Paolo Ferrero – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Tue, 26 Jan 2016 08:00:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 La sinistra rinasce insieme al referendum https://www.micciacorta.it/2016/01/21215/ https://www.micciacorta.it/2016/01/21215/#comments Tue, 26 Jan 2016 08:00:18 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21215 A febbraio l’assemblea, poi il partito. Fratoianni: «Non ci saranno inviti perché non c’è padrone di casa»

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sinistra

«Vedrete che il referendum sarà il primo passo per allargare il campo. Molti elettori del partito democratico sono critici con la riforma costituzionale di Renzi». L’ex pd Alfredo D’Attorre è sicuro che sarà il «plebiscito» la vera start up del nuovo partito di sinistra. «Conosco i miei compagni. Molti della minoranza Pd se ne stanno rendendo conto, si capisce anche dalle parole di Gianni Cuperlo: in tanti non faranno i militanti dei comitati del sì». Nel frattempo il nuovo partito della sinistra nasce, giurano. È già una notizia. Dopo tante repliche dello sketch «annunciazione, annunciazione» (del trio la Smorfia dell’indimenticabile Massimo Troisi) stavolta una data c’è. Dal 19 al 21 febbraio al Palazzo dei Congressi di Roma si riunisce una sinistra più o meno autoconvocata dall’appello «una sinistra di tutti e tutte», lanciato su internet da un gruppo di ragazzi di diversi movimenti e accolto al balzo da Sinistra italiana-Sel, e da tante singole personalità, come Sergio Cofferati, l’europarlamentare che ha rotto con il Pd dopo le primarie in Liguria. Cofferati ieri era uno dei protagonisti della presentazione della tre giorni intitolata «Cosmopolitica», forse un’allusione autoironica alla conquista dello spazio dei cosmonauti russi. Con Cofferati, in una mezcla che la dice lunga dice sulle culture e storie diverse che si troveranno fianco a fianco nella nuova partenza, c’erano il giovane Claudio Riccio (Act, acronimo di Agire, costruire, trasformare) e la giovane Mapi Pizzolante (portavoce della rete Tilt), Nicola Fratoianni e Betta Piccolotti (Sel), lo stesso D’Attorre. Fra il pubblico c’è anche il già no global Luca Casarini. Non sarà «la solita assemblea», giura Fratoianni, «ma uno spazio pubblico, tre giorni di lavoro, confronto, studio e dibattito in cui condividere l’inizio di una sfida collettiva». Nella conferenza stampa gli aggettivi «discontinuo» , «originale», «innovativo» e «trasparente» si elargiscono senza economia. Presto in rete sbarcherà la piattaforma digitale, sarà un po’ la vera base spaziale dei nuovi cosmopolitici. Nei 24 laboratori di venerdì 19 e sabato 20 si discuteranno temi selezionati in anticipo fra quelli più cliccati sul sito cosmopolitica?.org. Ogni tavolo «non sarà una kermesse», spiega Piccolotti, ma produrrà un pezzo del programma del nuovo soggetto politico che — mai dire Cosa Rossa — a fine assemblea avrà finalmente un nome, un pre-tesseramento (Sel ha sospeso il suo in attesa del nuovo partito) e un gruppo dirigente provvisorio, eletto dalla plenaria finale. Il congresso fondativo arriverà a fine anno, non solo dopo le amministrative — che qui vengono appena citate ma saranno comunque un banco di prova importante — ma soprattutto dopo il referendum costituzionale: quello sì descritto come fondativo. Il nuovo soggetto non sarà — giurano — solo l’evoluzione di «Sinistra italiana», il gruppo parlamentare nato dalla fusione di vendoliani ed ex pd. Ma quanto al nome, è probabile che non si discosterà troppo da un semplice ed ecumenico «Sinistra» o «La sinistra». «Ma nessuno fin qui può anticipare nulla», spiega Cofferati, «perché il processo è aperto e l’ambizione è grande, quella di colmare un vuoto della politica italiana, dare un riferimento organizzato a sinistra a tutti quelli a cui manca. Sappiamo che sono tanti». Qui arriva una parte delicata del discorso. Alla presentazione dell’assemblea mancano alcune facce storiche e alcuni pezzi di sinistra: i comunisti di Ferrero, i ’possibilisti’ di Civati e L’Altra europa. Fra loro c’è chi parteciperà e chi no. Dopo le rotture degli scorsi mesi i fili del dialogo si stanno riannodando, spiega Fratoianni, «ma all’assemblea non ci saranno inviti perché il ’processo’ non ha proprietari. Non è tanto l’unità della sinistra che cerchiamo, ma quella delle persone». La squadra della «cosmopolitica» confida che alla fine, un passo alla volta, si ritroveranno tutte o quasi le sigle della sinistra. Ma il punto vero sarà trovare o ritrovare tutti gli altri.

