’arrivo della prima trivella, si erano verificati nella zona alcuni misteriosi attentati ad un paio di centraline, fatti che poi al processo si rivelarono opera dei servizi segreti. Si arrivò così all’ assoluzione, di cui potè beneficiare solo Silvano. Sole e Baleno non furono presenti alla sentenza: il carcere li aveva suicidati. Veniamo al processo che fu anche una rivendicazione della vostra lotta davanti alle istituzioni cosiddette dello Stato. E tu, a quattro anni di distanza, useresti ancora la stessa strategia difensiva? Certamente. Fu la rivendicazione del diritto a resistere per esistere e, insieme, un modo per far conoscere alle persone dove stavano i poteri devastanti e dove stava la giusta ribellione. Proprio nelle aule di tribunale, da quelle sentenze preconfezionate avemmo la prova che il fascismo non era finito e ci sentimmo eredi di quelle lotte partigiane, operaie, contadine represse ma non vinte, se ancora in noi viveva l’esigenza del riscatto. Che la nostra lotta fosse figlia dell’antica Resistenza, ce l’aveva confermato la presenza al nostro fianco dei vecchi partigiani. Nel 2005 avevano portato a Venaus le loro bandiere; erano con noi alla Libera repubblica della Maddalena nel 2011; furono dalla nostra parte quando l’Anpi nazionale, inquinata dai rottamatori piddini, mise sotto inchiesta le nostre Anpi locali. Passiamo alla tua scelta. Arriva questa condanna insieme ad altri undici compagni. A 72 anni potresti benissimo chiedere di accedere alle pene alternative ma decidi di rinunciare e di andare in carcere. Che scelta è stata dal punto di vista politico e dal punto di vista personale? E’ stata una scelta ponderata, comunicata anticipatamente al movimento e rispettata da tutti, anche da chi esprimeva preoccupazione per la mia età e le mie precarie condizioni di salute. L’ho fatto per rabbia e per amore, per far capire alle persone le ragioni della nostra lotta, e perché indisponibile a far la carceriera di me stessa, a chiedere sconti ad un sistema che abolisce di fatto lo stato di diritto. L’ho fatto perché, a differenza dei miei coimputati, tutti giovani e precari, sono un’anziana pensionata, con tanto passato e poco futuro sul quale l’arroganza del potere possa vendicarsi. l’ho fatto anche per lanciare un segnale d’allarme, denunciare la china pericolosa imboccata da una “sinistra” transgenica, dimentica delle proprie origini e ormai in corsa sulle orme del Mercato e del profitto. Se attualmente abbiamo i fascisti al governo non è una fatalità: più che merito delle destre è demerito di una sinistra che non è più tale, che ha tradito le proprie origini, dimenticando le istanze di giustizia sociale e di liberazione da cui è nata. Forse si rischia il qualunquismo, però mi viene un paragone: tu che ti sei fatta un anno di carcere mentre tanti potenti condannati invece non ci sono neanche entrati. Ora questi “due pesi e due misure” c’è una pratica italiana di garantismo per i potenti e di giustizialismo contro i deboli? Per me l’esperienza del carcere è stata illuminante. Tra quelle mura, dietro quelle sbarre, in quelle celle sovraffollate e fatiscenti si sperimenta all’ennesima potenza che cosa sia l’ingiustizia sociale. Io, in fondo, ero una privilegiata: pur essendo in detenzione di media sorveglianza, quindi più controllata e soggetta a divieti, avevo dietro di me tutto un Movimento che mi amava e non mi faceva sentire a sola. Invece, intorno a me ho trovato solo povertà e solitudine: il carcere rappresenta davvero l’armadio dove il sistema nasconde gli scheletri delle proprie ingiustizie, le vittime dei propri delitti. Non ho incontrato ricchi o potenti, tra quelle mura. Le mie compagne erano tutte povere, molte malate o tossicodipendenti. Vi ho trovato persone che venivano da tutte le parti del mondo, donne represse, donne maltrattate. Tante le migranti finite nel racket dello spaccio o della prostituzione. E c’erano le rom, arrestate per piccoli furti nei supermarket aggravati in tentata rapina perché, intercettate, avevano reagito cercando di fuggire. Alcune scontavano condanne per tentato omicidio perché, stanche di subire, si erano difese contro mariti che per anni le avevano sfruttate e massacrate di botte. Provare il carcere significa sperimentarne la brutalità, l’inutilità sul piano del recupero sociale, la sua vera natura repressiva e vendicativa. La parte migliore e più umana di quel non-luogo erano proprio loro, le mie compagne di detenzione: è la solidarietà concreta tra oppressi che permette di resistere alle prepotenze delle guardie, di potersi nutrire a sufficienza integrando col sopravvitto a pagamento la sbobba scarsa e spesso immangiabile; e la parola amica di chi ti sta accanto è l’antidoto ai momenti bui, alla tentazione del cappio alle sbarre. Dal carcere si esce più poveri, arrabbiati e senza speranze. E all’uscita si ritrovano la stessa povertà, una precarietà aggravata dall’essere pregiudicati, spesso gli stessi inferni famigliari. Per questo spesso in carcere si ritorna….Il carcere va abolito: l’alternativa al carcere esiste ed è la giustizia sociale. Il giustizialismo non fa che riprodurre e aggravare l’ingiustizia. Dicevi, anche con un certo orgoglio, che il tuo avvocato è stato tuo allievo. Come trasferire i vostri valori, la vostra lotta alle giovani generazioni? Un problema comune a tutta la sinistra e anche al giornalismo di sinistra che rappresentiamo. Purtroppo i mass media – tranne pochi giornali meno obbedienti agli ordini di scuderia, tra cui il manifesto (che mi ha fatto compagnia in carcere grazie all’abbonamento fatto da un amico per me e che io mettevo a disposizione di tutte nella minuscola biblioteca del blocco femminile) sono sempre stati contro il movimento. Quanto alle giovani generazioni, noi siamo una grande famiglia di lotta che ha delle radici molto più salde della famiglia di sangue. Te lo garantisco: noi i giovani li abbiamo, sono tantissimi e sono la nostra gioia e il nostro orgoglio, la certezza che il viaggio di liberazione non si chiude con noi. E’ la generazione dei nostri nipoti che vedevamo piccolissimi, assieme ai nostri figli, agli albori della lotta No