occupazioni – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Mon, 27 Jun 2016 08:41:07 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Teatro Valle (ri)occupato: dopo le luci in sala arriva subito lo sgombero https://www.micciacorta.it/2016/06/22028/ https://www.micciacorta.it/2016/06/22028/#respond Sun, 12 Jun 2016 15:20:31 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22028 Beni comuni. Un blitz di un giorno per denunciare due anni di abbandono e vuoto politico. E subito sgomberato: la partecipazione è un problema di ordine pubblico a Roma

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I candidati al ballottaggio, Raggi (M5S) e Giachetti (Pd), si esprimono: "L'occupazione non serve, c'è un accordo". Gli attivisti: "Tra il ministero dei Beni Culturali e il teatro di Roma e non è mai stato ratificato". Annuncio del Campidoglio: martedì firmerà con il Mibact un piano di "valorizzazione" del Valle e poi partirà la ristrutturazione con 3 milioni di euro. Tutte le incertezze sul destino del più antico teatro della Capitale. Di nuovo chiuso. Sono rientrati nel Teatro Valle due anni dopo il forzato sgombero con le luci spente. Nella sala più antica di Roma due casse diffondevano un suono cupo e ritmato: il battito cardiaco di un teatro che è tornato a respirare per tre ore dopo 669 giorni e 22 mesi di abbandono. E di vendetta politica: tre anni di occupazione dovevano essere rimossi. Partecipazione e autogoverno della cittadinanza, anche. Ci sono riusciti, nella città del disastro Marino e del triplo commissariamento: Tronca in Campidoglio, poi il Giubileo, infine il debito. In morte apparente fino a ieri, quando gli attivisti lo hanno rioccupato. Per liberarsi, e liberare una città soffocante e sotto sgombero (gli 860 spazi, associazioni e centri sociali); chiusa (dal teatro Quarticciolo al cinema l’Aquila). In alto, ad altezze variabili sotto la cupola, palloncini con led intermittenti lampeggiavano. A poco a poco le luci si sono accese, in tutti gli ordini dei palchi. Il palco vuoto, con le quinte scoperte. I velluti rossi delle poltrone. I corridoi ridotti a magazzini. La lavagna con l’ordine del giorno dell’ultima assemblea di due anni fa. Il Valle è un organismo, lo si può sentire respirare. Dategli un po’ di possibile, altrimenti soffoca.
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Teatro Valle a Roma e la mascotte “Fuffy”, foto di Vincenzo Tersigni
Questo accadeva dentro. Fuori – tempo un’ora – si sono schierate tre camionette della polizia e una della guardia di finanza. Chiusi tutti gli accessi. Una cinquantina di uomini in tenuta antisommossa guidati da un drappello di agenti della Digos in borghese: prima è stata intimata l’uscita, poi è stato concesso il tempo di una conferenza stampa, poi si è pensato di organizzare un’assemblea cittadina per riprendere il filo di uno scandalo nazionale. E infine è scattato lo sgombero. Spinte e controspinte davanti al portone di via del teatro Valle: da un lato la Digos, dietro una decina di agenti con caschi, scudi e manganelli; dall’altro lato, dietro la porta, alcuni attivisti che cercavano di non farli entrare; nel mezzo fotografi, cittadini e attivisti schiacciati. Sette gli attivisti identificati.
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Teatro Valle a Roma, foto di Vincenzo Tersigni
È il paradosso di Carminati. La velocità dell’intervento per impedire un’assemblea in uno dei luoghi più simbolici dei beni comuni nella Capitale è stato inversamente proporzionale alla velocità con cui hanno contrastato Mafia Capitale. A Roma, l’iniziativa, la cultura e la partecipazione sono diventate questioni di ordine pubblico. Per questo il Valle, che ne è stato il simbolo per 1.151 giorni, deve restare deserto. Non c’è spazio per la felicità: lo si è capito dalla prima dichiarazione di Renzi, appena insediato a Palazzo Chigi: normalizzare il teatro. Ordine eseguito dall’ex sindaco Marino, e dalla sua giunta di centro-sinistra, a loro volta defenestrati dal Pd. L’iniziativa, hanno spiegato gli attivisti, è stata presa per spingere i candidati al ballottaggio del 19 giugno, la favorita Virginia Raggi (Cinque Stelle) e Roberto Giachetti (Pd), a prendere parola sul Valle. E, in generale, sulla cultura a Roma: un tema oscurato mentre si parla delle Olimpiadi volute dai palazzinari, dal Coni e dal governo, delle buche o del decoro.