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Rimescolare le carte per vincere la partita https://www.micciacorta.it/2016/01/21134/ https://www.micciacorta.it/2016/01/21134/#respond Thu, 14 Jan 2016 09:10:09 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21134 Sinistra. Si tergiversa troppo. La battaglia referendaria, le lotte sul lavoro e sulle iniziative internazionali non consentono tempi biblici. E’ il momento del coraggio di provare

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Keith Haring

Domenica si riunirà il Comitato Nazionale dell’Altra Europa per Tsipras , l’organismo — un centinaio di persone — eletto ormai parecchio tempo fa, quando si decise di rendere stabile la rete dei comitati che aveva partecipato alla campagna elettorale europea del maggio 2014. Sarà il primo incontro dopo la così detta rottura del famoso tavolo incaricato di negoziare come far partire il processo di costituzione di un nuovo soggetto della sinistra, un passaggio dunque importante per tutti quelli che ancora insistono nel puntare a questo obiettivo. Dico “così detta” rottura, perché una percezione così drammatica di quanto è accaduto quel giorno io francamente non la condivido. Sebbene speri in una sua ulteriore riflessione, ho compreso la posizione espressa con molta onestà da Paolo Ferrero quando ha dichiarato l’indisponibilità del suo partito anche solo di ipotizzare il proprio scioglimento, perché Rifondazione è un partito molto strutturato e identitariamente determinato. E ho pensato che per ora occorresse prenderne atto, indicando subito, però, come stabilire un’intesa per continuare a collaborare. Il processo costituente del resto non è chiuso, è appena aperto, e se funzionerà gli innesti potranno (e dovranno) essere ancora molti. Ho capito meno le reazioni che ho visto espresse on line da molti dell’Altra Europa, perché non vedo francamente in cosa consista il colpo di stato che sarebbe stato operato da chi ha deciso di procedere con chi sia d’accordo nell’avviare un processo — che tutti sappiamo lungo e per niente garantito — al termine del quale, e solo allora, nascerà — forse — un soggetto unitario. Non un’alleanza elettorale, e dunque non fondata soltanto sulla cessione di ciascuna componente della sovranità in questa peraltro quantomai scivolosa materia: questa l’abbiamo già sperimentata e non è stata mai brillante. Fino a quando non si rimescolano le carte — e cioè non ci si mischia anche umanamente nelle stesse sedi; non si creano nuove amicizie e nuove solidarietà; non si discute assieme senza la paura che un’ipotesi o l’altra privilegi questo o quello; non ci si senta solidali anziché pronti all’accusa reciproca; non ci si impegni a capire le ragioni dell’altro, che non vanno solo rispettate ma anche usate come risorsa critica per se stessi — non si andrà da nessuna parte. Per questo la formula “arcobaleno” non va bene: significa immobilizzare le diversità anziché farle vivere come positivo innesco. Ho detto che quanto si discute importa a chi ancora insiste nel puntare all’obiettivo del nuovo soggetto, perché mi rendo conto che siamo sempre meno a sperarci e io che sono piuttosto attempata comincio a sentirmi persino un po’ ridicola. Gli amici e compagni — tanti — che so che potrebbero esser coinvolti nell’avventura cominciano a guardarmi come personaggio un po’ patetico. Il linguaggio del dibattito che si è sviluppato on line è di per sé sufficiente a farsi passare la voglia: grondante di sospetti; a prendere qualsiasi perplessità — pur comprensibile — da parte di chi ha passato anni impegnato in questa o quella amministrazione locale come mero desiderio di mantenere uno sgabello; qualsiasi impazienza per intenzione di tagliar fuori questo o quello; un’intervista di Fassina per indebito protagonismo (che qualcuno esca dal comodo Pd per unirsi alla nostra, per ora almeno, armata brancaleone, non c’è tutti i giorni, non vi pare?); e così via. Ce l’ho anche con chi, a una come me e a tanti compagni anche parecchio più giovani di me, dice che siamo compromessi col ‘900: certo che lo siamo, perché lo abbiamo vissuto pienamente senza tirarci indietro. Ogni generazione ha evidentemente il diritto di ricominciare daccapo: ma lasciamo a Renzi (e a Berlusconi) giudicare quel secolo come fosse