Tav, ma anche tantissimi venuti da fuori valle, attratti da una proposta culturale e sociale concreta, pronti a salire con noi sulle barricate per difenderla. Per questo la Valle di Susa è uno dei pochi luoghi che si stanno ripopolando e ricreando una economia diretta, dal basso. Questi ragazzi arrivano, fanno rivivere le vecchie borgate di montagna, rimettono in funzione le antiche coltivazioni, recuperando gli antichi vitigni dell’Avanà, del Becuet e, insieme, una dimensione di vita e di relazioni sociali davvero a misura d’uomo e di natura. Quindi tu sei ottimista per il futuro nonostante questo mondo così ingiusto e questa lotta che va avanti da 32 anni e non vede il traguardo vicino? Esistono cose fondamentali, per la cui difesa è indispensabile il conflitto, a costo della vita stessa. Per difenderle ci siamo messi in gioco e quel conflitto lo pratichiamo, concretamente, ognuno secondo le proprie forze, con pratiche molteplici , proporzionali all’offesa. Siamo un movimento corale e tali restiamo , facendo delle diversità una risorsa, una ricchezza di esperienze e di culture, anche di possibilità fisiche e di differenze generazionali: ad esempio, nel 2012 nella nostra resistenza sull’autostrada, di cui ho già narrato, eravamo insieme, giovani e anziani, contro il nemico comune. Rifiutiamo ogni leaderismo. C’è rispetto per l’esperienza e ognuno viene valorizzato, ma senza capi né deleghe. Allo stesso modo, pur partendo dalla nostra realtà, non siamo autocentrati : crediamo alla ricomposizione delle lotte (che non significa omogeneizzazione), all’aiuto reciproco delle realtà in conflitto anticapitalista e antimperialista. Come nel caso della Gkn. In tal senso nostri presidi sono anche un crogiolo di iniziative e di scambi a livello nazionale e internazionale con le molteplici realtà in lotta per i diritti sociali, politici, ambientali. Il nemico utilizza l’arma della guerra tra poveri, cerca di porre in conflitto il bisogno di lavoro e il diritto alla salute, ad un ambiente integro. Allo slogan della lobby del tav che “il Tav porta lavoro” il movimento risponde che “C’è lavoro e lavoro”, quello che devasta e uccide e il lavoro liberato, capace di rendere migliore la vita senza devastare la terra, madre di tutti. Qualche mese fa ti sei candidata: come sei arrivata a questa decisione e cosa stai facendo ora come consigliere comunale di opposizione? Non certo per prendermi una delega, ma per fornire alle lotte ( innanzittuto alla lotta No Tav) uno strumento in più di informazione e di opposizione,…insomma una nuova barricata. Il Comune è sempre più la cenerentola delle istituzioni, esautorato di strumenti finanziari e politici, a favore delle privatizzazioni, utilizzato come servo sciocco, mero esecutore da cui i poteri istituzionali superiori pretendono obbedienza cieca, acritica collaborazione. E il sistema maggioritario, per il quale chi vince piglia tutto, ha svilito, anche per il Comune, la funzione di rappresentanza reale della popolazione, favorito la separatezza tra rappresentanti e rappresentati, facendo del voto una delega in bianco, senza la possibilità reale di controllo sugli eletti. Anche a Bussoleno c’è una tale sfiducia nelle istituzioni che più del il 50% della popolazione non è andata a votare. In questo vuoto pneumatico, dalle urne è uscita vincente la lista di destra, seguita a ruota da un lista di centrosinistra. Terzi siamo noi, col 18%: un gruppo consiliare piccolo, ma combattivo e compatto (sono l’unica eletta, ma tutti i candidati partecipano attivamente alla vita del Gruppo, anche in vista di una rotazione in Consiglio). La nostra è una lista esplicitamente No Tav, antifascista e antirazzista (insomma, quello che dovrebbe essere la sinistra ), diciamo rivoluzionari, che è la parola che mi piace di più. Quella di candidarci non è stata una scelta facile, viste le esperienze pregresse con le istituzioni, tuttavia abbiamo ritenuto importante esserci per non lasciar campo libero ai poteri forti, alle mafie che si annidano nel cuore dello stato e che fanno delle grandi male opere la fonte principale di profitto. Per la Valle questo è un momento particolarmente critico. Se il tunnel transfrontaliero è in alto mare per i ripensamenti del partner francese, il governo italiano, non potendo bucare verso la Francia, spinge a tutto vapore per dare inizio alla tratta di Valle: i cantieri avanzano verso il basso, l’ombra della devastazione si allarga su boschi e coltivi, vie di comunicazione e centri abitati. Negli ultimi mesi tra Susa e Bussoleno sono partiti i cosiddetti “sondaggi archeologici”, propedeutici ai lavori di interconnessione tra la nuova linea e la linea storica . Il movimento No Tav si è messo immediatamente in movimento con assemblee informative ed azioni dirette di disturbo. Anche noi c’eravamo, come sempre, questa volta con una possibilità in più: quella di fare da scudo istituzionale contro le violenze poliziesche. Naturalmente mancavano le altre rappresentanze consiliari. Hai qualche punto di riferimento ideale, culturale, politico che vada oltre la vostra lotta nella tua visione del mondo? Amo la storia e le esperienze dei popoli che si ribellano. Penso alle lotte di liberazione dei popoli dell’America latina, alla figura dolce e forte del Che, alla coraggiosa resistenza del popolo palestinese. Poi c’è la mia Rosa, Rosa Luxemburg che è da sempre per me fonte di ispirazione, colpo d’ala politico , poetico, sentimentale. Le sue lettere dal carcere, insieme a quelle di Gramsci, mi hanno fatto compagnia nel periodo che passai reclusa alle Vallette. Rosa contro la guerra, una rivoluzionaria inflessibile contro gli opportunisti e gli ipocriti e tenerissima nei confronti dei più deboli, fossero essi uomini o animali. Lei che seppe andare fino in fondo è non abbandonò il sogno rivoluzionario di Spartakus. Amo gli eretici di tutti i tempi. Storie che mi hanno insegnato tanto: che non bisogna mai tradire i propri sogni, le ragioni profonde che ti fanno vivere, lottare e forse anche morire…perché puoi anche perdere al momento, ma vincere nel tempo, attraverso il tempo. * Fonte/autore: Massimo Franchi, il manifesto

