Partito laburista – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Thu, 08 Oct 2015 08:31:41 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Un’agenda per la sinistra (e non solo per Corbyn) https://www.micciacorta.it/2015/10/unagenda-per-la-sinistra-e-non-solo-per-corbyn/ https://www.micciacorta.it/2015/10/unagenda-per-la-sinistra-e-non-solo-per-corbyn/#comments Thu, 08 Oct 2015 07:05:52 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20573 L’economista Marianna Mazzucato spiega i motivi dell’ingresso nel think tank laburista

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BRIGHTON. SETTE economisti (fra cui Joseph Stiglitz, Thomas Piketty e la sottoscritta) hanno accettato di fare da consulenti economici per Jeremy Corbyn, il nuovo leader del Partito laburista britannico. Mi auguro che il nostro scopo comune sia aiutare il Labour a creare una politica economica fondata sugli investimenti, inclusiva e sostenibile. Metteremo sul tavolo idee diverse, ma voglio proporvi le mie considerazioni riguardo alle politiche progressiste di cui il Regno Unito e il resto del mondo hanno bisogno oggi. Quando il Partito laburista ha perso le elezioni, lo scorso maggio, in tanti, anche esponenti del Governo ombra, gli hanno contestato di non aver saputo interloquire con i «creatori di ricchezza», cioè la comunità imprenditoriale. Che le imprese creino ricchezza è evidente. MA anche i lavoratori, le istituzioni pubbliche, le organizzazioni della società civile creano ricchezza, promuovendo crescita e produttività nel lungo termine. Un programma economico progressista deve partire necessariamente dal riconoscimento che la creazione di ricchezza è un processo collettivo e che gli esiti di mercato sono il risultato dell’interazione fra tutti questi «creatori di ricchezza». Dobbiamo abbandonare la falsa dicotomia “Stato contro mercato” e cominciare a ragionare più chiaramente su quali risultati vogliamo che il mercato produca. Investimenti pubblici “mission-oriented”, con un obiettivo chiaro, hanno molto da insegnarci. La politica economica dovrebbe impegnarsi attivamente per plasmare e creare mercati, non limitarsi a ripararli quando si guastano. Le politiche tradizionalmente considerate “business friendly”, come i crediti di imposta e la riduzione delle aliquote, a lungo andare possono essere nocive per l’attività imprenditoriale. Allo stesso modo, è ora di superare il dibattito sull’austerity e discutere di come costruire collaborazioni intelligenti e reciprocamente vantaggiose fra pubblico e privato, in grado di alimentare la crescita per decenni. Per cominciare dobbiamo investire in istruzione, capitale umano, tecnologia e ricerca. In molti settori gli imponenti progressi tecnologici e organizzativi hanno prodotto un aumento della produttività. Molte di queste innovazioni decisive affondano le loro radici in ricerche finanziate dallo Stato. Per garantire che ci siano progressi anche in futuro, ci sarà bisogno di interventi diretti e investimenti in innovazione lungo l’intera catena dell’innovazione: ricerca di base, ricerca applicata e finanziamenti alle imprese nelle fasi iniziali. Oltre a questo c’è bisogno di una finanza paziente e a lungo termine. Gran parte della finanza attuale è troppo speculativa e troppo focalizzata sui risultati immediati. Per una rivoluzione tecnologica c’è bisogno della pazienza e della dedizione dei finanziamenti pubblici. In certi Paesi, come Germania e Cina, sono delle banche pubbliche a svolgere questo ruolo; in altri, il compito è affidato a organismi pubblici. Una cosa del genere significa anche definanziarizzare l’economia reale, troppo attenta al breve termine. Nell’ultimo decennio, le aziende del “Fortune 500” che operano in settori come l’informatica, la farmaceutica e l’energia hanno speso più di 3mila miliardi di dollari per riacquistare azioni proprie, allo scopo di gonfiare il prezzo del titolo, le stock