stato solo immondizia, gli serve a cancellare tutte le cose che bene o male, e in mezzo a tanti errori, si sono pur conquistate. Io capisco i timori di molti compagni di comitati locali per la possibilità che le organizzazioni nazionalmente strutturate e persino dotate di una rappresentanza parlamentare possano prevaricare le altre. Ma, suvvia, avete paura della “corazzata” Sel? (Magari fosse una nave un po’ più solida!). Se si sentisse tanto autosufficiente non si sarebbe resa disponibile a sciogliersi, tanto più che c’è — ancora, per fortuna — aspettativa in una parte del popolo di sinistra per uno nuovo corso, un’area che non si esaurisce con chi stava a quel famoso tavolo e cui Sel potrebbe guardare. Credo che se Sel insiste nel rapporto in particolare con l’Altra Europa sia per il desiderio di non perdere una esperienza e una cultura — quella che è stata chiamata “generazione di Genova” — che è propria invece ai comitati o reti che a quel tavolo avevano fatto capo. Sia pure quantitativamente non decisivi, quelle forze sono importanti per caratterizzare il nuovo soggetto che intendiamo costruire; ed è perciò che l’apporto dell’ “Altra Europa” è importante. Ma non si può neppure pensare che questa area rappresenti tutta la forza potenzialmente aggregabile. Se tergiversa troppo, rischia di ignorare pericolosamente l’importanza dei tempi politici: siamo alla vigilia di una battaglia referendaria decisiva, di scadenze di lotta sui temi del lavoro e a urgenze di iniziativa internazionale che non consentono tempi biblici. Credo sia il momento di avere il coraggio di provare. Cosa sarà il nuovo soggetto della sinistra dipenderà da chi nel corso del processo ne conquisterà l’egemonia (non il controllo, fido che tutti abbiano letto Gramsci) . Perché di una egemonia c’è bisogno, perché se non riusciamo ad esprimere una leadership, resteremo sempre paralizzati. La costruzione di un gruppo dirigente è stata per qualsiasi forza che ambisca a cambiare il mondo uno dei processi più delicati e importanti, non è una “bestemmia novecentesca”. E’ indispensabile se si vuole un soggetto deliberante e capace di un pensiero lungo, non solo un aggregato che testimonia confuso malessere. (Il 99% contro l’1% può sembrare una bella formula ma non è un caso che quel 99 non vinca mai: perché è facilissimo unirsi sulla protesta, difficilissimo sulle proposte). Non si evitano i rischi di prevaricazione, di autoreferenzialità, di arrogante pretesa di essere il solo soggetto della politica (questo il difetto maggiore del vecchio Pci), di separatezza, in cui sono caduti vittime anche i migliori partiti , evitando di porsi questo problema. (Pensate al leaderismo estremo di tutte le formazioni che si sono volute informali, dal Partito radiale, a Cinque stelle in poi). Si evitano se si riescono a costruire, assieme al partito (io lo chiamo così, ma anche questo è un tema da discutere), forme nuove, stabili e partecipate di democrazia organizzata, che investano il partito e lo costringano a ridefinirsi in rapporto alle nuove soggettività che crescono nella società. Ad impedire ogni separazione interna fra vertice e base serve poi ben più che un insieme di regolette lo sforzo di ridurre al minimo la distanza fra dirigenti e diretti, che vuol dire anche trovare i modi di una crescita collettiva che non separi chi sa (o pretende di sapere) da chi davvero non sa. L’arbitrio ha sempre origine da qui. E allora: possiamo farcela? Potremmo se nessuno si ritrae con paura ma se tutti si sentono abbastanza forti da contribuire a fare questa cosa che vogliamo fare. Come sarà è esito ancora piuttosto aperto. Ed è naturale che sia così. Perché la difficoltà dell’operazione non sta nella malafede di questo o di quello, ma negli stravolgimenti che hanno colpito il mondo e che ci costringono a ripensare tutto. Uno spaesamento di fronte al quale purtroppo nessuno è riuscito a trovare strategie vincenti. Ci sono fasi della storia così, e noi siamo nel pieno di una di queste fasi. E’ una constatazione che rischia di diventare paralizzante, e infatti è qui la radice di tanti abbandoni. Credo sia necessario impegnarsi ugualmente perché c’è speranza di trovare una via se ci parliamo, con la pazienza di ascoltarci reciprocamente, non se restiamo ciascuno a casa propria.