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La repressione a Torino supera ogni immaginazione: «sorvegliato speciale» per un libro https://www.micciacorta.it/2021/04/la-repressione-a-torino-supera-ogni-immaginazione-sorvegliato-speciale-per-un-libro/ https://www.micciacorta.it/2021/04/la-repressione-a-torino-supera-ogni-immaginazione-sorvegliato-speciale-per-un-libro/#respond Sun, 11 Apr 2021 17:15:02 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26383 Torino. Chieste misure cautelari per un militante anarchico. Imputato per un libro del 2015

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TORINO. Questa è una di quelle volte in cui letteralmente la realtà supera l’immaginazione. In cui si disarciona il «patto narrativo» che fonda tutta la comunicazione letteraria e un pezzo di romanzo viene considerato un’aggravante per imporre una sorveglianza speciale della durata di due anni per supposta «pericolosità sociale». Succede a Marco Boba, militante anarchico torinese, una lunga storia nei movimenti, autore di Io non sono come voi, romanzo uscito nel 2015 per Eris Edizioni. Ed è proprio la frase riportata nel retro copertina del libro a essere finita nella richiesta di misure preventive mossa dalla Procura di Torino. «Troviamo davvero pericoloso e allarmante che in questi atti ci sia finito un romanzo», afferma Anna Matilde Sali di Eris Edizioni. «Non possiamo accettare che diventi una prassi, se no qualsiasi libro potrebbe diventare un’aggravante. Questa volta è capitato in ambito di movimento, domani chissà». La frase «incriminata», estrapolata dal romanzo «per far capire a chi si ritroverà il libro in mano qual è il cuore della storia, il mood, l’atmosfera, lo stile narrativo», è quella riferita dal protagonista del libro in un dialogo: «Io odio. Dentro di me c’è solo voglia di distruggere, le mie sono pulsioni nichiliste. Per la società, per il sistema, sono un violento, ma ti assicuro che per indole sono una persona tendenzialmente tranquilla, la mia violenza è un centesimo rispetto alla violenza quotidiana che subisco, che subisci tu o gli altri miliardi di persone su questo pianeta». Un virgolettato che per ellissi viene, nella richiesta giudiziaria, fatto passare per pensiero dell’autore. La casa editrice precisa: «Parliamo di un romanzo di finzione, con un protagonista di finzione. Il romanzo è scritto in prima persona, al presente, scelta tra l’altro fatta non in origine dall’autore, ma dopo un lungo confronto tra autore ed editore. Editing, normale editing». La narrazione letteraria d’altronde è di per sé sottesa a quel patto sintetizzato da Umberto Eco in Lector in Fabula a proposito del ruolo dell’autore che, all’inizio di un testo, stabilisce questo: «Voi non credete a quello che vi racconto e io so che voi non ci credete, ma una volta stabilito questo, seguitemi con buona volontà cooperativa, come se io stessi dicendovi la verità». Il 21 aprile ci sarà l’udienza in Tribunale per discutere dell’applicazione della misura. «Ho iniziato a fare politica a 15 anni ora ne ho 53 anni – racconta Marco Boba – e non mi sono mai ravveduto. Ed è quello che mi viene imputato nella richiesta di sorveglianza speciale, che mi pare quasi un reato di opinione. Ero, sono e resto anarchico. La Procura mette insieme di tutto e di più, le mie condanne e denunce, la mia partecipazione a Radio Blackout e altro». La sorveglianza sociale di cui fanno le spese attivisti No Tav o quelli andati in Siria con le Ypg curde è un provvedimento che colpisce le persone al di là di uno specifico fatto ma per un «comportamento generale». «A noi – spiega Eris Edizioni – sembra davvero pericoloso che una finzione possa diventare una prova, che le opinioni o le azioni di un personaggio di finzione lo possano diventare, che una frase scelta dall’editore, per promuovere al meglio un libro, possa diventare un’aggravante e che una questura o una procura si possano occupare di una materia che dovrebbe restare appannaggio di chi fa critica letteraria. In questi anni più volte si è invocato il reato d’opinione. Dalla vicenda di Erri De Luca, assolto dall’accusa di istigazione a delinquere per essersi espresso a favore dei sabotaggi contro la Tav, alla studentessa accusata di aver partecipato attivamente a delle azioni No Tav solo per aver utilizzato il “noi partecipativo” nella sua tesi di laurea in Antropologia culturale sul movimento stesso». Il libro di Marco Boba è, lo racconta lui stesso, «la storia di un ragazzo inquieto e disilluso a cui sta stretto il contesto di vita e che fugge a Filicudi. È una storia di amore e rabbia». * Fonte: Mauro Ravarino, il manifesto

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Torino: bocciata la richiesta di censura per Dana della direttrice del carcere https://www.micciacorta.it/2021/02/torino-bocciata-la-richiesta-di-censura-per-dana-della-direttrice-del-carcere/ https://www.micciacorta.it/2021/02/torino-bocciata-la-richiesta-di-censura-per-dana-della-direttrice-del-carcere/#respond Sat, 13 Feb 2021 08:34:13 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26323 La richiesta della direttrice della casa circondariale, Rosaria Marino, è stata rigettata per mancanza di fatti aderenti

