riscaldamento climatico – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Tue, 15 Dec 2015 10:40:20 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Naomi Klein: «La lotta per l’ambiente deve arrivare dal basso» https://www.micciacorta.it/2015/12/20999/ https://www.micciacorta.it/2015/12/20999/#respond Tue, 15 Dec 2015 10:40:20 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20999 Intervista a Naomi Klein. «Se permetteremo la crescita delle temperature, non dovremo fare i conti solo con un clima estremo, ma anche con un mondo più estremo»

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PARIGI. Abbiamo incontrato la giornalista e attivista canadese Naomi Klein a Parigi, all’indomani dell’approvazione dell’accordo intergovernativo, sottoscritto alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop21.

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Come valuti gli esiti di due settimane di negoziati. Credo che oggi siamo arrivati a un momento chiarificatore. Non siamo venuti qui a pregare i leader di salvare il mondo, perché abbiamo gli occhi ben aperti e sappiamo che ciò che hanno portato al tavolo dei negoziati non ci condurrà ad alcuna soluzione definitiva. C’è ancora un’enorme distanza tra quello che tutti dicono si dovrebbe fare per abbassare le emissioni e per mantenere le temperature al di sotto dell’incremento di un grado e mezzo, da una parte, e quello che sono effettivamente disposti a fare, e il modo in cui si intende procedere, dall’altra. Versione dopo versione, fino al testo finale dell’accordo, non vi è nulla di decisivo sui combustibili fossili, rispetto alla necessità di lasciare nel sottosuolo gran parte delle riserve esistenti di carbone, petrolio e gas naturale. Ma la gente che ha riempito le piazze, qui a Parigi, non si sta piangendo addosso, non è disperata. Siamo invece ben consapevoli che dobbiamo lavorare ancora più duramente. E dobbiamo essere noi a fare quello che i politici non vogliono fare. Nonostante la situazione creatasi dopo le stragi del 13 novembre, decine di migliaia di persone, dalla Francia e dal Nord Europa, con significative presenze dal Sud del mondo e dal Nord America, hanno reso sabato evidente l’esistenza di un movimento planetario per la “giustizia climatica”, forse oggi l’unico movimento sociale di scala globale. Come può riuscire a essere davvero incisivo? Dobbiamo accrescere la nostra forza. E come si possa fare, per riuscire a condizionare le scelte delle multinazionali, l’abbiamo già visto: per le strade, nelle foreste, sui mari. Come gli attivisti in kayak che hanno circondato le piattaforme petrolifere della Shell, costringendola a cessare le trivellazioni in Artico e in Alaska, per non vedere la propria immagina rovinata. O nel caso dell’oleodotto Keystone XL, e di tutte le pipe-line legate all’industria estrattiva delle «sabbie bituminose», ogni singolo tratto ha dovuto fare i conti con le forti proteste di ogni singola comunità locale. A partire da queste esperienze, dobbiamo essere capaci di creare coalizioni sempre più ampie, di cambiare il modo con cui l’attivismo si presenta all’esterno, di esprimere la stessa varietà e diversità che si vede nelle nostre città e territori. Lo sapevamo anche prima, ma ora è più chiaro: non abbiamo dei leader che agiranno per l’ambiente, dobbiamo farlo noi in prima persona. La leadership deve venire dal basso, dalle comunità. Praticando azioni dirette. Azioni che devono diventare visibili, nei mercati finanziari e nei