Rom – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Fri, 23 Apr 2021 08:52:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Resistenza. Sinti e i Rom nella brigata dei «leoni» di Breda Solini https://www.micciacorta.it/2021/04/resistenza-sinti-e-i-rom-nella-brigata-dei-leoni-di-breda-solini/ https://www.micciacorta.it/2021/04/resistenza-sinti-e-i-rom-nella-brigata-dei-leoni-di-breda-solini/#respond Fri, 23 Apr 2021 08:50:43 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26395 Resistenza . La storia dei Leoni di Breda Solini, un battaglione attivo al confine tra l'Emilia e la Lombardia, completamente formato da sinti

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Perseguitati tra i perseguitati, dimenticati tra i dimenticati. Le popolazioni romanì (rom, sinti, manush, kalé) hanno due nomi per indicare quello che è accaduto loro negli anni ’40 del Novecento: «Porrajmos» e «Samudaripen», ovvero «grande divoramento» e «tutti uccisi». Era l’11 settembre del 1940 quando tutte le prefetture del Regno d’Italia ricevettero una circolare telegrafica del capo della polizia Arturo Bocchini: «Rastrellamento di tutti gli zingari», era l’ordine da eseguire ovunque e nel minor tempo possibile. «Comportamenti antinazionali» e «implicazioni in gravi reati» erano le accuse. Solo qualche mese dopo, nell’aprile del 1941, il ministero dell’Interno diede qualche indicazione sul loro internamento e campi di prigionia furono costruiti ovunque, dall’Abruzzo alla Sardegna, dalle isole Tremiti alla Toscana e all’Emilia Romagna. Era l’ultimo atto della politica fascista sulle comunità rom e sinte: prima, tra il 1922 e il 1938, l’ordine era quello di respingere alle frontiere i nomadi stranieri. Poi, tra il 1938 e il 1940, si cominciò con la pulizia etnica nelle regioni di confine e i trasferimenti coatti in Sardegna. Sulla rivista «La difesa della razza» fioccavano articoli sulla «pericolosità sociale degli zingari». Con la circolare di Bocchini del 1940, la guerra alla «piaga zingara» arrivò ai rastrellamenti e alla reclusione. A liberazione avvenuta, i sopravvissuti scopriranno di aver perso tutti i propri averi. Nessuno si preoccuperà mai di renderglieli o di rimborsarli in qualche modo. Dopo l’8 settembre del 1943, ad ogni modo, alcuni riuscirono a scappare dai campi dove erano reclusi e si unirono alla Resistenza. È la storia, ad esempio, dei Leoni di Breda Solini, un battaglione attivo al confine tra l’Emilia e la Lombardia, completamente formato da sinti fuggiti dal campo di Prignano sulla Secchia, in provincia di Modena. La loro storia è stata custodita e raccontata da Giacomo «Gnugo» De Bar, sinto, di professione saltimbanco, come amava definirsi lui. Rastrellato e rinchiuso anche lui da bambino nel 1940, non ha mai dimenticato suo nonno Jean, contorsionista, e suo zio Rus, equilibrista, che di giorno si esibivano nelle piazze dell’Italia non ancora liberata e di notte si davano al sabotaggio dei tedeschi. Giravano a bordo di un camion e si occupavano per lo più di rubare armi da consegnare poi ai partigiani. La fama (e il soprannome) di leoni se l’erano guadagnata sul campo grazie a un’azione in cui avevano disarmato una pattuglia del Reich. «Erano entrati nel cuore della gente come eroi, anche per il fatto che usavano la violenza il minimo necessario – racconta Gnugo De Bar nel suo libro «Strada, Patria Sinta» (Fatatrac, 1998) – fra noi sinti non è mai esistita la volontà della guerra, l’istinto di uccidere un uomo solo perché è un nemico. Questo lo sapeva anche un fascista di Breda Solini che durante la Liberazione si era barricato in casa con un arsenale di armi, minacciando di fare fuoco a chiunque si avvicinasse o di uccidersi a sua volta facendo saltare tutta la casa: “io mi arrendo solo ai Leoni di Breda Solini”. Così andarono i miei, ai quali si arrese, ma venne poi preso in consegna lo stesso da altri partigiani, che lo rinchiusero in una cantina e lo picchiarono». Fatti come questi non è facile sentirli raccontare: la memoria del Porrajmos e della resistenza dei romanì è sempre stata un filo sottile, quasi invisibile. In teoria nel 2015 il parlamento europeo ha stabilito che il 2 agosto è la Giornata dedicata alle vittime del genocidio rom, ma in pratica la ricorrenza viene celebrata a singhiozzo dai vari paesi. In Italia la commemorazione è il 27 gennaio, Giorno della Memoria. Così è pure in quasi tutti gli altri paesi europei, tranne la Repubblica Ceca (che ha quattro date: il 7 marzo, il 13 maggio, il 2 e il 21 agosto) e la Lettonia (che ne ha tre: il 27 gennaio, l’8 aprile e l’8 maggio). Nel 2018, l’Unar (l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) diretto da Luigi Manconi ha organizzato ad Agnone, in Molise, la prima commemorazione italiana della rivolta dello Zigeunerlager di Auschwitz, cominciata il 16 maggio del 1944, quando quasi quattromila tra rom, sinti e caminanti si ribellarono ai soldati tedeschi arrivati per sterminarli. La loro resistenza durò fino ad agosto, quando le SS riuscirono a prevalere e massacrarono tutti quelli che avevano osato ribellarsi. In totale, si stima, il «grande divoramento» ha lasciato una voragine da 500.000 morti in tutta l’Europa. L’inno rom «Gelem, Gelem» ricorda come sono andate le cose: «Ho percorso lunghe strade, ho incontrato rom felici. Una volta avevo una grande famiglia, la legione nera li ha uccisi». * Fonte: Mario Di Vito, il manifesto

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Roma. Torre Maura e Casal Bruciato: 65 indagati, 24 di Casa Pound per razzismo https://www.micciacorta.it/2019/05/roma-torre-maura-e-casal-bruciato-65-indagati-24-di-casa-pound-per-razzismo/ https://www.micciacorta.it/2019/05/roma-torre-maura-e-casal-bruciato-65-indagati-24-di-casa-pound-per-razzismo/#respond Fri, 17 May 2019 07:26:33 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25423 Con un singolare parallelismo giudiziario che farà discutere, risultano iscritti sul registro degli indagati anche sedici tra antifascisti e appartenenti ai movimenti per la casa ROMA. Se ne parlava da giorni, ed ecco che arrivano i primi provvedimenti per le proteste contro la famiglia Omerovic, colpevole agli occhi di alcuni militanti neofascisti aver ottenuto una […]