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Censura della posta per evitare una possibile propaganda all’interno del carcere. È successo a Dana Lauriola, attivista No Tav attualmente detenuta alle Vallette di Torino. «Un grave tentativo punitivo», denuncia il movimento valsusino, fortunatamente, poi, scongiurato dal magistrato di sorveglianza che ha rigettato, per mancanza di fatti aderenti, la richiesta della direttrice della casa circondariale, Rosaria Marino. Come ha raccontato la stessa Dana, in una precisa lettera inviata al movimento, la direttrice aveva, infatti, chiesto «l’emissione di un provvedimento restrittivo, tipico dell’alta sorveglianza (articolo 18 ter ordinamento penitenziario), ossia la richiesta di controllo (e selezione) della mia corrispondenza epistolare e telegrafica, la cosiddetta censura». Tutto è successo a margine dello sciopero della fame di Dana e di altre tre detenute, a fine gennaio, per chiedere, il ripristino delle ore di colloquio, anche in videochiamata, ingiustamente dimezzate e l’inserimento dei detenuti nella campagna vaccinale Covid, da cui erano esclusi. Protesta che non è stata vana, «anzi i risultati si sono dimostrati da subito concreti e tutte noi stiamo finalmente godendo dei nostri pieni diritti per quanto riguarda i contatti con i nostri familiari», racconta la No Tav. Ma, forse, ha toccato alcuni nervi scoperti. «Si è trattato di un vano ma preoccupante tentativo – sostiene l’avvocata Valentina Colletta, uno dei due difensori di Lauriola – di comprimere diritti costituzionalmente garantiti in capo a soggetti già ampiamente deprivati, ma ai quali non può né deve essere negato anche il diritto alla libera manifestazione del pensiero e ad una quantomeno minima agibilità politica». «Mi chiedo se sia finita qui oppure siano vere le voci che circolano circa un mio futuro trasferimento» si chiede, infine, nella lettera Dana Lauriola, che deve scontare una pena di due anni di detenzione per un episodio avvenuto nel 2012 durante un’azione dimostrativa pacifica sulla A32, quando al megafono spiegava le ragioni della manifestazione. Una condanna sproporzionata come sottolineato da Amnesty International. Sulla tentata censura delle lettere dell’attivista No Tav è intervenuto Marco Grimaldi, capogruppo di Liberi Verdi e Uguali in consiglio regionale: «Riteniamo quella richiesta un atto gravissimo. Negare un diritto fondamentale di una donna è molto grave, farlo in assenza di fatti aderenti, come ha stabilito il giudice, è viltà». * Fonte: Mauro Ravarino, il manifesto

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NoTav. Accanimento di Stato, l’attivista Dana Lauriola arrestata in Valle https://www.micciacorta.it/2020/09/notav-accanimento-di-stato-lattivista-dana-lauriola-arrestata-in-valle/ https://www.micciacorta.it/2020/09/notav-accanimento-di-stato-lattivista-dana-lauriola-arrestata-in-valle/#respond Fri, 18 Sep 2020 07:21:52 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26239 Bussoleno. Dana Lauriola è stata prelevata dalla sua abitazione da un massiccio apparato di forze dell'ordine che si è scontrato con gli amici e compagni che presidiavano la casa dell'attivista No Tav

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Dana Lauriola, educatrice torinese che lavora con i senza dimora, è stata prelevata ieri mattina nella sua abitazione di Bussoleno da un massiccio apparato di forze dell’ordine che, per qualche attimo, si è scontrato con gli amici e compagni che presidiavano la casa dell’attivista No Tav. Epilogo non scontato di una storia iniziata otto anni fa, quando Dana Lauriola, insieme a molti militanti del movimento, entrò in autostrada per una protesta pacifica: venne alzato uno sbarramento, al fine di non creare imbuti pericolosi, e fu srotolato uno striscione. Alcuni parlarono da un megafono, tra questi era presente la militante Notav. Delle centinaia di manifestazioni che hanno costellato la ventennale storia della Torino-Lione, la protesta in autostrada viene ricordata tra le più innocue e pacifiche. Un blitz che si risolse in breve tempo, ma che è già costato diverse condanne. Ieri è stata la volta della portavoce, una delle molte, del movimento, a cui non sono state riconosciute pene alternative alla carcerazione. Da diversi giorni era stato approntato un presidio «protettivo», che però nulla ha potuto di fronte ai reparti mobili giunti per tradurre in carcere la militante Notav. Una carica ha fatto indietreggiare i manifestanti, mentre la Lauriola veniva prelevata e portata nel carcere Lorusso-Cotugno di Torino. Posto agli arresti domiciliari anche un altro volto storico del movimento Notav, Stefano Milanesi, anch’egli di Bussoleno. Dovrà scontare cinque mesi nella sua abitazione, in quanto condannato per resistenza a pubblico ufficiale. Nicoletta Dosio, condannata per la stessa manifestazione della Lauriola e uscita dal carcere lo scorso inverno a causa dell’emergenza sanitaria, commenta: «Provo una agitazione insostenibile perché rivivo i passi dolorosi di quel mio viaggio verso il carcere: immagino e non posso che star male. Un’ingiustizia enorme, perpetrata contro una ragazza buona e solidale, la riprova del fatto che questo mondo sta perdendo il senso della misura, cieco di fronte all’abisso dove stiamo precipitando. Son tempi duri, in cui si viene mandati in carcere per ciò che si è e non per cosa si fa. È lo sfascio dell’etica e del diritto. Che senso ha accanirsi contro una donna come Dana, da parte dello Stato? In questi giorni in cui si spostano montagne di rosmarino da un punto all’altro della valle, sorvolando su ogni regola che viene piegata alla pura volontà, la rigidità della legge rivela la debolezza di un mondo privo di ragioni». Alle otto e mezza di ieri sera il movimento Notav ha sfilato per le vie di Bussoleno impugnando centinaia di fiaccole. La prima manifestazione di solidarietà per la militante rinchiusa nel carcere di Torino. Ieri mattina, presso il Tribunale di Torino, gli imputati del maxi processo ai No Tav – secondo grado inerente gli importanti scontri del 2011 che coinvolsero decine di migliaia di persone – hanno letto un comunicato di solidarietà a Dana Lauriola, in cui hanno sottolineato che «l’unica colpa dei militanti del movimento è quella di continuare nella lotta» * Fonte: Maurizio Pagliassotti, il manifesto https://www.facebook.com/watch/?v=755417551670823&extid=CPt8WtbMNPbpdPQm