Le reazioni

L’azione, come prevedibile, ha prodotto una fitta serie di dichiarazioni dalle parti opposte degli schieramenti politici. «Di fronte alla riapertura di uno spazio sociale, culturale e politico come il Valle è vergognoso che si risponda sempre e solo con la stessa logica repressiva e con la militarizzazione – sostiene Eleonora Forenza, eurodeputata de “L’altra Europa con Tsipras” che ha cercato di mediare tra gli attivisti e le forze dell’ordine – Bisogna unire le lotte, riaprire il Valle è una bellissima conquista e farlo oggi, nel giorno del Gay Pride, è ancora più importante. La città risponde agli sgomberi e alla repressione, alla criminalizzazione dei movimenti, con la riapertura di spazi».

«Dato che da due anni nessuno ha voluto dimostrare di difendere il teatro Valle è stata giusta l’azione dimostrativa pacifista – ha detto Stefano Pedica del Pd romano – Coloro che negli anni passati si sono battuti per farlo rinascere hanno scongiurato la fine ingloriosa di una struttura fiore all’occhiello di tante stagioni teatrali».

«Si continua a non rispettare gli impegni presi allora dall’amministrazione capitolina per far diventare il Valle un bene comune al servizio della città attraverso la sperimentazione di forme partecipate di gestione. È ora di attuare gli impegni presi. È ora di rianimare le politiche per la cultura» ha sollecitato Stefano Fassina (Sinistra italiana). «Oggi hanno rioccupato il Teatro Valle perché sanno che chiunque vincerà le elezioni chiuderà un occhio. «Il nuovo sindaco di Roma si impegni a rimettere il Teatro nella disponibilità della città e non dei figli di papà radical chic» è intervenuta, con la consueta grazia, Giorgia Meloni, ormai fuori dai giochi elettorali. Sono arrivati anche i segnali dai candidati in lizza per il Campidoglio, sollecitati ancora qualche giorno fa dall’attore Alessandro Gassman: «Chi riapre il Valle per me vince» ha scritto su twitter. «C’era un accordo concordato con gli occupanti di allora [con il teatro di Roma, ndr.] – ha detto Giachetti – Ci abbiamo messo un po’ di tempo, ma questa è la burocrazia, ma lì la soluzione c’era. Le occupazioni non servono». Dello stesso tenore, quasi in fotocopia, la dichiarazione di Raggi: «Sul Teatro Valle si era già trovato un accordo, peccato che sia stato rioccupato. Esamineremo anche questo tema a tempo debito». L’accordo, in realtà, era tra il Mibact e il teatro di Roma e non è mai stato ratificato, questa la risposta degli attivisti su twitter.  Martedì, ha fatto sapere il Campidoglio, ci sarà un’intesa con il Mibact sul «piano di valorizzazione» del Valle dopo che la proprietà è passata al comune. Partirà il bando per i lavori di ristrutturazione, 3 milioni di euro stanziati, come da mesi si ripete, senza che nulla sia accaduto.
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Instant Comic di Enrico Pantani