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Landini: “È un avviso all’Europa così la sinistra può ripartire” https://www.micciacorta.it/2015/09/landini-e-un-avviso-alleuropa-cosi-la-sinistra-puo-ripartire/ https://www.micciacorta.it/2015/09/landini-e-un-avviso-alleuropa-cosi-la-sinistra-puo-ripartire/#respond Sun, 13 Sep 2015 17:49:59 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20357 Il leader della Fiom Maurizio Landini: la gente chiede di superare le diseguaglianze 

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Il messaggio che viene dal Labour è incoraggiante anche per la coalizione sociale: «È il segno - dice Landini - che si possono cambiare le politiche neoliberliste».
Landini, come la chiamiamo? «Social coalition»?
«La chiamiamo grande scelta democratica dal basso. La dimostrazione che in Europa le cose si cambiano dalla base e non sperando che si ravvedano le lobbie. Che questo segnale venga dall’Inghilterra di Cameron è un fatto positivo».
Per ora il cambiamento riguarda solo gli iscritti al Labour, sono loro che hanno votato...
«Lo hanno fatto con una grande patecipazione della base, come avviene quando si verficano i cambiamenti in politica. Anche da noi con le primarie c’è stato un cambiamento ».
Solo che in Italia la base ha eletto Renzi. Che non è esattamente sulla stessa linea di Corbyn. Come mai?
«Renzi è stato scelto da chi sperava e voleva cambiare. Quando è stato votato non aveva annunciato che avrebbe peggiorato le leggi sul lavoro e avrebbe realizzato le altre riforme che chiedevano i liberisti di Bruxelles e la Confindustria ».
Come spiega la vittoria di Corbyn?
«È evidente che in Europa c’è una richiesta forte alla politica perché si superino le diseguaglianze sociali, si metta al centro delle scelte la questione del lavoro e la si smetta con politiche che hanno come unico riferimento gli interessi delle imprese e dei mercati. Scegliendo di assecondare quegli interessi i partiti socialdemocratici sono entrati in crisi di fronte all’alternativa tra la Merkel e i populismi ».
L’esito delle primarie britanniche è un sintomo della crisi della socialdemocrazia europea?
«E’ la dimostrazione che quella linea non regge più. Corbyn ha vinto contro le raccomandazioni dei leader moderati del Labour che si sono spesi contro di lui, a cominciare da Blair».
L’ala moderata del Labour dice che Corbyn può vincere le primarie ma non vincerà le elezioni. A che cosa servirebbe allora il successo di ieri?
«Sarebbe facile rispondere che il Labour ha perso le elezioni anche con una guida moderata,. Ma quel che conta è il segnale sociale, la voglia di cambiamento, la richiesta forte di una rottura con la politica neoliberista che ha caratterizzato le scelte degli ultimi anni in Europa».
Dopo la vittoria di Corbyn sarà più facile in Italia far nascere la coalizione sociale che voi proponete?
«È bene precisare che la coalizione sociale non è una sigla politica. C’è una differenza di fondo con l’Inghilterra: lì il Labour è una forza parlamentare nata dall’iniziativa dei sindacati. In Italia i sindacati sono autonomi dalla politica e penso che questo sia un fatto positivo. Il messaggio che viene dal Labour è prima di tutto un avviso alla società europea».
Come era accaduto con Tsipras? Poi però la Grecia ha firmato l’accordo con la Merkel deludendo i suoi elettori..
«E, coerentemente, mi pare, Tsipras ha deciso di andare alla verifica delle elezioni. L’altra Europa che immagina chi critica il neoliberismo non è un’Europa che esce dall’euro (quella semmai è la posizione dei conservatori inglesi) ma un’Europa in cui si rispetta una diversa scala di valori nelle scelte dei governi. La coalizione sociale può aiutare a creare in Italia il clima che favorisce questo cambiamento ».
Paolo Ferrero ha annunciato per novembre la nascita di una costituente della sinistra cui ha invitato anche lei.
Ci andrà?
«A Ferrero faccio gli auguri. La coalizione sociale non è un partito politico».

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Al via a Parigi il forum europeo delle alter­na­tive https://www.micciacorta.it/2015/05/al-via-a-parigi-il-forum-europeo-delle-alter%c2%adna%c2%adtive/ https://www.micciacorta.it/2015/05/al-via-a-parigi-il-forum-europeo-delle-alter%c2%adna%c2%adtive/#respond Sat, 30 May 2015 15:07:36 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=19714 Forum europeo delle alternative. Il Pcf invita a discutere sulla possibilità di un'altra Europa, con tavole rotonde sabato e domenica a Parigi