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No Tav. Oggi corteo a Torino, per Nicoletta Dosio e gli altri arrestati https://www.micciacorta.it/2020/01/no-tav-oggi-corteo-a-torino-per-nicoletta-dosio-e-gli-altri-arrestati/ https://www.micciacorta.it/2020/01/no-tav-oggi-corteo-a-torino-per-nicoletta-dosio-e-gli-altri-arrestati/#respond Sat, 11 Jan 2020 07:48:01 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25921 Come era prevedibile la carcerazione di Nicoletta Dosio esce dalla cronaca ed entra in una dimensione politica dalle conseguenze imprevedibili

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«Fuori mi aspettano in molti e sento il loro affetto: la mia famiglia, i compagni, gli amici. Ma qui dentro ci sono esseri umani, tanti, che fuori non hanno nessuno e questo mi dà il tormento più della mia detenzione»: queste le parole che Nicoletta Dosio ha affidato ieri al senatore Tommaso Cerno, Pd, primo parlamentare che si è recato presso il carcere torinese Lorusso Cutugno dove da undici giorni è detenuta l’ex docente di greco e latino. Parole che raccontano l’essenza di questa donna di 73 anni. «Nicoletta Dosio – ha detto Cerno uscendo dal penitenziario – è una donna energica, profondamente umana, che ha deciso di spendersi anche dentro il carcere in favore degli ultimi e delle ultime di questo mondo. Io, per quanto mi riguarda, mi farò portavoce della richiesta di amnistia per i No Tav perché le inchieste e i processi sono stati usati per reprimere un dissenso legittimo. Penso che sia il minimo, visto che hanno ragione». Come era prevedibile la carcerazione di Nicoletta Dosio esce dalla cronaca ed entra in una dimensione politica dalle conseguenze imprevedibili. Intorno a lei, come agli altri incarcerati del Movimento No Tav, si stringe un mondo di solidarietà e affetto; oggi è il giorno della manifestazione No Tav a Torino, idea nata dopo che Dosio è finita dietro le sbarre volontariamente, per riportare al centro del dibattito politico l’infinita vicenda della Torino-Lione, derubricata a «capitolo chiuso» dal governo precedente e da quello attuale. Ma la val Susa non è d’accordo, anche perché in Francia aumentano i pareri contrari ed è polemica su un presunto conflitto di interessi della ministra Borne. Il corteo partirà da piazza Statuto alle 14 e si annuncia come uno dei più partecipati di sempre: sono attesi decine di autobus in arrivo da tutta Italia. Manifestazione che si annuncia pacifica, come sono sempre stati i cortei che da quasi venti anni attraversano Torino per dire «no» al tunnel di base della Torino-Lione. Il primo fu nel 2001, al tempo della conferenza intergovernativa italo francese, una delle molte che hanno ribadito l’assoluta irrinunciabilità dell’opera, che però mai si è concretizzata. Venti anni fa marciarono in duecento: oggi saranno almeno 30mila. Il Procuratore generale Francesco Saluzzo ha decretato una sorta di coprifuoco sul Tribunale di Torino: resterà chiuso e presidiato dalle forze dell’ordine, anche se non si trova lungo il percorso del corteo ed è lontano oltre un chilometro dal punto di partenza. Intanto le manifestazioni di solidarietà ai No Tav incarcerati si ripetono da dieci giorni in tutta Italia e non solo. Sulla pagina social di Nicoletta Dosio sono pubblicate quotidianamente le foto di manifestazioni piccole e grandi: sono nati gruppi di solidarietà a San Francisco, Gaza, Buenos Aires, nonché in una miriade di comuni italiani. Ieri la Rete No Tav Roma ha manifestato con un blitz davanti al ministero della Giustizia aprendo uno striscione con scritto «Nicoletta libera tutti», distribuendo volantini e parlando con i passanti. «Siamo davanti a questo ministero che dovrebbe garantire la giustizia nel nostro paese e invece garantisce il privilegio di pochi e la repressione per chi resiste ai soprusi. Chiediamo libertà immediata per tutti gli arrestati nella lotta popolare contro il raddoppio della Torino-Lione» hanno dichiarato alcuni di loro. * Fonte: Maurizio Pagliassotti, il manifesto

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Nicoletta Dosio: «Non voglio la grazia», sabato 11 la manifestazione https://www.micciacorta.it/2020/01/nicoletta-dosio-non-voglio-la-grazia-sabato-11-la-manifestazione/ https://www.micciacorta.it/2020/01/nicoletta-dosio-non-voglio-la-grazia-sabato-11-la-manifestazione/#respond Sat, 04 Jan 2020 09:36:41 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25898 La prima manifestazione nazionale No Tav in solidarietà con Nicoletta Dosio e di altri arrestati del movimento, si terrà a Torino sabato 11 gennaio