Le ipotesi

Sul futuro della storica sala non c’è certezza: Fabrizio Grifasi, direttore della Fondazione Romaeuropa, ha presentato al prossimo sindaco un’autocandidatura per «un affidamento non esclusivo» del Valle. Una soluzione che presuppone la possibilità di un bando che invece dovrebbe essere escluso, dato che nell’accordo di cui hanno parlato i candidati sindaci il Valle sarebbe stato affidato al teatro di Roma. Ciò non toglie che quest’ultima istituzione che oggi gestisce il teatro Argentina e il teatro India, non possa affidare a Romaeuropa il teatro per iniziative. Anche in quest’ultimo caso, non è affatto chiaro cosa il presidente del teatro di Roma, Marino Sinibaldi (candidato a fare l’assessore alla cultura nella giunta di Giachetti), e diretto da Antonio Calbi, intendano con la dizione di «teatro partecipato». All’origine si era parlato di una collaborazione, non meglio precisata, con la fondazione del del teatro Valle “bene comune”. Di tempo ne è passato, ma i nodi non sono stati sciolti. Per gli attivisti un elemento è chiaro «Il bando è un modello da superare: non assicura controllo democratico, si basa su competitività,favorisce le solite lobby di potere». Sui bandi, che a Roma rappresentano un problema politico di enorme importanza dopo Mafia Capitale, ci sono sensibilità diverse. «Per noi il bando pubblico, nel rispetto ovviamente di criteri quali la trasparenza e la legalità, resta uno strumento essenziale» ha sostenuto ad esempio Virginia Raggi in una risposta a Stefano Fassina sull’Huffington Post. Una posizione ribadita in un incontro al Cinema Palazzo con i movimenti romani. La candidata a Cinque Stelle riconosce tuttavia la possibilità di alcune eccezioni, anche a seguito dellacampagna “Roma non si vende-Decide la Città” condotta da decine di associazioni e movimenti nella Capitale. «E’ evidente che chi negli ultimi anni ha dimostrato concretamente di essere parte socialmente attiva debba ricevere adeguata considerazione ed essere eventualmente coinvolto per focalizzare le principali esigenze del territorio». In questa situazione, considerando i tempi della ristrutturazione, e le incertezze legate al suo destino, il teatro Valle potrebbe restare chiuso almeno per un altro anno. Buio in sala.

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«Il teatro Valle torni alla città» https://www.micciacorta.it/2016/05/21944/ https://www.micciacorta.it/2016/05/21944/#respond Tue, 31 May 2016 08:12:25 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21944 Roma. Fassina: è chiuso da due anni, ma vanno mantenuti gli impegni presi

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«Sono due anni che il Teatro Valle è chiuso e riteniamo che vadano mantenuti gli impegni presi. Il Valle deve essere restituito alla città». Stefano Fassina, candidato sindaco a Roma, ieri è tornato sul luogo della rimozione delle politiche culturali nella Capitale. Dopo la lunga occupazione, durata tre anni e terminata nell’agosto del 2014, il Valle è rimasto chiuso. Tutte le porte di accesso sono state murate, salvo il foyer affittato al Teatro di Roma. Gli accordi presi con la fondazione «Teatro Valle bene comune», costituita dalle ex maestranze, cittadini e attivisti, sono rimasti lettera morta. Il 26 febbraio è stata finalmente conclusa la procedura del passaggio di proprietà del teatro dal ministero dei beni culturali (Mibact) al Comune di Roma. Dovrebbe essere stato risolto il problema causato dallo scioglimento dell’Ente teatrale Italiano (Eti), un tempo proprietario del Valle, cancellato dal governo Berlusconi. L’incertezza dell’attribuzione è stata una delle cause del rischio chiusura della storica sala romana, sventata dall’occupazione. Da quell’esperienza è nata l’originale proposta di uno statuto per l’autogoverno del teatro e la partecipazione della cittadinanza. È stata anche confermata la spesa di 3 milioni per il restauro, divisa a metà tra Roma Capitale e Mibact. E a febbraio è stato detto che la soprintendenza stava lavorando ai bandi per affidare i lavori. Nel frattempo il teatro resta chiuso. «Il problema è la gestione – dice Sandro Medici, candidato con Sinistra per Roma – Non bisogna fare gestire questi beni ai mandarini del Teatro di Roma e alla nomenclatura che opprime la vita della città». «Il Valle va restituito alle comunità artistica e sociale che lo ha rimesso in moto» sostiene Giuliana Aliberti, avvocato che ha seguito la creazione della fondazione, candidata nella lista Fassina. «Il teatro appartiene a tutti, è bene che se ne parli, anche se la soggettività del Valle occupato non è coinvolta nella campagna elettorale – spiega Ilenia Caleo, attrice e attivista – Speriamo in un dibattito: vogliamo mostrare le responsabilità politiche del Pd, della giunta Marino, del Teatro di Roma. Hanno fatto promesse non mantenute e depotenziato il percorso partecipato che si era aperto».