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ferrero

Dieci anni fa, l’élite euro­pea ha subito un trauma: il 29 mag­gio, i fran­cesi ave­vano votato «no» al refe­ren­dum sulla Costi­tu­zione euro­pea al 54,68% e il 1° giu­gno anche gli olan­desi ave­vano rifiu­tato il passo fede­ra­li­sta al 61%. Il fronte del «no» era – ed è rima­sto – molto diver­si­fi­cato. In Fran­cia il «no» venuto dalla sini­stra ha subito un’opa ostile da parte del Fronte nazio­nale, men­tre la gau­che del rifiuto (Pcf, trotz­ki­sti, parte del Ps e dei Verdi), più che insi­stere su quel «no» poi tra­volto dalle deci­sioni di Bru­xel­les che non ne hanno tenuto conto, con­ti­nua a cer­care di costruire una pro­po­sta alter­na­tiva alla Ue esi­stente, sem­pre più rifiu­tata dai popoli (oggi in Fran­cia il «no» supe­re­rebbe il 60%). Per ricor­dare quel voto e soprat­tutto i dibat­titi che ave­vano infiam­mato il paese e che restano ancora attuali, il Pcf orga­nizza due giorni di incon­tri e discus­sioni sabato e dome­nica, da place de la Répu­bli­que fino a una serie di appun­ta­menti in altri luo­ghi di Parigi, un « forum euro­peo delle alter­na­tive » di un’«Europa con­tro l’austerità», che intende affron­tare molti aspetti della «delu­sione» euro­pea, a comin­ciare dal rigore fal­li­men­tare impo­sto a tutti, fino alla domi­na­zione della finanza (dibat­tito a cui par­te­cipa Paolo Fer­rero di Rifon­da­zione), pas­sando per tavole rotonde sui beni comuni, la disoc­cu­pa­zione gio­va­nile e il pre­ca­riato, l’economia soli­dale, la bat­ta­glia con­tro il Ttip, le pro­spet­tive per un’industria moderna, la pace, la pre­senza in Europa dei media alter­na­tivi. La que­stione del debito e la Gre­cia sono evi­den­te­mente al cen­tro dei dibat­titi. Un con­certo, sabato sera in place de la Répu­bli­que, sarà dedi­cato ai migranti del Mediterraneo. La poli­tica fran­cese, dieci anni dopo il «no», è ancora osses­sio­nata da quel voto. E per la sini­stra della sini­stra, elet­to­ral­mente in dif­fi­coltà, non è facile affron­tare la divi­sione di allora. D’altronde, più che al «no», il rife­ri­mento delle due gior­nate di lavori orga­niz­zate dal Pcf è all’«alternativa», sull’onda di Syriza. Il refe­ren­dum del 2005 aveva rive­lato la divi­sione tra l’élite euro­pei­sta e una parte della popo­la­zione, in dif­fi­coltà, ostile, che si sen­tiva per­dente della mon­dia­liz­za­zione (il 79% degli ope­rai aveva votato «no»). Una frat­tura che in dieci anni non ha fatto che aggravarsi. Il pro­blema è che la sini­stra della sini­stra non è riu­scita a porsi come la prin­ci­pale rap­pre­sen­tante di que­sta con­si­stente com­po­nente sociale. Il pes­si­mi­smo è diven­tato domi­nante, i «per­denti» si sono chiusi su se stessi. Il 21 aprile 2002, Jean-Marie Le Pen era riu­scito ad arri­vare al bal­lot­tag­gio della pre­si­den­ziale e dopo il «no» del 29 mag­gio 2005 c’è stata una pro­gres­sione del Fronte nazio­nale, fino alle euro­pee dell’anno scorso, dove si è atte­stato come primo par­tito (ma ha votato solo la metà dell’elettorato). Eppure, a favore del «no» allora si erano schie­rate molte forze sociali, seguite poi al momento del voto dalla mag­gio­ranza dei cit­ta­dini. «Non siamo stati capaci, e mi assumo la mia parte di respon­sa­bi­lità, di fede­rare que­ste forze di sini­stra, ben­ché aves­simo mate­ria per creare una nuova dina­mica», ammette l’ex mini­stra comu­ni­sta, Marie-George Buffet. Quel «no» è rima­sto esplo­sivo anche per Fra­nçois Hol­lande, che allora faceva parte dei seguaci di Jac­ques Delors e, dopo essersi schie­rato chia­ra­mente per il «sì», aveva dovuto rimet­tere assieme i cocci da segre­ta­rio del Ps (nell’attuale governo ci sono tre per­so­na­lità che ave­vano preso posi­zione per il «no»: i mini­stri degli esteri, Lau­rent Fabius, degli interni, Ber­nard Caze­neuve e della giu­sti­zia, Chri­stiane Taubira).

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