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Con un singolare parallelismo giudiziario che farà discutere, risultano iscritti sul registro degli indagati anche sedici tra antifascisti e appartenenti ai movimenti per la casa
ROMA. Se ne parlava da giorni, ed ecco che arrivano i primi provvedimenti per le proteste contro la famiglia Omerovic, colpevole agli occhi di alcuni militanti neofascisti aver ottenuto una casa popolare nel quartiere romano di Casal Bruciato. La procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati 24 persone che si apprende essere appartenenti ai movimenti di estrema destra CasaPound, la sigla dei sedicenti «fascisti del terzo millennio» che aveva pubblicamente rivendicato la sua protesta, e Forza Nuova. Il procuratore aggiunto Francesco Caporale e il sostituto procuratore Eugenio Albamonte hanno aperto un fascicolo alla luce di una informativa Digos: contestano ai neofascisti, a vario titolo, i reati di istigazione all’odio razziale, violenza privata, minacce, adunata sediziosa, apologia di fascismo. Sarebbe indagato anche l’uomo che aveva minacciato di violenza sessuale Sedana, la donna assegnataria dell’alloggio e che i dirigenti di CasaPound avevano rocambolescamente provato a descrivere come un «cittadino esasperato» invece che come un militante neofascista. Ci sarebbero invece altre 41 persone sottoposte ad indagine per reati analoghi le proteste che scoppiarono il mese scorso in un’altra zona della periferia romana, Torre Maura: in quel caso contestarono il trasferimento di alcuni rom in una struttura d’accoglienza, ottenendone la chiusura da parte dell’amministrazione comunale. Contestualmente si apprende che, con un singolare parallelismo giudiziario che farà discutere, risultano iscritti sul registro degli indagati anche sedici tra antifascisti e appartenenti ai movimenti per la casa. Nel loro caso si procederebbe per il reato di corteo non autorizzato: l’accusa è legata manifestazione che l’8 maggio scorso portò centinaia di persone ad intervenire contro il presidio xenofobo nel condominio di Casal Bruciato, rompendo l’assedio cui erano sottoposti da giorni i rom dentro la casa che gli uffici del dipartimento abitativo del comune di Roma aveva loro regolarmente assegnato. Proprio ieri, peraltro, a pochi metri dal condominio di via Satta in cui si svolsero i fatti, un presidio solidale organizzato da Asia Usb cui hanno partecipato decine di cittadini ha impedito lo sfratto di un’anziana signora dalla sua casa popolare. Inutile dire che in questo caso, quando c’era da difendere un diritto e non da sottrarlo a qualcuno, i neofascisti non si sono presentati. * Fonte: Giuliano Santoro, IL MANIFESTO
 

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Da Roma a Torino. Fascismo e razzismo, le brutte piazze d’Italia https://www.micciacorta.it/2019/05/da-roma-a-torino-fascismo-e-razzismo-le-brutte-piazze-ditalia/ https://www.micciacorta.it/2019/05/da-roma-a-torino-fascismo-e-razzismo-le-brutte-piazze-ditalia/#respond Thu, 09 May 2019 06:49:46 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25408 Ieri il nostro Mauro Biani in una delle sue preziose «vigne» proponeva di spostare il Salone del Libro a Casal Bruciato. Non accadrà, purtroppo, ma la provocazione è di quelle necessarie. Giacché per noi quel che accade a Roma in queste ore è, se possibile, perfino più grave della vicenda che si è consumata a […]

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Ieri il nostro Mauro Biani in una delle sue preziose «vigne» proponeva di spostare il Salone del Libro a Casal Bruciato. Non accadrà, purtroppo, ma la provocazione è di quelle necessarie. Giacché per noi quel che accade a Roma in queste ore è, se possibile, perfino più grave della vicenda che si è consumata a Torino al Salone del Libro – dove, finalmente, viene avviata l’espulsione della cosiddetta casa editrice fascista Altaforte. A Casal Bruciato – appena al di là dalla stazione Tiburtina, altro che periferia, è sotto le nostre case – sempre Casa Pound, con lo stesso manipolo impunito che presidiava Torre Maura , attizza all’odio razziale contro una famiglia Rom bosniaca colpevole di essere assegnataria di una casa popolare. La spedizione razzista di Casa Pound imperversa da tre giorni con tanto di gazebo, megafoni e squadristi intoccabili, e ieri è stata capace di contestare duramente la stessa sindaca Raggi, praticamente messa in fuga pure se sotto scorta della polizia, trattata «come una Rom» e prendendosi anche lei la sua dose di insulti. Roma non è solo «fuori controllo»: alcune zone – nonostante i coraggiosi presidi democratrici dei movimenti per la casa – sono nelle mani di Casa Pound. Che di fascisti si tratta basta leggere l’accusa della Procura che ieri ha contestato a 28 militanti di Casa Pound, il reato di «riorganizzazione del disciolto partito fascista e di manifestazione fascista» per l’aggressione a Bari di un gruppo di antifascisti. Che il 21 settembre 2018 manifestavano a Bari con lo slogan «Mai con Salvini» contro la venuta del ministro degli esteri nel capoluogo pugliese. Certo riguarda «solo» quei 28, ma come giudicare tutti gli altri militanti della stessa organizzazione? A Casal Bruciato infatti le istituzioni democratiche sono sotto scacco. Anzi, sono in fuga. E non è certo bastato che il giorno prima e per tutta la notte l’assessora grillina al patrimonio abitativo di Roma e la presidente del IV Municipio abbiano portato la loro solidarietà e protezione alla famiglia rom assediata, rispondendo «prima i diritti», a chi urlava «prima gli italiani». Tentando, sotto attacco dei fascisti – e sotto tiro del vicepremier Di Maio che ribadisce «prima gli italiani» – di difendere quella modalità politico-amministrativa necessaria all’integrazione, se davvero si vogliono chiudere i maledetti campi nei quali abbiamo colpevolmente recluso i Rom (profittando poi di quella emergenza artificiale); convinti che il nomadismo sia per loro un fatto naturale. Perfino Salvini a parole diceva di volere «chiudere i campi», ma ora sappiamo che quel che ha in testa, lui e i manipoli impuniti che a lui fanno riferimento, è avviare una nuova pulizia etnica contrabbandata per «sicurezza». Contro un popolo, i Rom, che subisce storicamente lo stigma della diversità, in fuga perché cacciato dai luoghi di origine in Europa e dalle recenti guerre nei Balcani; e che ha subìto lo sterminio nazista negli stessi lager, come Auschwitz, nei quali gli ebrei hanno subìto la Shoah. Abbiamo negli occhi e nel cuore il terrore di martedì sera, quello dei bambini figli della donna rom minacciata di stupro dagli «abitanti», bambini che appena arrivati – pensate – credevano che quell’assembramento, poi rivelatosi ostile e minacciosa, fosse invece stato convocato per la loro gioiosa accoglienza. Che rimarrà alla fine per sempre negli occhi e nella memoria di questi bambini? E dopo i fatti di Torre Maura, per un percorso di violenza fascista che paradossalmente sembra fare a ritroso quello che una volta era a Roma la presenza territoriale della nuova sinistra. Che cosa bisogna aspettare perché una diffusa, radicata e forte mobilitazione antifascista e antirazzista torni di nuovo ad occupare il tessuto democratico, quasi residuale, di Roma infettata di razzismo e dell’Italia intera? Da Torino a Roma, a questo punto. Dovendo usare una metafora storica, diremmo che di fronte all’incendio della storica Libreria di Alessandria da una parte e la vita in pericolo di un solo bambino, non avremmo esitazione a salvare il bambino. Al Salone del Libro di Torino è andata in onda la prepotenza e l’impunità di una sedicente casa editrice apertamente fascista e legata ai seminatori d’odio di Casa Pound che, incredibilmente partecipa del dibattito editorial-culturale più importante d’Italia, proponendo un libro-intervista, una biografia, di Matteo Salvini, il ministro degli interni razzista e anti-migranti, che governa grazie ad una Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista. A Casal Bruciato è invece di scena concretamente, senza mediazioni sedicenti «culturali», l’incendio dell’odio razziale contro i Rom direttamente appiccato da Casa Pound. Entrambe le situazioni corrispondono – ecco la novità e il cortocircuito – alla stessa matrice: essere ispirate dal ruolo governativo del ministro degli Interni in carica, Matteo Salvini, grazie al nefasto «contratto» con il M5S. Per entrambe la sinistra non c’è e la Politica e le istituzioni tacciono. E chi tace… * Fonte: Tommaso Di Francesco, IL MANIFESTO