tribunali: disinvestire nelle aziende che estraggono combustibili fossili, farli apparire investimenti rischiosi, denunciare le bugie e la disonestà di corporation come la Exxon, portarle davanti ai giudici, dimostrando che conoscevano gli effetti del cambiamento climatico e che hanno mentito di proposito. Dobbiamo cambiare la dinamica, indebolendo il potere degli interessi che stiamo combattendo. Parigi è stato lo scenario su cui si sono confrontate le scelte politiche dei governi nazionali, il ruolo giocato dalla grandi imprese impegnate, a suon di sponsorizzazioni (penso al ruolo di Total e dell’italiana Eni, contestate da una riuscita protesta all’interno del Louvre), a rifarsi un’immagine “verde”, e l’azione dei movimenti. Con quale bilancio? Le ultime due settimane ci hanno offerto proprio lo scontro con quelle «soluzioni», offerte dalle multinazionali, che non sono affatto soluzioni. E che non avranno alcun effetto reale sulle emissioni. Continueranno invece ad arricchire le élite esistenti, le stesse che commerciano sementi ogm, l’industria nucleare, petrolifera. E anche qui hanno usato Le Bourget come il loro megafono, mentre il governo francese ha cercato di imbavagliare chi proponeva soluzioni diverse, come chi si batte per la giustizia energetica, un’agricoltura ecologica e il trasporto pubblico, la proprietà e il controllo delle comunità sulle fonti di energia rinnovabili. Invece abbiamo sentito parlare Bill Gates e Richard Branson, mentre mettevano il bavaglio alle proteste. Non è servito a niente, perché le persone erano determinate a scendere in piazza comunque. Il governo francese ha capito che non poteva sostenere politicamente questa scelta. E che scontri con la polizia nell’ultimo giorno di Cop 21 sarebbero stati un disastro per la propria immagine. Per questo, qui a Parigi, hanno dovuto sospendere loro malgrado il divieto a manifestare. E, probabilmente, chiudere al traffico una strada piena di negozi in un sabato pomeriggio pre-natalizio ha fatto di più per la riduzione delle emissioni, di quanto non abbiano realizzato loro alla Conferenza. Ci viene detto che siamo in uno «stato di guerra», stiamo forse entrando in un periodo di guerre per il clima? Il cambiamento climatico ha già contributo a innescare la guerra civile in Siria, che aveva appena sperimentato la più terribile siccità della sua storia recente, con conseguente carestia che ha prodotto migrazioni interne, che hanno coinvolto quasi due milioni di persone. E quando c’è scarsità di risorse si creano inevitabilmente nuove tensioni, che sono andate a sommarsi ai conflitti già esistenti in quella regione, causati a loro volta storicamente dalla lotta per impadronirsi delle risorse energetiche. Si crea perciò un effetto a tenaglia: da un lato l’effetto destabilizzante della caccia ai combustibili fossili, dall’altro gli effetti destabilizzanti prodotti dall’utilizzo di quegli stessi combustibili. Quando parliamo di cambiamenti climatici, questi provocano non solo un clima più caldo o l’innalzamento del livello dei mari: provocano anche un’epoca più crudele. Una situazione di scarsità come questa non può che creare ulteriori conflitti. Ricordiamo perciò sempre che, se permetteremo la continua crescita delle temperature, non dovremo fare i conti solo con un clima estremo, ma anche con un mondo più estremo. Si ringraziano per la collaborazione Niccolò Milanese di European Alternatives, Marica Di Pierri di A Sud e Barbara Del Mercato di «Venezia in comune»