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L’intelligenza delle occupazioni https://www.micciacorta.it/2016/05/lintelligenza-delle-occupazioni/ https://www.micciacorta.it/2016/05/lintelligenza-delle-occupazioni/#comments Thu, 26 May 2016 07:33:40 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21910 Diritto all'abitare. Ventitré tra uomini e donne senza casa sono in sciopero della fame a Roma. Non vogliono che la loro vita continui ad essere schiacciata sempre più giù nella discarica sociale dell’abitare

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occupazioni di case

ROMA Le oltre diecimila persone che a Roma vivono in occupazione sono conosciute come «occupanti di case». Varcando la soglia di uno di quegli spazi non è sempre facile riconoscerlo come casa. Ad alcuni appartamenti si sono nel tempo aggiunti scuole, uffici, alberghi, padiglioni, strutture di servizio. Edifici diversi tenuti tra loro assieme dall’ essere, da tempo, abbandonati. Fossili edilizi che, in molti casi, hanno interpretato una prima vita come immobile istituzionale. Poi, secondo il copione con cui l’ingegneria finanziaria cannibalizza quella edilizia, sono stati «cartolarizzati». Il meccanismo che trasferisce, per «far cassa», interi pezzi del patrimonio immobiliare pubblico in un bilancio patrimoniale privato. Nella città finanziarizzata edifici messi in vendita ed occupati non sono un paradosso. Chi ora li possiede non punta ai canoni di locazione, ma ai crediti che potrà ottenere offrendoli come garanzia. Edifici che pur non destinati a residenza sono lo stesso abitati. Ma l’occupazione è una forma possibile dell’abitare? Ventitré tra uomini e donne che così vivono, sempre a Roma, stanno facendo uno sciopero della fame. Rispondono, con questo gesto, che in occupazione non si può continuare a vivere né si può morire. Non vogliono che la loro vita continui ad essere schiacciata sempre più giù nella discarica sociale dell’abitare. Dove buttare le persone a cui non si vuole riconoscere nessun diritto perché non si ha più nulla da prendergli. A molti tra gli occupanti insieme al lavoro è stata tolta la casa. Hanno occupato precipitando così nella coabitazione di massa. In occupazione, le forme del reciproco aiuto solidale e mutualistico, sono essenziali nell’attrezzare i «servizi», nell’organizzazione degli spazi collettivi. Nel definire quelli individuali ognuno però è solo. Nelle occupazioni non è lo spazio alle volte a mancare (basta pensare alla larghezza spropositata di un corridoio di un ufficio o all’ampiezza di un’aula scolastica). Manca la possibilità di garantire per ognuno la possibilità di avere gli elementi che costituiscono l’abitare degno. Difficile riuscire ad assicurare a tutti, date quelle tipologie, l’illuminazione diretta da una finestra. Impossibile garantire la ventilazione naturale degli ambienti. Come fare con il caldo e il freddo? Non sempre è possibile eliminare le barriere architettoniche. A volte, negli edifici alti, gli ascensori sono fermi e tante sono le carrozzine e passeggini. Come avere impianti sicuri? O, anche, la possibilità di uno spazio fuori di quella stanza miracolosamente ritagliata, dove andare a fumarsi una sigaretta, guardare fuori il cielo e spiegarlo ai tuoi figli? Le occupazioni non devono nascondere le case in quei corpaccioni murari, ma farle uscire fuori come individui edilizi. Possono mostrarsi alla città come soluzione di un’emergenza, come singole parti di un quartiere diffuso nel tessuto urbano. La recente delibera della regione Lazio parla, nel licenziare finalmente un programma per l’emergenza abitativa, di recuperare questi edifici anche con la pratica dell’autocostruzione e mette a disposizione una prima cifra significativa. Un progetto che potrà essere accolto come una opportunità per l’abitare di tutti solo con il superamento del doppio ostacolo che oggi lo accompagna. Il primo rappresentato dal dimenticabile commissario Tronca che ha voluto attaccare, imbevendo di veleno l’ultimo colpo di coda del suo comando dispotico, questo piano. Vuole ridurre lo stock abitativo destinato a chi occupa e vuole iniziare non ricercando case, ma con gli sgomberi. Il secondo riuscendo a non assecondare quella certa retorica della bellezza delle occupazioni, proprie ad alcune letture accademiche, che tendono ad isolare l’edificio occupato dallo spazio urbano che lo ha provocato e che lo ospita. Non è questo un discorso urbanistico, ma un progetto preciso: la traduzione in «case belle per i più» dei percorsi del protagonismo sociale che offre alla comunità un bene trascurato riconsegnandolo come individuo edilizio capace di rappresentare se stesso non solo come tetto, ma come realizzazione compiuta del diritto all’abitare.