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I razzisti dell’Alabama e quelli di Torre Maura https://www.micciacorta.it/2019/04/i-razzisti-dellalabama-e-quelli-di-torre-maura/ https://www.micciacorta.it/2019/04/i-razzisti-dellalabama-e-quelli-di-torre-maura/#respond Thu, 04 Apr 2019 07:38:21 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25333 Roma/Rom. Era meglio l’Alabama perché a Selma, Alabama, migliaia di cittadini marciarono a rischio della propria incolumità per opporsi alla segregazione e al razzismo mentre qui da noi siamo fermi, se va bene, alle parole e alle proteste rituali

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A costo di ripetermi: era meglio l’Alabama. Quello che è successo a Torre Maura in questi giorni, coagulo massiccio di infiniti episodi sparpagliati in tutta Italia, è una specie di pogrom verso un popolo su cui già è stata sperimentata la «soluzione finale». La distruzione del cibo destinato a famiglie e bambini Rom – «dovete morire di fame» – non è solo un gesto simbolico ma anche un passo concreto verso la loro estinzione. Come additarli tutti come ladri, solo per appartenenza etnica, solo perché Rom. Era meglio l’Alabama perché a Selma, Alabama, migliaia di cittadini marciarono a rischio della propria incolumità per opporsi alla segregazione e al razzismo mentre qui da noi siamo fermi, se va bene, alle parole e alle proteste rituali. Era meglio l’Alabama perché, con tante esitazioni e tanti compromessi, comunque alla fine il ministro della giustizia e il governo degli Stati Uniti spedirono la Guardia Nazionale e l’Fbi a dare un minimo di protezione ai diritti civili. Anche da noi ci vorrebbe la Guardia nazionale a Torre Maura e altrove per imporre la legalità. Ma da noi il governo, e i suoi patetici ministri, quello degli interni ma anche quello della giustizia, stanno dall’altra parte. Le forze dell’ordine costituito caricano, manganellano, arrestano i manifestanti No-Tav, gli antifascisti a Padova, e persino la massa critica dei ciclisti a Torino, mentre non ho mai sentito che nessuno dei «cittadini indignati» che aggrediscono, picchiano, distruggono come a Torre Maura sia stato mai in qualche modo infastidito. Il Comune di Roma si indigna, e cede, dandola vinta ai violenti e ai razzisti: la legalità vale solo per sfrattare i centri sociali, i circoli culturali indipendenti, e la Casa Internazionale delle Donne. Casa Pound naturalmente non si tocca. La scusa, o almeno l’attenuante, invocata sempre in questi casi, anche a «sinistra», è che le cose sono «più complesse» e che gli aggressori non sono proprio «razzisti, ma…» danno voce a un malessere e un disagio reali delle periferie e reagiscono a decisioni prese senza consultarli (in questo caso, spostare le famiglie Rom di cinquecento metri: nel territorio c’erano già). Sappiamo da sempre che «non sono razzista, ma…» è la formula auto assolutoria del razzismo italiano. Il malessere delle periferie è vero ma c’entra fino a un certo punto. Ci sono state aggressioni fasciste pure quando don Luigi Di Liegro provò a portare i malati di Aids in una casa famiglia a Villa Glori, in pieno quartiere Parioli; e comunque non è che le periferie e le borgate siano mai state paradisi in terra. Emarginazione, sfruttamento, disagio ci sono da tempo, e la sola novità è la forma che prende oggi la protesta. Torre Maura è stato uno dei luoghi di maggiore presenza politica e organizzata del Manifesto all’inizio degli anni ’70: una delle prime assemblee cittadine se non la prima, la tenemmo in un locale della borgata, ed era di Torre Maura il compagno Lello Casagrande, primo militante del Manifesto arrestato a Roma. I fascisti c’erano già, e tanti; ma c’erano anche i comunisti, e persino i cattolici: la periferia non era «abbandonata» perché prendeva in mano il proprio destino, si sentiva protagonista. Se mancavano i servizi, il quartiere si mobilitava in solidarietà per provare a conquistarseli, non covava passivamente una rabbia da rivolgere non verso i responsabili del disagio ma verso gente che sta ancora peggio. Oggi a «sinistra» sentiamo ripetere che «dobbiamo andare» nelle periferie: come se potessero essere solo destinatarie di un discorso calato dall’alto ed emanato dal centro. Non dimenticherò mai il nostro Aldo Natoli che raccontava come invece dovessero essere, e spesso fossero, le periferie e le borgate a invadere il centro. E comunque noi non facciamo veramente né l’uno né l’altro. Qualche anno fa, quando il mio quartiere di Roma Nord si mobilitò contro il trasferimento in zona di un piccolo nucleo di Rom, una compagna della sezione di Ottavia mi disse: «Questo non è razzismo, è cattiveria». È pura e inutile ferocia calpestare il cibo. Ha ragione Marco Revelli quando dice che «quella che stiamo vivendo oggi è un’emergenza psicotica». “L’Italia l’è malada,” cantavano mondine e braccianti a cavallo del ‘900, e “Sartori l’è ‘l dutur”. Adesso di «dottori» come Eugenio Sartori, un antico organizzatore di società di mutuo soccorso, non se ne vede neanche l’ombra. E anche io, tutto sommato, non ho altro che parole. * Fonte: Alessandro Portelli, IL MANIFESTO