options e i compensi dei dirigenti. Bisogna ricompensare quelle aziende che reinvestono i profitti in produzione, innovazione e formazione del capitale umano. Il passo successivo è incrementare i salari e il tenore di vita. Fino agli anni 80, gli incrementi di produttività erano accompagnati da aumenti salariali. Il collegamento si è spezzato per effetto della riduzione del potere negoziale dei lavoratori e del crescente orientamento delle aziende verso la finanza. I sindacati sono un elemento chiave per un’efficace governance delle imprese e vanno coinvolti maggiormente nelle politiche per l’innovazione, spingendo per investimenti in istruzione e formazione, i motori a lungo termine dei salari. Anche le istituzioni pubbliche devono essere rafforzate. Per poter prendere decisioni di politica economica audaci c’è bisogno di agenzie pubbliche e istituzioni che siano capaci di assumersi dei rischi. Creare una rete di agenzie e istituzioni decentralizzata e dotata di adeguati finanziamenti, che lavora in collaborazione con le imprese, renderebbe lo Stato più efficiente e maggiormente focalizzato in senso strategico. Anche il sistema fiscale deve diventare più progressivo. Dobbiamo farla finita con l’abbassare le tasse alla cieca, creando scappatoie che consentono pratiche di elusione fiscale, e offrire crediti di imposta che hanno effetti limitati in investimenti e creazione di posti di lavoro. Anche sul debito bisogna cambiare atteggiamento. Invece di focalizzarci sui deficit di bilancio, dovremmo puntare l’attenzione sul denominatore del rapporto debito-Pil. Se gli investimenti pubblici accrescono la produttività di lungo periodo, il rapporto rimane sotto controllo. Nell’Ocse, molti dei Paesi con un rapporto debito-Pil più elevato (per esempio Italia, Portogallo e Spagna) hanno un disavanzo relativamente contenuto, ma non investono efficacemente in istruzione, ricerca, formazione, o programmi di welfare disegnati in modo da facilitare l’aggiustamento economico. La politica di bilancio e la politica monetaria sono importanti, ma solo se abbinate alla creazione di opportunità nell’economia reale. La creazione di moneta, attraverso il cosiddetto quantitative easing , non alimenterà l’economia reale se la nuova moneta finirà nei forzieri di banche che non prestano. E quando le imprese non vedono opportunità, i tassi di interesse non bastano a influenzare gli investimenti. Infine, non dobbiamo aver paura di guidare la direzione dello sviluppo verso un’economia verde. Gli stimoli di bilancio dovrebbero sostenere progetti trasformativi, come quelli che hanno determinato i grandi progressi dell’informatica e delle telecomunicazioni, delle biotecnologie e delle nanotecnologie, tutte aree «prescelte» da un settore pubblico che ha lavorato al fianco delle imprese. Lo sviluppo verde è molto di più delle semplici energie rinnovabili: può diventare una direzione nuova per l’intera economia. Copyright: Project Syndicate, 2015 www.project-syndicate.org (Traduzione di Fabio Galimberti)

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Affinità e divergenze tra la sini­stra inglese e quella italiana https://www.micciacorta.it/2015/08/affinita-e-divergenze-tra-la-sini%c2%adstra-inglese-e-quella-italiana/ https://www.micciacorta.it/2015/08/affinita-e-divergenze-tra-la-sini%c2%adstra-inglese-e-quella-italiana/#respond Sat, 15 Aug 2015 07:45:04 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20195 Laburisti e Pd. Da Londra arrivano idee e riflessioni utili per una sensibile riforma del capitalismo