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Sgomberi a Torino, così si cancellano le belle storie https://www.micciacorta.it/2015/11/sgomberi-a-torino-cosi-si-cancellano-le-belle-storie/ https://www.micciacorta.it/2015/11/sgomberi-a-torino-cosi-si-cancellano-le-belle-storie/#respond Sat, 14 Nov 2015 09:13:07 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20858 La penultima uscita pubblica di Luciano Gallino è stata, il 30 agosto, l’inaugurazione della festa di una caserma occupata, la caserma di via Asti, ora sgomberata

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Tre giorni fa Torino ha dato l’ultimo saluto a Luciano Gallino. C’era, con i suoi allievi, il pezzo di città che lo ha apprezzato, stimato, riconosciuto come maestro e amico. E c’erano – come spesso accade nelle cerimonie funebri, i responsabili dell’establishment politico e della carta stampata della città (che è, come noto, uno dei poteri forti torinesi). Alcuni – non certo questi ultimi – ne hanno ricordato l’impegno politico di questi ultimi anni. A me piace ricordare che la penultima uscita pubblica di Gallino è stata, il 30 agosto, l’inaugurazione della festa di una caserma occupata, la caserma di via Asti, con un intervento sulle prospettive dell’Italia e dell’Europa «dopo la Grecia». Ebbene l’altro ieri, due giorni dopo il suo funerale, quella caserma – nella quale ci aveva anticipato di voler tornare – è stata sgombrata su richiesta della proprietà, la Cassa depositi e prestiti (prossima ad accollarsi, secondo i desiderata del presidente del Consiglio, 400 milioni di passività di Expo), di concerto con il sindaco di Torino. Una coincidenza, ovviamente. Ma una coincidenza che conta e che è istruttivo raccontare. La caserma La Marmora di via Asti è uno dei punti di riferimento della Resistenza torinese, già sede del comando della Repubblica di Salò e luogo di tortura di antifascisti e partigiani, molti dei quali vi furono fucilati. Negli anni quel luogo è stato abbandonato, con conseguente degradato, per essere poi venduto dal Demanio alla Cassa depositi e prestiti, con la «mediazione» (e apposita variante del piano regolatore) del Comune di Torino, a prezzo stracciato e con elevati rischi di usi speculativi. Per questo, alla vigilia dello scorso 25 aprile, un gruppo di ragazzi di una associazione torinese lo ha occupato «per liberarlo e restituirlo alla città». Subito si è costituito, per la sua gestione, un comitato composto da associazioni antifasciste e impegnate nel sociale, organizzazioni sindacali, intellettuali, uomini delle chiese, artisti e via elencando. Il primo maggio ci si è presentati alla città, con un pranzo comunitario, e si è precisato che «l’occupazione della caserma non è fine a se stessa e non è contro nessuno. Al contrario è un gesto concreto per restituire alla città spazi inutilizzati e in via di degrado: per farne luoghi di memoria, di socialità, di cultura. Ma ciò sarebbe insufficiente senza un impegno particolare in favore della parte della città maggiormente colpita dalla crisi: di qui la centralità di attività e interventi sul piano sociale che sono in preparazione e presto diverranno realtà: spazi studi per gli studenti, una mensa popolare e soprattutto la risistemazione di spazi abitativi per gli sfrattati». Una occupazione anomala e composita, dunque, che è stata accompagnata da un immediato contatto con Cassa depositi e prestiti e Comune di Torino finalizzato a un «riconoscimento» della situazione con la dichiarata intenzione di assumersi tutti gli oneri di gestione. Intanto la caserma è stata abitata da una comunità di giovani, sono state realizzate la mensa gratuita (che ha servito fino a 80 pasti al giorno per sei mesi) e le aule studio, sono iniziati i lavori necessari per rendere la struttura abitabile durante l’inverno a fini abitativi, è stato accolto un gruppo di rifugiati pachistani e si è sviluppata una intensa attività culturale e formativa (con la partecipazione della migliore cultura italiana, di cui Gallino è esempio). Due settimane fa, infine, si sono rifugiate in caserma 25 famiglie di Rom sfrattate dai luoghi di abitazione, organizzate da un collettivo anarchico, con cui è iniziato un proficuo confronto diretto a trovare soluzioni stabili e dignitose, anche con la necessaria pressione nei confronti delle istituzioni locali. La reazione dell’establishment cittadino non si è fatta attendere ed è iniziata una vera e propria campagna di delegittimazione, che ha visto in primo piano i giornali cittadini e la politica (dalle destre al Partito democratico). Anziché ragionare sulla insufficienza delle risposte della città ai crescenti bisogni sociali e alla necessità di forme innovative di impiego e gestione dei (molti) beni pubblici abbandonati si è gridato alla «illegalità», si è parlato di un’occupazione con l’occhio aperto alle prossime elezioni amministrative, si sono adombrate divisioni profonde tra gli occupanti, si è apertamente richiesto lo sgombero, soprattutto a partire dall’arrivo in caserma delle famiglie Rom. E, infine, lo sgombero è arrivato. La legalità (invocata in prima fila dagli eredi dei repubblichini) è stata ripristinata, i Rom sono tornati per strada, la mensa è stata chiusa, una esperienza originale e innovativa di rapporto tra sociale e politica si è (momentaneamente) arrestata. Da oggi, con una manifestazione davanti alla caserma, si comincerà a costruire una risposta forte. Perché è qui – come ci ha insegnato Gallino – che si costruisce un nuovo modo di fare politica e di collegarlo con le persone in carne ed ossa.