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Rom, l’esempio del presidio di Centocelle https://www.micciacorta.it/2017/05/rom-lesempio-del-presidio-centocelle/ https://www.micciacorta.it/2017/05/rom-lesempio-del-presidio-centocelle/#respond Wed, 17 May 2017 09:07:24 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23314 Nonostante il processo di gentrificazione, il quartiere conserva tracce di memoria e retaggi concreti della sua storia di borgata rossa

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Insieme al Quarticciolo e al Quadraro, fu focolaio decisivo della Resistenza romana nonché nodo importante dei movimenti degli anni ’70. Di una tale storia è erede la rete di presìdi democratici e antirazzisti presenti sul territorio Chiunque sia l’assassino che la notte fra il 9 e il 10 maggio scorsi ha ridotto in cenere i poveri corpi di Francesca, Angelica ed Elisabeth, quest’atto atroce è stato favorito dalla marginalità. Dalla stigmatizzazione, dalla condizione di povertà estrema inflitta a una parte della diaspora rom: tali da costringere una famiglia di tredici persone ad stiparsi in un camper parcheggiato in un’area della borgata romana di Centocelle. Non potrebbe essere più surreale il contrasto fra una tale condizione miserabile e il luogo in cui si è consumato il rogo delittuoso: il parcheggio di un grande centro commerciale, freddo e anonimo anche nella struttura, concepita come una sorta di tempio del consumismo. Eppure, allorché, dopo un lungo percorso, vi è approdato il folto corteo del 13 maggio scorso, che rivendicava verità e giustizia per le tre sventurate sorelline di quattro, otto e venti anni, gli slogan e gli interventi al microfono si sono spenti d’un tratto, soverchiati da una commozione corale intensa e palpabile. In realtà, l’intero corteo si è caratterizzato non solo per radicalità e chiarezza politiche, ma anche per empatia e autentica indignazione. A conferirgli questo tono ha contribuito la presenza di una molteplicità di soggetti: dalle femministe di «Non una di meno» alla locale sezione dell’Anpi, dai partiti della sinistra ai centri sociali, dai rappresentanti di alcune associazioni rom al movimento per il diritto all’abitare, fino agli insegnanti e ai genitori dell’Istituto di via Ferraironi, che comprende scuole primarie all’avanguardia quali la «Iqbal Masiq» e la «Romolo Balzani». Il giorno prima ben settecento bambini, accompagnati dalle/dagli insegnanti, avevano raggiunto il luogo della strage a recare fiori e disegni. Nonostante il processo di gentrificazione, Centocelle conserva tracce di memoria e retaggi concreti della sua storia di borgata rossa: ricordo che, insieme al Quarticciolo e al Quadraro, fu focolaio decisivo della Resistenza romana nonché nodo importante dei movimenti degli anni ’70. Di una tale storia è erede la rete di presìdi democratici e antirazzisti presente nel quartiere. È anzitutto questa ad aver permesso la riuscita del corteo e ad aver sventato il rischio che prevalesse, anche in un caso così tragico, l’ormai consueto sussulto di razzismo popolare: in realtà, spesso aizzato e organizzato da qualche Casa Pound o Forza Nuova, nondimeno fatto passare per «guerra tra poveri». D’altra parte, nel corso degli anni recenti la sinistra, anche quella detta alternativa, non si era certo contraddistinta per attivismo in favore dei diritti dei rom, se non in qualche occasione e per merito dell’associazionismo antirazzista. Né valse a mobilitarla la morte atroce di quattro bambini nel 2011: anch’essi carbonizzati da un incendio, quello scoppiato nel campo-rom di Tor Fiscale, sull’Appia Nuova. Per dire di quali pregiudizi alberghino anche nelle nostre file, basta un piccolo esempio: tre giorni dopo l’orrendo attentato di Centocelle, su una testata online d’estrema sinistra qualcuno – evitando il più piccolo cenno alla strage – scriveva dei rom come di «un’etnia i cui usi e costumi non consentono l’integrazione nel tessuto civile». A mia memoria, la mobilitazione di sinistra più ampia ed efficace risale al 2008. Allorché il ministro dell’interno Maroni predispose la schedatura di massa dei rom, con prelievo forzoso delle impronte digitali anche ai bambini: un provvedimento affine alle schedature razziste dei regimi nazifascisti, finalizzate a costruire archivi per l’individuazione, segregazione, concentramento, deportazione delle minoranze. Fu per merito di tale mobilitazione, oltre che per le condanne anche da parte d‘istituzioni internazionali, che Maroni e il sindaco Alemanno furono costretti a qualche passo indietro. Al di là di questa piccola vittoria, nulla è cambiato, a Roma e altrove, nella condizione dei rom in emergenza abitativa. Se in Italia la popolazione dei rom, sinti e caminanti conta al massimo 180mila persone – 70mila sono di cittadinanza italiana – appena 28mila sono quelle che vivono in baraccopoli istituzionali o in insediamenti informali: cifra che corrisponde a uno scarso 0,05% della popolazione italiana. Nonostante così esiguo sia il numero dei casi che occorrerebbe risolvere, si perpetuano la logica del famigerato Piano nomadi, la politica degli sgomberi forzati dei campi «abusivi», l’esclusione dall’edilizia residenziale pubblica, la repressione di attività informali, uniche possibili fonti di reddito. In realtà, i campi rappresentano il dispositivo con cui si compie, in modo estremo ed esemplare, il processo di allontanamento spaziale e simbolico dalla società e dalla civitas di persone reputate ed etichettate altre, dunque indesiderabili per eccellenza. Su un numero così esiguo di persone si addensa il massimo non solo di stigmatizzazione, ma anche di valore simbolico. Quest’ultimo vale anche in un altro senso: la legge del 18 aprile 2017, n. 48, in materia di sicurezza urbana, con cui s’intende sorvegliare, criminalizzare e punire la marginalità, la povertà, ma anche la non-conformità sociale, colpirà, sì, in primo luogo i rom, ma pure chiunque si sottragga alla «norma» sociale. Non foss’altro che per questo, tutti/e noi ne siamo coinvolte/i.  

