Patricio Guzmán – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Sun, 19 May 2019 08:07:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Il nuovo film di Patricio Guzmán e il cortocircuito della memoria cilena https://www.micciacorta.it/2019/05/il-nuovo-film-di-patricio-guzman-e-il-cortocircuito-della-memoria-cilena/ https://www.micciacorta.it/2019/05/il-nuovo-film-di-patricio-guzman-e-il-cortocircuito-della-memoria-cilena/#respond Sun, 19 May 2019 08:07:45 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25433 Cannes 72. Presentato fuori concorso il nuovo film di Patricio Guzmán «La Cordillera de los sueños» CANNES. All’inizio ci sono le Ande, più che delle montagne, e una entità geografica sulla cartina; la Cordillera è un stato dell’animo, una presenza millenaria intimamente radicata nel Cile e nella vita di chi lo abita. Da qui, da queste […]

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Cannes 72. Presentato fuori concorso il nuovo film di Patricio Guzmán «La Cordillera de los sueños» CANNES. All’inizio ci sono le Ande, più che delle montagne, e una entità geografica sulla cartina; la Cordillera è un stato dell’animo, una presenza millenaria intimamente radicata nel Cile e nella vita di chi lo abita. Da qui, da queste vette di oltre cinquemila metri, che rendono il Cile «un’isola» comincia il nuovo viaggio di Patricio Guzmán secondo il dispositivo messo in atto nei suoi due film precedenti, Nostalgia della luce (2010) e La memoria dell’acqua (2015): come un archivista del paesaggio vi cerca le tracce con cui ripercorrere la storia del suo Paese, da nord a sud, dal deserto alle isole fino appunto alla Cordillera di Santiago, le sue immagini compongono una cartografia della memoria che è una dichiarazione di resistenza contro i vuoti di un presente che non è mai neutro ma di quanto si è vissuto, i traumi e le cesure violente – il golpe, le torture, gli omicidi di regime di massa, le connivenze, i silenzi – porta i segni e esprime le conseguenze. RISPETTO ai capitoli precedenti di quella che appare come una ideale trilogia, La Cordillera de los sueños – presentato fuori concorso – narrata come gli altri film dalla voce dello stesso cineasta, espone una prima persona ancora più evidente che è insieme sentimentale e politica verso un luogo da cui è fuggito con la dittatura di Pinochet, in cui ha deciso di non tornare mai più e che è però è sempre rimasto al centro del suo lavoro di cineasta. Quelle montagne la prima volta le ha viste da bambino sulla scatola dei fiammiferi dove sono ancora oggi. Tra i detriti della casa della sua infanzia, risparmiata dalla gentrificazione, e le rocce della Cordillera divenute pavimentazione della strada risuonano nei suoi ricordi ancora i passi in fuga degli oppositori al regime ammazzati dalla polizia, il rumore dei carrarmati, lo stadio è la deportazione, anche lui un mattino si è visto arrivarci tra decine di migliaia di prigionieri: una generazione. RIMANGONO le targhe sul selciato, nomi ora sconosciuti come le sigle accanto: Pc, Mir … E poi? Quanto esiste nella consapevolezza collettiva di questo passato? Come trasmetterlo a chi non l’ha vissuto con la stessa necessità? Come riuscire a non renderlo un’ombra, un fantasma, qualcosa di «normalizzato» in un presente che in fondo ne discende, scelte economiche, stabilità, pochi diritti, ricchezza e povertà? LE VOCI di chi incontra, artisti, scrittori, «sopravvissuti» dicono di un Paese che ha preferito dimenticare, concentrato sullo sviluppo economico, governato con strategie neoliberiste, tra divari di povertà e ricchezza sempre più grandi, senza rispetto per i diritti, germi che in fondo la dittatura aveva disseminato nel suo progetto: «Chi ha governato specie negli anni Novanta era stato con Pinochet» dice qualcuno. PER SCARDINARE questo cortocircuito ci sono pochi mezzi: la lotta di ieri e di oggi, e l’archivio prezioso di Pablo Salas (direttore della fotografia del film) che da allora filma ogni conflitto sociale, scontri, repressione ininterrottamente con i mezzi che nel tempo si sono trasformati aiutandolo nella sua «documentazione». Le immagini possono avere ancora la capacità di illuminare quanto nella narrazione ufficiale rimane ai margini, ciò che non esiste perché invisibile come le baracche di un orizzonte remoto, antitetico allo skyline dei grattacieli. È il Cile, è il nostro tempo. La scommessa di un cineasta è soprattutto questa. * Fonte: Cristina Piccino, IL MANIFESTO

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Santiago, Italia. Nel paese innamorato di Salvador Allende https://www.micciacorta.it/2018/12/santiago-italia-nel-paese-innamorato-di-salvador-allende/ https://www.micciacorta.it/2018/12/santiago-italia-nel-paese-innamorato-di-salvador-allende/#respond Sat, 01 Dec 2018 09:42:36 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25040 Cinema. «Santiago, Italia», il nuovo film di Nanni Moretti, racconta il golpe nel Cile del ’73 ma si rivolge all’Italia di oggi