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La prima manifestazione nazionale No Tav in solidarietà con Nicoletta Dosio e di altri arrestati del movimento, si terrà a Torino sabato 11 gennaio. Appuntamento alle 13 in piazza Adriano, già ritrovo e punto di partenza di un imponente corteo No Tav nel 2016, quando giunsero da tutta Italia circa ventimila persone. Ma, questa volta, probabilmente si tenterà di bissare le dimensioni di massa del dicembre 2018. Proseguono nel frattempo sit-in di solidarietà in varie parti d’Italia (da Siracusa a Pescana alla stessa Torino, dove oggi questa mattina è prevista una manifestazione di Potere al popolo in piazza Castello). Si allarga anche la rete di solidarietà: la Fiom di Torino e nazionale si sono schierate al fianco di Nicoletta Dosio e del Movimento No Tav, di cui peraltro sono parte fin dagli albori: «Non vogliamo entrare nel merito della decisione del procuratore generale del Piemonte di revocare la sospensione della pena nei confronti di Nicoletta Dosio, vogliamo però far sentire la nostra vicinanza alla storica militante del movimento No Tav. Continueremo a sostenere con determinazione il movimento, a farne parte integrante, per continuare ad affermare che la democrazia, la partecipazione, il dissenso e l’inclusione sono valori portanti della nostra Costituzione, che vanno applicati costantemente nella realtà della vita delle persone». Intanto trova spazio il dibattito sull’ipotesi di «grazia ad personam» avanzata nei giorni nei giorni scorsi, ipotesi che Nicoletta Dosio, incarcerata a Torino, ieri ha respinto chiedendo invece un’amnistia allargata: «No a richieste di grazia o a provvedimenti di clemenza che riguardino soltanto la mia persona – ha sottolineato -. Sì ad una amnistia sociale che riguardi i reati connessi ai comportamenti dettati dall’aggravamento della povertà prodotto dalla crisi economica negli ultimi anni». Sulla stessa posizione il movimento No Tav che in una nota dichiara: «Non è questa la strada giusta, la grazia non la vuole Nicoletta, e non la chiederà per se stessa, perché non è il fatto di risolvere la sua situazione attuale ma quella di riconoscere come in tutti questi anni procura, questura e tribunali abbiano giocato una partita politica, delegati dallo Stato. Noi vogliamo che si dica che il Tav è un’opera inutile, devastante e che tutti vengano liberati e la valle venga smilitarizzata. Non è pretendere troppo, ma il giusto. Libertà per tutti e tutte, siamo solo all’inizio di questa lotta». * Fonte: Maurizio Pagliassotti, il manifesto

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«Libertà per Nicoletta Dosio», la Valle di Susa protesta https://www.micciacorta.it/2020/01/liberta-per-nicoletta-dosio-la-valle-di-susa-protesta/ https://www.micciacorta.it/2020/01/liberta-per-nicoletta-dosio-la-valle-di-susa-protesta/#respond Thu, 02 Jan 2020 08:58:04 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25894 Lettera dal carcere del volto storico No Tav: «L’appoggio e l’affetto confermano la mia scelta»

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BUSSOLENO. L’osteria «La credenza» di Bussoleno è stata per anni il cuore del movimento No Tav, e solo pochi anni fa Nicoletta Dosio e il marito Silvano hanno ceduto la gestione a una donna curda, e alla sua famiglia, profuga di guerra. Sotto le bandiere No Tav che pendono ancora dal balcone dell’antica osteria ieri sera si sono dati appuntamento migliaia di amici e compagni di Nicoletta: un lungo serpentone ha marciato per oltre un’ora, illuminato dalle fiamme delle fiaccole che in molti reggevano in mano. Volti noti, ma anche persone mai viste prime mosse dall’enormità di quanto accaduto. Una comunità vagamente preoccupata per le sorti di una donna rinchiusa in carcere, dove sconterà una pena detentiva di nove mesi. «HAI VISTO? L’ha fatto sul serio, è andata fino in fondo», «Chissà come sta là dentro, da sola, in un carcere a quell’età»: questi i commenti più diffusi in un mondo che più che arrabbiato si sente offeso da una scelta voluta dalla Procura di Torino. Che attraverso un comunicato del Procuratore Generale Francesco Saluzzo ha sottolineato come la carcerazione di Nicoletta Dosio sia un passaggio formale atto a non creare disparità di trattamento. «Chi ha mosso le critiche – ha dichiarato il procuratore – non vorrebbe che i cittadini fossero trattati secondo il cognome o le ragioni che hanno spinto a delinquere. Tutti hanno diritto allo stesso trattamento e nei confronti di tutti vi è il dovere di applicare il trattamento previsto, che è solo quello dettato dalla legge. Solo il legislatore, nella sua saggezza, può modificare le norme, a patto che rispetti i principi costituzionali». IN PRECEDENZA aspre critiche erano giuste perfino da esponenti del Partito Democratico, come il sottosegretario dem all’Ambiente Roberto Morassut: «Non condivido nulla del movimento No Tav, ma le proteste anche scomode e con le quali non si è d’accordo non vanno ignorate. Trovo sproporzionato l’arresto di Nicoletta Dosio. Credo sia una misura sbagliata e senza senso, frutto di un meccanismo burocratico che prescinde dalla concretezza delle cose». Imbarazzo invece dal M5s, che tra i No Tav ha fatto il pieno di voti eleggendo tre parlamentari: Luca Carabetta, Laura Castelli e Alberto Airola, al momento silenti. NICOLETTA DOSIO, intanto, ha fatto pervenire una lettera dal carcere dove è rinchiusa: «Sto bene e sono contenta della scelta che ho fatto perché è il risultato di una causa giusta e bella, la lotta NoTav che è anche la lotta per un modello di società diverso e nasce dalla consapevolezza che quello presente non è l’unico dei mondi possibili». Lettera che prosegue ricordando gli altri tre incarcerati per reati relativi alle dimostrazioni contro la Torino – Lione: «Sento la solidarietà collettiva e provo di persona cosa sia una famiglia di lotta. L’appoggio e l’affetto che mi avete dimostrato quando sono stata arrestata, e le manifestazioni la cui eco mi è arrivata da lontano, confermano che la scelta è giusta e che potrò portarla fino in fondo con gioia. Parlo di voi alle altre detenute e ripeto che la solidarietà data a me è per tutte le donne e gli uomini che queste mura insensate rinchiudono». IN QUESTE MANIFESTAZIONI, che da decenni vengono aperte delle donne Notav, Nicoletta Dosio sarebbe stata in testa al corteo, tra coloro che reggono lo striscione: ieri sera il suo posto era occupato da un’altra donna della valle, una delle tante impegnate nella battaglia contro il super treno che dovrebbe collegare Torino a Lione. Presenti diversi rappresentanti di Potere al Popolo – di cui la Dosio è una delle coordinatrici nazionali, la più votata – in arrivo da tutta Italia e Rifondazione Comunista. Sotto un cielo stellato e con un freddo pungente il corteo ha girato per le strade del paese, fermandosi poi di fronte al monumento ai caduti Partigiani. Qui il professor Luigi Richetto, storico e filosofo nonché collega di Nicoletta Dosio, ha così sottolineato l’impegno della storica militante No Tav: «Una partigiana da sempre. La sua vita è stata caratterizzata da un impegno costante e schierato in ogni campo: scuola, famiglia, lavoro». Il coro che ha scandito per lunghi minuti la marcia ricordava questo tratto della Dosio, definita: «partigiana, generosa e fiera». Prossime iniziative di protesta e solidarietà sono previste in tutta Italia. * Fonte: Maurizio Pagliassotti, il manifesto