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Gli anarchici ai fornelli con i rom https://www.micciacorta.it/2015/09/gli-anarchici-ai-fornelli-con-i-rom/ https://www.micciacorta.it/2015/09/gli-anarchici-ai-fornelli-con-i-rom/#respond Sat, 05 Sep 2015 05:11:04 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20319 Celebrazioni. Numero maxi della rivista A: 117 pagine sulla cucina gitana negata all'Expo

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Per pre­pa­rare la ricotta di Appleby basta poco: un litro di latte intero, pos­si­bil­mente appena munto, una man­ciata di fiori di sam­buco, un cuc­chiaino di caglio e uno di zuc­chero. Più com­pli­cato veder­sela appron­tare come da cucina della nonna.  Per assag­giare una pie­tanza che non sfi­gu­re­rebbe nel pranzo di Babette è neces­sa­rio farsi invi­tare da una fami­glia gitana, però di pro­ve­nienza anglo­sas­sone. Per stu­diarsi que­sta e altre ricette zin­gare, invece, basta sfo­gliare le 400 pagine che la rivi­sta anar­chica A si è voluta rega­lare per il suo quat­tro­cen­te­simo numero:  una folia­zione extra-large nella quale a far la parte del leone sono un dos­sier sulla fem­mi­ni­sta anar­chica Emma Gold­man (con diversi scritti sulle que­stioni di genere della «donna più peri­co­losa d’America») e ben 117 pagine dedi­cate alla cucina rom e sinti. Una deci­sione moti­vata dalla scelta di col­mare un’assenza che nes­suno, nel dilu­vio di arti­coli della stampa ita­liana sull’Esposizione uni­ver­sale 2015, aveva finora notato: «Gli zin­gari all’Expo non ci sono», scrive il diret­tore Paolo Finzi nell’editoriale di pre­sen­ta­zione del numero. La sto­rica rivi­sta del movi­mento anar­chico ita­liano resti­tui­sce loro il «padi­glione negato» nella grande fiera mene­ghina tar­gata McDonald’s, rac­con­tan­done la cul­tura culi­na­ria, come que­sta sia riu­scita a tra­man­darsi nei secoli e il legame con i luo­ghi di inse­dia­mento, «la grande capa­cità assi­mi­la­trice, eclet­tica e inno­va­tiva del popolo rom, al quale le nazioni dell’Europa sono debi­trici della con­ser­va­zione, valo­riz­za­zione e dif­fu­sione dello straor­di­na­rio patri­mo­nio gastro­no­mico euro­peo», scrive il cura­tore dello spe­ciale Angelo Ariati. Così, tra un gulash rom austroun­ga­rico e una sinti-sabauda bagna­cauda, quel che si cele­bra, con que­sto tra­guardo sim­bo­lico dei 400 numeri, è «una sto­ria di comu­ni­ca­zione liber­ta­ria, di oppo­si­zione al potere, di col­le­ga­mento tra espe­rienze di segno liber­ta­rio, uno stru­mento di lotta con­tro l’ingiustizia e i diritti negati», un gior­nale che ha sem­pre remato «in dire­zione osti­nata e con­tra­ria», come avrebbe detto un loro grande amico e com­pa­gno: Fabri­zio de André. Un veliero cor­saro pas­sato indenne tra i marosi degli anni Set­tanta (il primo numero uscì nel feb­braio del 1971, tre mesi prima del primo numero del mani­fe­sto quo­ti­diano) e il riflusso degli Ottanta, il dif­fi­cile pas­sag­gio di fine mil­len­nio e la bassa marea di que­sti ultimi anni. Sem­pre con l’idea di man­te­nere accesa quella fiac­cola di spe­ranza liber­ta­ria, che se non è riu­scita a cam­biare il mondo ha avuto il merito di illu­mi­narne gli angoli più recon­diti. Una fiac­cola accesa da un secolo e mezzo, «da quando il movi­mento anar­chico è nato in seno al movi­mento ope­raio e con­ta­dino, al primo movi­mento socia­li­sta, per affer­mare al loro interno l’estraneità alle isti­tu­zioni e alla par­te­ci­pa­zione al potere che, se ne ha mar­cato l’originale e coe­rente fun­zione di bastian con­tra­rio rispetto al rifor­mi­smo (da Turati a Renzi, per capirci), al con­tempo ne ha reso più dif­fi­cile la vita in una società sem­pre più isti­tu­zio­na­liz­zata», come scrive ancora Finzi. La rivi­sta si pro­pone come punto di rife­ri­mento per tutti coloro che «si muo­vono su una lun­ghezza d’onda cri­tica, auto­ge­stio­na­ria, liber­ta­ria, anche se non si rico­no­scono nel pro­getto anar­chico». Da que­sta aper­tura è nata l’idea di uno spa­zio riser­vato al Con­tros­ser­va­to­rio No-Tav della val di Susa (con un arti­colo, tra gli altri, del giu­ri­sta Livio Pepino) e l’attenzione al movi­mento zapa­ti­sta con appo­site «let­tere dal Chia­pas». Per finire, è dove­roso segna­lare un arti­colo dell’antropologo e ideo­logo di Occupy Wall Street David Grae­ber sulla «sta­gna­zione tecnologico-creativa» ai tempi del tur­bo­ca­pi­ta­li­smo. Una buona let­tura in vista di un autunno che alla fine di ogni estate si spera caldo.

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Porajmos, l’olocausto dei rom https://www.micciacorta.it/2015/08/porajmos-lolocausto-dei-rom/ https://www.micciacorta.it/2015/08/porajmos-lolocausto-dei-rom/#respond Sun, 02 Aug 2015 06:56:45 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20115 2 agosto. 71 anni fa, il 2 agosto 1944, tutti i 2.897 rom dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau furono inghiottiti nei forni crematori

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2 agosto. 71 anni fa, il 2 agosto 1944, tutti i 2.897 rom dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau furono inghiottiti nei forni crematori. Il 15 aprile del 2015, il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione, che ricordando i 500.000 rom sterminati dai nazisti e da altri regimi» adotta il 2 agosto come «giornata europea della commemorazione dell’olocausto dei rom». Il 15 aprile del 2015, il Par­la­mento Euro­peo ha votato una riso­lu­zione per adot­tare il 2 ago­sto come «gior­nata euro­pea della com­me­mo­ra­zione dell’olocausto dei rom». La riso­lu­zione ricorda: «I 500.000 rom ster­mi­nati dai nazi­sti e da altri regimi (…) e che nelle camere a gas nello Zigeu­ner­la­ger (campo degli zin­gari) di Auschwitz-Birkenau in una notte, tra il 2 e il 3 ago­sto 1944, 2.897 rom, prin­ci­pal­mente donne, bam­bini e anziani, sono stati uccisi». Si ricorda altresì che in alcuni paesi fu eli­mi­nata oltre l’80% della popo­la­zione rom. Secondo le stime di Grat­tan Pru­xon, mori­rono 15.000 dei 20.000 zin­gari tede­schi, in Croa­zia ne sono uccisi 28.000 (ne soprav­vi­vono solo in 500), in Bel­gio 500 su 600, ed in Litua­nia, Lus­sem­burgo, Olanda e Bel­gio lo ster­mi­nio è totale, il 100% dei rom. La stu­diosa Mirella Kar­pati riporta che la mag­gior parte dei rom polac­chi fu tru­ci­data sul posto dalla Gestapo e dalle mili­zie fasci­ste ucraine, le quali, in molti casi, ucci­de­vano i bam­bini fra­cas­sando le loro teste con­tro gli alberi. Le testi­mo­nianze rac­colte dalla Kar­pati sui cri­mini dei fasci­sti croati (gli usta­scia) sono altret­tanto aggan­cianti: donne incinta sven­trate o a cui veni­vano tagliati i seni, neo­nati infil­zati con le baio­nette, deca­pi­ta­zioni, ed altri orrori ancora. Per tali motivi i rom slo­veni e croati oltre­pas­sa­vano clan­de­sti­na­mente il con­fine con l’Italia, ma fini­vano in uno dei 23 campi di pri­gio­nia loro riser­vati e spar­pa­gliati sull’intera penisola. La riso­lu­zione del Par­la­mento euro­peo prima citata con­si­dera l’«antiziganismo» come «un’ideologia basata sulla supe­rio­rità raz­ziale, una forma di disu­ma­niz­za­zione e raz­zi­smo isti­tu­zio­nale nutrita da discri­mi­na­zioni sto­ri­che». Il rom funge da sem­pre il capro espia­to­rio, a cui negare il suo carat­tere euro­peo, per farne una sorta di stra­niero interno (nono­stante le loro comu­nità, e gli stessi ter­mini rom e zin­garo, si siano for­mati in Europa tra il 1300 ed il 1400). I nazisti-fascisti hanno per­fe­zio­nato le poli­ti­che euro­pee anti-rom dei secoli XVI e XIX. Come ricorda l’antropologo Leo­nardo Pia­sere, il mag­gior numero degli editti anti-rom dell’epoca moderna furono ema­nati dagli stati pre­u­ni­tari tede­schi ed ita­liani. Forse non è un caso, ma saranno pro­prio Ger­ma­nia ed Ita­lia, secoli dopo, a pia­ni­fi­care l’olocausto rom, oltre che quello ebraico. Secondo Ste­fa­nia Pon­tran­dolfo, in Ita­lia, tra il 500 e il 700, ad appli­care con più zelo tali editti furono gli Stati del Nord, con­tro una certa tol­le­ranza del Meridione.