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Nella com­pe­ti­zione interna per la nuova guida del par­tito labu­ri­sta bri­tan­nico affio­rano con­trad­di­zioni e debo­lezze evi­denti, ma anche ele­menti di inte­resse, in gene­rale e per la malan­data sini­stra italiana. Jeremy Cor­byn pare in grado di com­pe­tere per vin­cere, il che, vista la pro­ve­nienza net­ta­mente socia­li­sta del per­so­nag­gio, ha susci­tato molte riflessioni. Da un lato avviene il rilan­cio di pro­grammi per un’assennata ma sen­si­bile riforma del capi­ta­li­smo, evi­den­te­mente impor­tante fra chi par­te­cipa alle pri­ma­rie laburiste. Dall’altro c’è chi teme si tratti di una oscil­la­zione pura­mente iden­ti­ta­ria e reat­tiva, inca­pace di con­qui­stare l’opinione pub­blica inglese per vin­cere le pros­sime ele­zioni, che per arri­dere al Labour dovreb­bero, secondo alcuni cal­coli, spo­stare il 10–12 per­cento dei voti dai con­ser­va­tori ai labu­ri­sti. Non a caso par­liamo qui di inglesi e non di bri­tan­nici, per­ché invece in Sco­zia il voto popo­lare ha già mani­fe­stato il suo grande con­senso per il socia­li­smo nazio­nale demo­cra­tico dello Snp: una cri­tica alle incer­tezze del Labour (che ci ha perso una cin­quan­tina di seggi) e un rifiuto del modello neo­li­be­rale del Regno Unito. Altri fanno però notare che pur essendo le chan­ces di vit­to­ria elet­to­rale di Cor­byn ridotte, il favore di cui gode è più sag­gio di quanto sembri. Le ele­zioni distano cin­que anni, e nel frat­tempo il par­tito potrebbe uti­liz­zarne un paio con Cor­byn per rive­dere quella parte essen­ziale della pro­pria cul­tura politica. Ad esem­pio la rein­tro­du­zione della vec­chia «clause 4» (abo­lita dal New Labour) ma in modo nuovo: non più la socia­liz­za­zione dei mezzi di pro­du­zione ma soprat­tutto la cen­tra­lità di alcuni ser­vizi pub­blici e infra­strut­tu­rali (dalle fer­ro­vie alle ero­ga­zioni di base) la cui pri­va­tiz­za­zione è stata chia­ra­mente un insuccesso. Alla base di tutto due con­si­de­ra­zioni. La prima: la stra­te­gia di Ed Mil­li­band, posi­tiva per avere rein­tro­dotto il tema della dise­gua­glianza, è stata capace di aumen­tare il con­senso Labour (men­tre la coa­li­zione di governo nel com­plesso non cre­sceva) ma non di vin­cere. Ciò, per molti, poi­ché i poli­to­logi avreb­bero con­vinto EdM che con una linea pru­dente non sarebbe mai sceso sotto il 35%. Cosic­ché non si è rite­nuto di difen­dere la bontà delle misure pro-domanda adot­tate da Gor­don Brown prima delle pre­ce­denti ele­zioni, e anzi la loro per­si­stente necessità. I tories hanno così potuto addos­sare, dinanzi alle classi medie, la colpa delle pro­prie misure auste­ri­ta­rie alla pre­ce­dente (pre­sunta) «irre­spon­sa­bi­lità» labu­ri­sta. Insomma, una vicenda non troppo diversa dalla pru­dente gestione del «van­tag­gio» di Ber­sani, anche poi se nel Pd è avve­nuto l’inverso della «rea­zione Corbyn». Ciò con­duce alla seconda con­si­de­ra­zione: comun­que si giu­di­chi Cor­byn, si con­ferma quanto rimanga forte nel Labour l’identità del lavoro. Il sin­da­cato e milioni di iscritti vi inte­ra­gi­scono, pro­nun­cian­dosi apertamente. Forse il sin­da­cato ita­liano, con moda­lità adatte a noi che si potreb­bero discu­tere, dovrebbe anch’esso atti­varsi in modo ana­logo più di quanto fac­cia, almeno nella fase sto­rica attuale, in cui (come per il Labour delle ori­gini) occorre uno sforzo gene­ra­tivo e uni­ta­rio per un’organizzazione poli­tica che rap­pre­senti meglio certe istanze. La sini­stra euro­pea può nono­stante tutto ancora inse­gnare che il rap­porto fra sin­da­cato di pro­gresso e par­titi di sini­stra è impor­tante, ed attua­bile in modo diverso sia dalla cin­ghia di tra­smis­sione (pre­va­lenza del par­tito), sia dal vec­chio modello Labour (par­tito «del sindacato»). Nella parità fra i due sog­getti, con rap­porti dif­fusi e crea­tivi vari, già spe­ri­men­tati in Europa, e già ipo­tiz­za­bili: una fase fon­da­tiva e di ricerca, pru­dente, ma non inti­mi­dita da chi urla al «sin­da­cato che fa politica». Nella distin­zione delle fun­zioni, e con tutti i disac­cordi futuri ipo­tiz­za­bili, rimane inte­resse di un sin­da­cato che esi­sta un inter­lo­cu­tore poli­tico sen­si­bile ai suoi temi.

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