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NoTav, Nicoletta Dosio arrestata: «Continuo la lotta» https://www.micciacorta.it/2019/12/notav-nicoletta-dosio-arrestata-continuo-la-lotta/ https://www.micciacorta.it/2019/12/notav-nicoletta-dosio-arrestata-continuo-la-lotta/#respond Tue, 31 Dec 2019 08:54:24 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25890 Una valle in tumulto per lei, che invece sorrideva serena: Nicoletta Dosio, chiusa dentro l’auto dei carabinieri che la portava via, salutava con un bel sorriso e il pugno chiuso

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TORINO. Una valle in tumulto per lei, che invece sorrideva serena: Nicoletta Dosio, già docente di greco e latino e fondatrice del Liceo Norberto Rosa di Bussoleno, chiusa dentro l’auto delle forze dell’ordine che se la portava via, salutava con un bel sorriso e il pugno chiuso. La mano di una donna anziana ma non stanca che sventola, sempre chiusa dentro un’automobile e seduta di fianco a un carabiniere, un fazzoletto No Tav, mentre intorno a lei decine di persone accorse da tutta la val Susa bloccavano per oltre un’ora chi aveva il compito di portarla via dalla sua terra: direzione carcere. Urla della folla – «vergogna», «fascisti», «andate a prendere i ladri invece di venire qui da una settantenne» – si alzavano nella notte ghiacciata di Bussoleno, davanti alla casa dove Nicoletta e il marito Silvano nei decenni hanno accolto ogni debolezza tirasse la cordicella del vecchio campanaccio. Perseguitati dalla legalità, perseguitati politici, migranti in fuga, migranti con piedi bruciati dal gelo accuditi per mesi come figli, partigiani curdi, persone allo sbando. E in più offrivano un letto caldo: tutti questi e infiniti altri. Non solo, perché anche animali abbandonati hanno colonizzato la vecchia casa sormontata da due enormi cedri: cani, gatti, asini, oche, pecore, capre, caproni. A causa della sua esposizione a volte glieli ammazzavano, quegli animali: lei soffriva, molto, e poi ne prendeva altri. Condannata con altri diciannove militanti No Tav in un recente processo, aveva rifiutato la concessione delle pene alternative al carcere. Una scelta consapevole del destino che le sarebbe toccato. «Non sarò la carceriera di me stessa a casa mia», diceva. E aggiungeva: «Veniamo tutti condannati per cosa? Per un vicenda dove lo Stato italiano ha messo nero su bianco, numeri alla mano, che abbiamo ragione noi». Si riferiva alla valutazione costi benefici partorita dal precedente governo. Valutazione che per lei altro non era che una prova accessoria, nemmeno dirimente, perché la sua contrarietà alla Torino – Lione fonda su principi non meramente econometrici ma umani: «Come è possibile annientare così una popolazione, che per giunta persegue un bene comune?», domandava. «Andrò in carcere – diceva solo pochi giorni fa – dove troverò altri oppressi, altri ultimi, con cui solidarizzare e creare una nuova famiglia. Andrò in carcere perché di Tav non si parla più. Lo si considera un capitolo chiuso: e quindi con il mio corpo dietro le sbarre voglio riaprire questa storia indecente». L’avvocata che la segue, Valentina Colletta ieri sera dichiarava: «Nicoletta era molto decisa, ma il mondo intorno a lei no.Una situazione grave con responsabilità che ricadono non solo su coloro che hanno deciso di portarla via questa sera, ma sopratutto su chi l’ha condannata». Presidi e manifestazioni sono previste nei prossimi giorni a Torino e in Italia. * Fonte: Maurizio Pagliassotti, il manifesto

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Nicoletta Dosio: «Andrò in carcere, l’ingiustizia perseguita chi lotta» https://www.micciacorta.it/2019/11/nicoletta-dosio-andro-in-carcere-lingiustizia-perseguita-chi-lotta/ https://www.micciacorta.it/2019/11/nicoletta-dosio-andro-in-carcere-lingiustizia-perseguita-chi-lotta/#respond Fri, 08 Nov 2019 09:28:03 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25752 Intervista. Settantatré anni, già docente di greco e latino, tra le fondatrici del movimento No Tav, sconterà la condanna per aver partecipato a una manifestazione nel 2012