«Puri o impuri, comun­que asociali»

I nazi­sti, osses­sio­nati com’erano dalla pre­sunta razza ariana, si erano inte­res­sati ai rom a causa della loro ori­gine indiana. Li clas­si­fi­ca­rono in quat­tro cate­go­rie, secondo il loro grado di «purezza» o «incro­cio» con i non rom. Alla fine riten­nero che tutti rom, puri o impuri che fos­sero, erano «aso­ciali». Da qui la deci­sione della loro eli­mi­na­zione. I bimbi rom (ed ebrei) depor­tati nei campi di ster­mi­nio erano vit­time di espe­ri­menti sadici: inie­zione d’inchiostro negli occhi; frat­ture delle ginoc­chia, per poi iniet­tare nelle ferite ancora fre­sche i virus della mala­ria, del vaiolo e d’altro ancora. Anche in Ita­lia, come riporta Gio­vanna Bour­sier, con “il mani­fe­sto della razza” del 1940, l’antropologo fasci­sta Guido Lan­dra, inveiva con­tro «il peri­colo dell’incrocio con gli zin­gari» che defi­niva ran­dagi e anti-sociali. Ma già nel 1927 il Mini­stero dell’interno, ricorda sem­pre la Bour­sier, ema­nava diret­tive ai pre­fetti per «epu­rare il ter­ri­to­rio nazio­nale» dagli zin­gari e «col­pire nel suo ful­cro l’organismo zingaresco». Gli stu­diosi Luca Bravi, Mat­teo Bas­soli e Rosa Cor­bel­letto, sud­di­vi­dono in quat­tro fasi le poli­ti­che fasci­ste anti-rom e sinti (popo­la­zioni di ori­gine rom, ma che si auto­de­fi­ni­scono sinti e che vivono tra sud della Fran­cia, nord Ita­lia, Austria e Ger­ma­nia): tra il 1922 e il 1938 ven­gono respinti ed espulsi rom e sinti stra­nieri, o anche ita­liani ma privi di docu­menti; dal 1938 al 1940 si ordina la puli­zia etnica di tutti i sinti e rom (anche ita­liani con rego­lari docu­menti), pre­senti nelle regioni di fron­tiera ed il loro con­fino a Per­da­sde­fogu in Sar­de­gna; dal 1940 al 1943 i rom e sinti, anche ita­liani sono rin­chiusi in 23 campi di con­cen­tra­mento; dal 1943 al 1945 ven­gono rom e sinti sono depor­tati nei campi di ster­mi­nio nazisti. La prima fase è segnata da una poli­tica al tempo stesso xeno­foba e rom-fobica, per cui si col­pi­scono quei rom, col­pe­voli di essere sia zin­gari che stra­nieri. In seguito si passa a reprime anche i rom ita­liani. Inol­tre, dalla pri­gio­niera nel campo si passa all’eliminazione fisica. Gra­zie alle ricer­che della Kar­pati, sap­piamo che nei 23 campi in Ita­lia le con­di­zioni di vita erano molto dure. Rac­conta una donna: «Era­vamo in un campo di con­cen­tra­mento a Per­da­sde­fogu. Un giorno, non so come, una gal­lina si è infil­trata nel campo. Mi sono get­tata sopra come una volpe, l’ho ammaz­zata e man­giata dalla fame che avevo. Mi hanno pic­chiata e mi son presa sei mesi di galera per furto». Giu­seppe Goman a 14 anni fu rin­chiuso nel campo nei pressi di Agnone e i fasci­sti lo vol­lero fuci­lare per aver rubato del cibo in cucina, ma all’ultimo momento la pena fu com­mu­tata in «basto­na­ture e segre­ga­zione». Nel campo di Teramo invece, un tenente dei cara­bi­nieri ebbe cosi pietà di quei «rom chiusi in con­di­zioni mise­re­voli, che dor­mi­vano per terra con man­giare poco e razio­nato (…) che per­mise alle donne di andare ad ele­mo­si­nare in paese. Nel campo di Cam­po­basso, Zlato Levak ricorda: «Cosa davano da man­giare? Quasi niente. Il mio figlio più grande è morto nel campo. Era un bravo pit­tore e molto intelligente». Per i rom ita­liani, l’essere rin­chiusi nei campi di pri­gio­nia, non per aver com­messo un reato, ma per la loro iden­tità, fu uno shock. E pen­sare, che a causa della leva obbli­ga­to­ria, gli uomini ave­vano ser­vito nell’esercito durante la grande guerra o nelle colo­nie. Sarà forse per que­sto trauma, che molti di loro hanno una certa reti­cenza ad affer­mare in pub­blico la pro­pria iden­tità, ed infatti l’opinione pub­blica ita­liana ignora che dei circa 150.000 rom e sinti pre­senti in Ita­lia, ben il 60–70% sono ita­liani da secoli e sono per lo più seden­tari. Igno­riamo anche le vicende di molti rom, che fug­giti dai campi, si uni­rono alle for­ma­zioni par­ti­giane e che alcuni di essi furono fuci­lati dai fascisti. Luca Bravi e Mat­teo Bas­soli fanno notare che il Par­la­mento ita­liano ha appro­vato nel 1999 la legge sulle mino­ranze sto­ri­che lin­gui­sti­che (rico­no­scen­done 12) «solo dopo aver stral­ciato l’inserimento delle comu­nità rom e sinti» (tra le più anti­che d’Italia, dove sono pre­senti dal XIV secolo).