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Cari­che, sgomberi e pistole. Che succede nell’università? https://www.micciacorta.it/2015/10/cari%c2%adche-sgomberi-e-pistole-che-succede-nelluniversita/ https://www.micciacorta.it/2015/10/cari%c2%adche-sgomberi-e-pistole-che-succede-nelluniversita/#comments Sat, 24 Oct 2015 08:15:27 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20742 A Pisa la polizia sgombera una protesta con una pistola. A Roma pesta 70 studenti pacifici e ne arresta 4. In mezzo gli sgomberi delle case e cariche in tutta Italia.

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Movimenti. A Pisa la polizia sgombera una protesta con una pistola. A Roma pesta 70 studenti pacifici e ne arresta 4. In mezzo gli sgomberi delle case e cariche in tutta Italia. La fine della mediazione sociale e la crisi delle istituzioni. Così si governano le città nella democrazia secondo Renzi

Cari­che, sgom­beri, arre­sti e pistole. Che suc­cede nell’università? L’incapacità di gover­nare, la man­canza di una visione stra­te­gica, l’assenza di un sapere rela­zio­nale e di un’idea di demo­cra­zia non auto­ri­ta­ria mol­ti­plica solu­zioni peri­co­lose e improv­vi­sate. Lo si è visto a Roma il 16 otto­bre scorso con il pestag­gio (e l’arresto di 4 ragazzi poi rila­sciati) da parte delle forze dell’ordine di una set­tan­tina di stu­denti paci­fici della Sapienza che pro­te­sta­vano con­tro la con­ces­sione in affitto dello spa­zio uni­ver­si­ta­rio alla Maker Faire, la sua chiu­sura a lavo­ra­tori e stu­denti non con­cor­data con i sin­da­cati.

Lo si è visto a Pisa dove, gio­vedì pome­rig­gio, in un’occupazione uni­ver­si­ta­ria ha fatto irru­zione la Digos con pistola in pugno, scor­tata da cin­que volanti e tre camio­nette. Ieri a Udine, ai ricer­ca­tori pre­cari la Celere ha impe­dito di entrare in un’aula dell’università per con­fron­tarsi con il par­tito demo­cra­tico che ha orga­niz­zato una «Leo­polda» sulla ricerca. Nel mezzo lo sgom­bero degli occu­panti dell’Ex Tele­com a Bolo­gna, un altro a Torino, le cari­che a Porta Pia a Roma con­tro un pre­si­dio dei movi­menti della casa in soli­da­rietà. Da tempo è sal­tata la media­zione poli­tica dei corpi inter­medi. Ora si chiama la poli­zia. Alla nego­zia­zione sociale ci pensa la magistratura.