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«L’emergenza è climatica » https://www.micciacorta.it/2015/12/lemergenza-e-climatica/ https://www.micciacorta.it/2015/12/lemergenza-e-climatica/#respond Sun, 13 Dec 2015 09:25:18 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20992 Mobilitazioni. Cortei con decine di migliaia di attivisti sfidano le misure di sicurezza

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PARIGI. È una città stretta nella tenaglia di un duplice «stato d'emergenza », la Parigi teatro dell’ultimo giorno di Conferenza intergovernativa delle Nazioni Unite. Da una parte la morsa dell’état d’urgence, dichiarato e applicato dal governo Valls dopo le stragi del 13 novembre. Dall’altra l’«emergenza democratica» alla vigilia di cruciali ballottaggi che, per la prima volta, potrebbero consegnare al Front National alcune regioni dell’Esagono. Una stretta che rischiava di ridurre al silenzio le mobilitazioni, colpite dal dispositivo poliziesco di limitazione delle libertà costituzionali. Ciò nonostante migliaia di persone hanno animato, nello spazio culturale Le Centquatre, le affollatissime assemblee della Zone d’Action Climatique, promossa dalla coalizione Climat21, e numerose iniziative a sorpresa hanno saputo, nei giorni scorsi, indicare efficacemente le responsabilità di multinazionali e istituzioni pubbliche nell’alimentare il surriscaldamento globale. Ieri è stata la giornata in cui, finalmente, migliaia di attiviste e attivisti da tutto il mondo sono riusciti a rompere la cappa di piombo dei divieti, richiamando la necessità di intervenire sullo «stato d'emergenza climatico». Prima che sia troppo tardi. Fin dalla mattinata centinaia di ciclisti hanno attraversato la città, mentre diversi flash mob tracciavano una gigantesca scritta «georeferenziata» che, inequivocabile, recitava: «Climate Justice and Peace». Poi sono venute la musica, le danze, le urla liberatorie di oltre 15 mila persone che si sono date appuntamento, raccogliendo in maniera unitaria la proposta lanciata dalla coalizione globale 350?.org per la creazione di un’enorme «linea rossa» che ha attraversato e invaso l’avenue de la Grande Armée, tra l’Étoile e i grattacieli del centro direzionale della Defense, sede delle multinazionali legate all’economia fossile. Una «linea rossa» destinata a simboleggiare il limite invalicabile di un grado e mezzo nell’incremento delle temperature medie planetarie nei prossimi anni, pena la catastrofica irreversibilità dell’impatto sugli equilibri ecosistemici. Ma anche la «linea rossa» da varcare per mettere in discussione le politiche del terrore e della guerra e lo stato d’eccezione liberticida che ne è il conseguente corollario. Dopo due ore di blocco della circolazione, un corteo spontaneo, guidato dalla rete internazionale Via Campesina (tra cui gli agricoltori francesi della Confédération Paysanne), si è mosso superando i cordoni della polizia antisommossa, per raggiungere l’unico concentramento autorizzato della giornata: il raduno ai piedi della Tour Eiffel, sulla vasta spianata del Campo di Marte. Anche in questo caso l’iniziativa era stata promossa da un coordinamento, quello di Alternatiba75, ma assunta con grande spirito collaborativo da molti altri. Qui hanno preso parola Climat21, Attac, gli esponenti di diverse lotte locali contro grandi opere «inutili e devastanti» e Naomi Klein, resa dal suo lavoro d’inchiesta una delle voci più autorevoli nel movimento per la giustizia climatica. Proprio la Klein ha espresso il punto di vista della piazza sull’accordo appena raggiunto: «Un testo che ignora il necessario sostegno ai paesi più vulnerabili, che assume solo generici intenti, senza concretizzare la volontà di indurre le multinazionali a riconoscere le loro responsabilità. Toccherà a noi – ha insistito la giornalista-attivista canadese tra gli applausi di oltre 25 mila persone – farlo dal basso». E le occasioni non mancheranno: sono stati infatti ricordati gli appuntamenti con la mobilitazione europea di Ende Gelände, a maggio, per bloccare la più grande miniera di carbone nel bacino della Ruhr. E il ruolo, decisivo, dei governi metropolitani, che possono diventare i protagonisti di una transizione ecologica e sociale, attraverso la costruzione di città fossil-free. Nei prossimi giorni sarà possibile trarre un bilancio più definito di queste settimane parigine. Per il momento, come ci dice Marica Di Pierri di A Sud, tra i pochi italiani presenti alle mobilitazioni: «Di fronte alla volontà dei governi di non porre in discussione l’estrazione di combustibili fossili dal sottosuolo, si tratta di tornare a lottare nei nostri territori contro ogni progetto impattante, a partire dalle trivellazioni. Ma di farlo fuori da ogni logica localistica, inscrivendo ogni singola battaglia nella lotta globale per salvare il pianeta». La giornata di ieri dimostra che un movimento mondiale che si propone di «cambiare il sistema per non cambiare il clima» non solo esiste, ma è in buona salute, forza capace di disobbedire allo stato d’eccezione.

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