La nostra rimozione

La rimo­zione del nostro con­tri­buto ideo­lo­gico e pra­tico all’olocausto dei rom, s’inserisce in un’operazione di oblio ben più ampia, che tocca anche i nostri cri­mini di guerra sotto il fasci­smo in Africa ed ex Jugo­sla­via. Come ben spie­gato nel docu­men­ta­rio Fascist Legacy della BBC, tali cri­mini non furono com­piuti non solo dalle cami­cie nere, ma anche da sol­dati e cara­bi­nieri, tanto che lo stesso Bado­glio era nella lista dei primi 10 cri­mi­nali di guerra ita­liani da pro­ces­sare. Il pro­cesso non si è mai svolto, gra­zie al cam­bio di alleanza nel 1943 e al nostro con­tri­buto di san­gue alla lotta nazi-fascista. Ma il para­dosso resta: Bado­glio il primo capo di governo dell’Italia anti-fascista era stato un cri­mi­nale di guerra agli ordini di Mus­so­lini. La Legge 20 luglio 2000 sulla «memo­ria», parla si di olo­cau­sto ma non di rom. Su ini­zia­tiva dell’on. Maria Leti­zia De Torre le per­se­cu­zioni fasci­ste con­tro i rom sono final­mente ricor­date dalla Camera dei Depu­tati in un ordine del giorno nel 2009. E pen­sare che il par­la­mento tede­sco aveva rico­no­sciuto l’olocausto rom già nel 1979, e nel 2013 una poe­sia del rom ita­liano San­tino Spi­nelli (il cui padre fu inter­nato dai fasci­sti) è incisa sul monu­mento eretto a Berlino. Molti stu­diosi ed asso­cia­zioni, per defi­nire l’Olocausto rom, hanno adot­tato il ter­mine pora­j­mos, che in roma­nes signi­fica «divo­ra­mento». Fu intro­dotto nel 1993 dal pro­fes­sore rom Ian Han­cock dell’università del Texas, che lo sentì da un soprav­vis­suto ai campi di ster­mino. Il lin­gui­sta Mar­cel Cour­thiade, esperto di roma­nes, ha pro­po­sto in alter­na­tiva samu­da­ri­pen (tutti morti). Per amore del vero, va pre­ci­sato, che il rom comune, che spesso non s’identifica nelle tante asso­cia­zioni nazio­nali o inter­na­zio­nali rom e di non rom, e che resta lon­tano dai dibat­titti acca­de­mici, non uti­lizza alcuno di que­sti termini.

Il ricordo di Pie­tro Terracina

Eppure quando pen­siamo al 2 ago­sto 1944, quando tutti i 2.897 rom dello Zigeu­ner­la­ger di Auschwitz-Birkenau furono inghiot­titi nei forni cre­ma­tori, ecco che sia «divo­ra­mento» che «tutti morti», ci appa­iono così adatti ed evo­ca­tivi. Ma per­ché ucci­derli tutti in una sola notte? Forse si trattò di una puni­zione, poi­ché pochi mesi primi, armati di mazze e pie­tre, i rom si ribel­la­rono, met­tendo in fuga i nazisti. Testi­mone ocu­lare della notte del 2 ago­sto fu l’ebreo ita­liano Pie­tro Ter­ra­cina, che ha rac­con­tato a Roberto Olia : «Con i rom era­vamo sepa­rati solo dal filo spi­nato. C’erano tante fami­glie e bam­bini, di cui molti nati lì. Certo sof­fri­vano anche loro, ma mi sem­brava gente felice. Sono sicuro che pen­sa­vano che un giorno quei can­celli si sareb­bero ria­perti e che avreb­bero ripreso i loro carri per ritor­nare liberi. Ma quella notte sen­tii all’improvviso l’arrivo e le urla delle SS e l’abbaiare dei loro cani. I rom ave­vano capito che si pre­para qual­cosa di terribile. Sen­tii una con­fu­sione tre­menda: il pianto dei bam­bini sve­gliati in piena notte, la gente che si per­deva ed i parenti che si cer­ca­vano chia­man­dosi a gran voce. Poi all’improvviso silen­zio. La mat­tina dopo, appena sve­glio alle 4 e mezza, il mio primo pen­siero fu quello di andare a vedere dall’altra parte del filo spi­nato. Non c’era più nessuno. Solo qual­che porta che sbat­teva, per­ché a Bir­ke­nau c’era sem­pre tanto vento. C’era un silen­zio inna­tu­rale, para­go­na­bile ai rumori ed ai suoni dei giorni pre­ce­denti, per­ché i rom ave­vano con­ser­vato i loro stru­menti e face­vano musica, che noi dall’altra parte del filo spi­nato sen­ti­vamo. Quel silen­zio era una cosa ter­ri­bile che non si può dimen­ti­care. Ci bastò dare un’occhiata alle cimi­niere dei forni cre­ma­tori, che anda­vano al mas­simo della potenza, per capire che tutti i pri­gio­nieri dello Zigeu­ner­la­ger furono man­dati a morire. Dob­biamo ricor­dare que­sta gior­nata del 2 ago­sto 1944».

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La ribellione di Rom e Sinti https://www.micciacorta.it/2015/05/la-ribellione-di-rom-e-sinti/ https://www.micciacorta.it/2015/05/la-ribellione-di-rom-e-sinti/#respond Sun, 17 May 2015 06:28:47 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=19621 Bologna. Manifestazione nazionale. In corteo cartelli con scritti gli articoli della costituzione per ricordare i diritti negati in un clima di crescente intolleranza, l’Inno di Mameli e Bella Ciao: «Anche noi abbiamo combattuto per il Paese»