Il caso pisano è cla­mo­roso come dimo­strano le imma­gini dif­fuse in rete. In una città uni­ver­si­ta­ria gra­vata dalla crisi, la nuova riforma dell’Isee ha eroso oltre 2 mila borse di stu­dio e espel­lerà i bor­si­sti dalle resi­denze uni­ver­si­ta­rie. A que­sto si aggiunge il dibat­tito sulla desti­na­zione dell’Ex Gea, lo spa­zio occu­pato dagli stu­denti nel polo dei corsi di Scienze per la pace in via Ema­nuele Fili­berto che l’ateneo inten­de­rebbe cedere a un’azienda in cam­bio dell’ex con­vento delle Bene­det­tine sul lun­garno Son­nino. «L’università ha taciuto e non ha dato alcuna rispo­sta sul destino dell’area come richie­sto da 12 anni dai movi­menti sociali della città – sostiene la lista civica pisana “Una città in comune” che chiede le dimis­sioni del ret­tore Augello e del que­store Fran­cini — È troppo impe­gnata nel riu­scire a otte­nere dal Comune una variante urba­ni­stica per “valo­riz­zare” quelle aree al fine di ven­derle per costruire nuove case».

L’azione degli stu­denti ha sol­le­vato il pro­blema dell’uso di migliaia di libri tro­vati insca­to­lati in un magaz­zino. I respon­sa­bili ammi­ni­stra­tivi dell’ateneo li hanno accu­sati del furto di «alcune decine» di libri. I 40 inte­res­sati non vogliono farsi trat­tare da ladri, dopo che la poli­zia li ha scam­biati per cri­mi­nali, e respin­gono l’accusa: «Che ci fanno quei libri distrutti, impol­ve­rati, dalle coper­tine rovi­nate e l’intonaco caduto sugli sca­to­loni?». Que­sta matassa di pro­blemi non si può risol­vere con un’irruzione a mano armata della poli­zia in spazi dove non dovrebbe entrare. Gli stu­denti chie­dono le dimis­sioni del ret­tore Augello (incon­trato ieri, hanno otte­nuto un’assemblea gio­vedì con sospen­sione della didat­tica) al quale adde­bi­tano la respon­sa­bi­lità poli­tica di una simile azione. Il coor­di­na­tore di Sel, Nicola Fra­to­ianni, ha pre­sen­tato un’interrogazione al mini­stro dell’Interno Alfano: «Dovrà chia­rire fino in fondo la vicenda che poteva avere con­se­guenze tragiche».

Le città sono gover­nate come un Far West. L’unico impe­gno civile è quello di tenere lindi e pinti i loro muri. Chi pone una con­trad­di­zione, o un’istanza di giu­sti­zia e redi­stri­bu­zione, viene punito. Le ano­ma­lie o i dis­sidi sono trat­tati come atti cri­mi­nali o devianze da san­zio­nare. “Que­sta è una guerra dall’alto con­dotta dal potere poli­tico che com­batte i poveri e non la povertà e la disu­gua­glianza con un totale alli­nea­mento dei media al governo” è l’analisi degli stu­denti della rete della Cono­scenza. È pos­si­bile datare que­sta svolta auto­ri­ta­ria a due anni fa, quando l’attacco al movi­mento della casa è ini­ziato da Roma, con la giunta Marino impo­tente davanti agli sgom­beri. Da quel momento, la domanda più ricor­rente è: chi governa le nostre città?

 In alto Bolo­gna 20 otto­bre 2015, bam­bino con un respi­ra­tore tra­spor­tato nel corso dello sgom­bero Ex Tele­com; Roma 20 otto­bre 2015, idrante con­tro i movi­menti della casa a Porta Pia; Roma 16 otto­bre 2015, carica agli stu­denti; Udine 23 otto­bre 2015, celere in strada davanti ai ricer­ca­tori pre­cari e studenti

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