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C’è ancora chi ti domanda se in Cile ci siano problemi con la dittatura. In quel paese lontano geograficamente, nel tempo e nell’immaginario è tornato Nanni Moretti, ci chiedevamo perché proprio adesso che sembra così inattuale, non fosse per la sua consolidata democrazia, per avere avuto la prima donna presidente del latinoamerica, per essere oggi «la pantera» economica del continente. Nanni Moretti fa del suo viaggio un attualissimo intervento politico, specchio dei nostri tempi, rivolto a raccontare attraverso la storia qualcosa che non deve ripetersi. Ne fa una materia pulsante di vita e, senza quasi dare indicazioni, mostra come sia fragile la democrazia se non la si difende. Ci fa vedere in prospettiva come eravamo rispetto a come siamo diventati, come indica la dicotomia del titolo (Santiago, Italia). Oltre che l’amicizia tra i popoli indica anche un’allerta. Se del documentario il film utilizza tutti i materiali come le interviste, gli spezzoni delle cineteche, delle televisioni e degli archivi, perfino talvolta la voce fuori campo, del cinema possiede la capacità di creare un’aspettativa crescente, di rendere emblematici i suoi personaggi, espanderne le parole nell’immaginazione, avanzare a colpi di scena, fare intravedere i fantasmi della Storia. EPPURE quegli eventi si conoscono, tanti sono stati i film, molti li hanno vissuti: evidentemente non abbastanza se l’occidente intero flirta oggi con la destra, che non cambia mai. Non cambia soprattutto neanche in Cile, dove non solo i militari sotto processo si professano innocenti esecutori di ordini, ma strati della popolazione si dichiarano ancora di parte senza alcun dubbio. Con un perfetto bilanciamento di materiali, anzi di etica cinematografica, la parola è data ai tanti militanti che vissero la stagione della dittatura, ben inquadrati e illuminati come veri protagonisti della storia, testimoni di episodi cruciali a cominciare dall’euforia del periodo di presidenza di Allende («era un paese innamorato») che Patricio Guzmán riprende nel suo film El Primer Año. Chi sono quegli imprenditori, operai, avvocate, giornaliste, educatrici, diplomatici che di fronte alla cinepresa raccontano in italiano i loro ricordi dell’11 settembre del ’73? Ognuno di loro ha una storia interessante, alcuni si riconoscono, altri la sveleranno nel momento chiave del racconto. Nel film l’ultimo discorso del presidente assume un valore di testamento: «Non ho la vocazione del martire, voglio compiere una funzione sociale e non farò un passo indietro». Che sia stato assassinato non lo ha sostenuto solo Miguel Littin, quello di Allende è stato il più spettacolare assassinio in diretta della storia. INIZIALMENTE, come prologo di una tragedia ecco le conquiste del primo paese socialista al mondo democraticamente eletto, con le politiche di alfabetizzazione, scuola gratuita e latte per i bambini, nazionalizzazione del rame e la brusca reazione della destra che riesce a bloccare il paese, dal commercio con il mercato nero, al fiancheggiamento della stampa fino alla potente macchina da guerra della Cia. Mentre si susseguono le testimonianze, si sente per la prima volta l’intervento del regista con una sua domanda che fa ammutolire di commozione l’intervistato, un imprenditore a cui chiede «come guardi i tuoi anni di militanza?», e il silenzio che indica un grande conflitto interiore è rotto dalla considerazione inaspettata: «Non mi sono mai posto questa domanda» e sarà il primo indizio di una chiamata a raccolta. POI ARRIVANO i racconti della rapidità del golpe, dello stadio dove sono ammucchiati i prigionieri politici (tra cui Guzmán e Paolo Hutter di Lotta Continua, Antonio Arevalo allora giovanissimo poi diventato l’addetto culturale del Cile), di Villa Grimaldi. La voce di Nanni Moretti prima appena accennata nelle interviste, si torna a sentire nell’incontro con un militare convinto di aver salvato il paese («il paese era sull’orlo della guerra civile e del resto Allende era stato eletto solo con il 36% dei voti»). E comparirà sullo schermo inaspettatamente in una dura scena girata in carcere a sovrastare un altro militare condannato che si proclama innocente e minimizza («in Argentina sono morti in 30mila, in Cile solo in 3mila»). L’AMBASCIATA italiana a Santiago diventa il momento chiave del film, là dove molti dei personaggi intervistati trovarono rifugio scavalcando il muro di cinta (su questo eroico episodio Daniela Preziosi, Tommaso D’Elia, Ugo Adilardi realizzarono nel 2006 il documentario Calle Miguel Claro 1359), con racconti che nel passare del tempo ha assunto anche toni divertiti a dispetto dell’azzardo, del pericolo: l’Italia che non ha mai riconosciuto la giunta, aveva in sede i diplomatici De Masi e Toscano che decisero di accogliere a centinaia giovani, donne, intere famiglie di militanti, (e i bambini giocavano nel giardino a «el esiliado y el policia»), poi forniti di salvacondotto per l’Italia dove sono stati accolti con solidarietà per anni, la valigia sempre pronta per tornare. Immagine di un’Italia sparita. * Fonte: Silvana Silvestri, IL MANIFESTO

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