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TORINO. Dodici condanne per interruzione di pubblico servizio e violenza privata. Questa la sentenza emessa dal Tribunale di Torino poche settimane fa, inerenti uno dei molti conflitti che hanno visto protagonista il movimento No Tav.  Condanne senza condizionale per sei persone, un aggravamento insolito per un reato di lieve entità. Nella primavera del 2012, un’operazione di polizia portò allo sgombero della baita adiacente al cantiere della val Clarea: vi fu il ferimento grave dell’attivista NoTav Luca Abbà, rimasto folgorato su un traliccio dell’alta tensione. Mentre Abbà lottava tra la vita e la morte il movimento No Tav si riversava per due giorni lungo l’autostrada della val Susa; dapprima a Chianocco presso un svincolo strategico – da cui furono sgomberati con una violenta operazione notturna – e dopo presso il casello di Avigliana. Quaranta minuti in autostrada sotto l’occhio dei poliziotti che controllavano da vicino la manifestazione che ebbe anche un volantinaggio. I manifestanti alzarono la sbarra del casello per diversi minuti. Tra i condannati per quell’episodio c’è Nicoletta Dosio, settant’anni passati, già docente di greco e latino presso il liceo Norberto Rosa di Susa, tra le fondatrici del movimento No Tav. Dosio, lei andrà in carcere. È intimorita da questa prospettiva? No, non lo sono. Ci sono dei passaggi che devono essere affrontati quando si porta avanti con coerenza una lotta come quella contro il Tav. Una lotta in cui noi abbiamo ragione, come per altro messo nero su bianco, numeri alla mano, perfino dallo stesso Stato solo pochi mesi fa. Il nodo morale delle minoranze che hanno ragione ma a cui viene imposta una realtà assurda rimane, intatto. Ha la possibilità di chiedere pene alternative: lo farà? Non lo farò e qualcuno, un giorno, verrà a prendermi per portarmi in carcere. Sono pronta, ci penso da molto tempo, è un prospettiva che nel tempo è entrata a far parte della mia vita. Perché fa questo? Lei ha settantatré anni. Voglio cercare di mettere il dito nella piaga, e ancora una volta dare visibilità a questa ingiustizia che perseguita chi lotta per il diritto di tutti. Inutile fare i neo ambientalisti che accolgono le richieste dei giovani quando si devono recuperare voti e poi, nella realtà, giustificare e avallare una devastazione perfino priva di senso economico. Questo mio gesto è contro i sepolcri imbiancati: per mettere in luce questo e riportare l’attenzione pubblica, che mi pare si stia adattando, agli orrori nei confronti di chi lotta, io andrò in carcere. Il dovere che io sento è di non genuflettermi: di non chiedere sconti o scuse. Per dignità e libertà. Sono convinta che quel mondo buono che ancora esiste intorno a me lo troverò anche in carcere, dove incontrerò gli ultimi degli ultimi. Farò esperienze che mi serviranno, sebbene io sia una donna anziana. Chi la sostiene in questo momento? Percepisco sulla mia pelle un grande calore e una grande vicinanza. Che poi è la stessa che provano i numerosi condannati di questa triste storia. Grande solidarietà e partecipazione di chi lotta da trenta anni e non si arrende. Uguaglianza, libertà, solidarietà. Il movimento No Tav non solo non è morto ma reagisce a una serie di provvedimenti restrittivi che stanno arrivando a diluvio sulla valle di Susa, sopratutto verso la parte attiva. Segno che si va verso un veloce allargamento dei cantieri. Solo ieri, altre due condanne. So di avere con me il sostegno delle mie sorelle e dei miei fratelli di una lotta bella e irriducibile, perché porta nelle sue mani la memoria del passato, l’indignazione per la precarietà presente, la necessità di un futuro più giusto e vivibile per tutti. Se andrò in carcere, non me ne pentirò, perché, come scrisse Rosa Luxemburg, dalla cella dove scontava la sua ferma opposizione alla guerra, « mi sento a casa mia in tutto il mondo, ovunque ci siano nubi, e uccelli, e lacrime umane». * Fonte: Maurizio Pagliassotti, il manifesto

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Decreto sicurezza bis. Misure mirate per colpire i No Tav https://www.micciacorta.it/2019/08/decreto-sicurezza-bis-misure-mirate-per-colpire-i-no-tav/ https://www.micciacorta.it/2019/08/decreto-sicurezza-bis-misure-mirate-per-colpire-i-no-tav/#respond Thu, 08 Aug 2019 08:50:13 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25600 I primi a farne le spese potrebbero essere i 48 manifestanti denunciati il 27 luglio scorso al termine della manifestazione durante la quale è stato manomesso il cancello di Giaglione

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C’è un altro motivo, oltre al «tradimento» sull’Alta velocità, destinato ad allontanare ancora di più il movimento No Tav dal M5S: il fatto che i pentastellati hanno condiviso con la Lega il decreto sicurezza bis entrato in vigore il 15 giugno e che – a giudizio di molti giuristi – rappresenta un pericolo per la libertà di manifestare. A partire dai cortei contro la Tav in Val di Susa. I primi a farne le spese potrebbero essere i 48 manifestanti denunciati il 27 luglio scorso al termine della manifestazione durante la quale è stato manomesso il cancello di Giaglione. Per ora la contestazione riguarda solo la violazione dell’ordinanza prefettizia che dal 2011 vieta l’accesso ai terreni limitrofi al cantiere, ma non è detto che nuove accuse non possano arrivare al termine delle indagini. E in tal caso i conti andrebbero fatti con le nuove norme licenziate lunedì dal Senato. Ecco cosa prevedono. USO DEL CASCO Inasprite le pene per chi, nel corso di una manifestazione, fa uso del casco o di qualunque altro mezzo che renda difficoltoso il riconoscimento. Le nuove pene prevedono la reclusione da due a tre anni e un’ammenda da 2.000 a 6.000 euro. USO DI BASTONI E BENGALA Reclusione da uno a quattro anni per chi, nel corso di una manifestazione, lancia o utilizza illegittimamente razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi urticanti. ma anche per chi utilizza bastoni, mazze, oggetti contundenti o comunque atti a offendere. RESISTENZA E OLTRAGGIO Diventa un’aggravante il reato di violenza o minaccia, resistenza o violenza a pubblico ufficiale. DANNEGGIAMENTO Pene da uno a cinque anni per chiunque nel corso di una manifestazione distrugga, disperda o comunque danneggi beni mobili o immobili altri. * Fonte: IL MANIFESTO

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