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La prima volta che Maria ha vis­suto un epi­so­dio di discri­mi­na­zione sulla sua pelle era ancora una bam­bina. «Con i miei geni­tori gira­vamo con le caro­vane, ma dovun­que ci fer­ma­vamo ci man­da­vano via. Nean­che ai bam­bini per­met­te­vano di man­giare», rac­conta. Oggi che ha 76 anni e qual­che ruga sul viso frutto forse anche dei tanti rospi che è stata costretta a man­dare giù, Maria Ber­tani, sinti da Miran­dola, in pro­vin­cia di Modena, all’idea di non essere con­si­de­rata una cit­ta­dina come tutti gli altri non si è ancora abi­tuata. «Se ho subito discri­mi­na­zioni?», chiede sor­ri­dendo di fronte a una domanda che evi­den­te­mente con­si­dera inge­nua. «Mio marito ha sem­pre lavo­rato, ma sem­pre in nero, a noi con­tratti non ne fanno. Oggi forse le cose sono cam­biate, ma non credo». Di sto­rie così al cor­teo che ieri ha attra­ver­sato le strade di Bolo­gna se ne pote­vano sen­tire a decine. E per quanto assurdo ti viene da pen­sare che, per quanto odiose, le discri­mi­na­zioni subite da Maria sem­brano poca cosa di fronte agli insulti, le minacce, le inti­mi­da­zioni dive­nute ormai il pane quo­ti­diano di rom e sinti. Vio­lenze che le due comu­nità subi­scono in un Paese che — ci ten­gono a sot­to­li­nearlo — è il loro Paese. E pro­prio per que­sto forse fanno ancora più male. «C’è il rischio che con­tro di noi si veri­fi­chi un nuovo Olo­cau­sto», ripete da giorni Davide Casa­dio, pre­si­dente dell’associazione sinti ita­liani che ha pro­mosso la mani­fe­sta­zione. Il giorno scelto non è casuale: il 16 mag­gio del 1944 rom e sinti si ribel­la­rono nel capo di Ausch­witz ai nazi­sti che vole­vano sterminarli. Oggi, dicono, si sen­tono le stesse parole e si vedono gli stessi com­por­ta­menti che pre­ce­det­tero in Ita­lia il varo delle leggi raz­ziali. L’elenco è lungo. Si va dal leghi­sta Gian­luca Buo­nanno che insulta in tv l’attrice e atti­vi­sta rom Dijana Pavlo­vic — anche lei al cor­teo — defi­nen­dola «fec­cia dell’umanità» alla tra­smis­sione che paga un attore per­ché si finga un rom e dica che va a rubare al ten­ta­tivo di impe­dire ai bam­bini di un campo alla peri­fe­ria di Roma di andare a scuola. E Mat­teo Sal­vini pro­pone di spia­nare i campi rom con le ruspe. «C’è dell’odio che gira» sin­te­tizza bene Ales­san­dro Ber­gon­zoni. «Rom e sinti hanno paura per­ché c’è una situa­zione di grande degrado inte­riore della poli­tica. Ricor­dare l’Olocausto per un giorno non signi­fica niente, dovrebbe essere sem­pre con noi. Si può isti­tuire un giorno per ricor­darsi di respi­rare? No. Si stima che siano 500 mila i rom e i sinti ster­mi­nati nei campi di con­cen­tra­mento, dovrebbe essere nor­male avere paura che il nazi­smo prenda piede. Allora noi siamo qui per­ché il cit­ta­dino deve essere allertato». Prima della mani­fe­sta­zione in via Gobetti viene depo­sto un mazzo di fiori davanti al ceppo che ricorda due sinti uccisi dalla banda della Uno bianca. In testa al cor­teo i musi­ci­sti suo­nano l’inno d’Italia, Bella ciao e musi­che da chiesa. Ci saranno un migliaia di per­sone, ma il numero non conta. «Ci sono rap­pre­sen­tanti delle comu­nità di tutta Ita­lia», spiega Casa­dio. C’è da cre­derci, a sen­tire i vari accenti che dia­lo­gano lungo il cor­teo al quale par­te­ci­pano anche diversi gagé. Oltre a Ber­gon­zoni c’è Ivano Mare­scotti. La poli­tica è rap­pre­sen­tata solo da Pd (la depu­tata San­dra Zampa, i sena­tori Luigi Man­coni e Ser­gio Lo Giu­dice). Non c’è Sel. Alcune per­sone por­tano car­telli con scritti arti­coli della Costi­tu­zione: diritto allo stu­dio e al lavoro, libertà di cir­co­la­zione, tutela della salute. Diritti che — spie­gano — non sono rico­no­sciuti a rom e sinti. Ci sono poche donne, per paura di con­te­sta­zioni da parte di Forza Ita­lia e Forza Nuova che hanno orga­niz­zato pre­sidi di pro­te­sta. Ma si avverte anche una certa sot­to­li­nea­tura di troppo dell’identità sinti rispetto a quella rom: «Siamo due popoli dif­fe­renti, ma oggi vogliamo dire a tutti che non siamo ladri come veniamo descritti». Non capita tutti i giorni che rom e sinti deci­dano di indire una mani­fe­sta­zione nazio­nale per difen­dere i pro­pri diritti. L’ultima volta fu nel 2008, quando l’allora mini­stro degli Interni Maroni pro­pose di pren­dere le impronte digi­tali a tutti i «nomadi». Rispetto ad allora, però, le cose oggi sem­brano molto peg­giori. In Ita­lia, certo, ma anche in Europa i segnali di allarme per una cre­scente intol­le­ranza verso le mino­ranze, rom e sinti in testa, non man­cano. Solo pochi giorni fa l’ong Euro­pean net­work against racism ha denun­ciato l’aumento dei cri­mini a sfondo raz­ziale: più di 47 mila nel solo 2013, la mag­gior parte con­tro ebrei, neri, musul­mani, rom e asia­tici. Ma que­sta sarebbe solo la punta dell’iceberg: molte volte le aggres­sioni non ven­gono denun­ciate. Casi di vio­lenza e abusi con­tro i rom cre­scono in quasi tutta l’Ue. «Attac­care rom e sinti e la cosa più facile, per­ché non sono orga­niz­zati, non hanno uno Stato che li difenda», spiega Dijana Pavlo­vic, che ha pro­mosso un dise­gno di legge di ini­zia­tiva popo­lare per il rico­no­sci­mento dello stato di mino­ranza storico-linguistica di rom e sinti. «Certo, ora siamo in cam­pa­gna elet­to­rale e i raz­zi­sti pen­sano che tutti que­sti attac­chi ser­vano a rac­co­gliere voti. Ma poi le ele­zioni pas­sano, invece l’odio rimane» dice. Le fa eco Casa­dio: «Sal­vini è un raz­zi­sta, per­ché il raz­zi­smo è sen­tire gli altri meno impor­tanti. Ma noi abbiamo com­bat­tuto per la Resi­stenza e il Paese. Siamo d’accordo per la chiu­sura dei campi, ma non con le ruspe. Noi non li abbiamo mai voluti i campi, siamo stati costretti a viverci dalle varie politiche». Il cor­teo si chiude a piazza XX Set­tem­bre. «Credo di sapere da dove nasce l’odio che si avverte in giro — dice Man­coni in rap­pre­sen­tanza del pre­si­dente del Senato Pie­tro Grasso -: dall’oblio, dalla sme­mo­ra­tezza, dalla cat­tiva memo­ria di tanti su ciò che siamo stati. Solo chi dimen­tica ciò che siamo stati può odiare i sinti e i rom. La vio­la­zione dei diritti di uno di voi è una vio­la­zione del popolo italiano».

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