servitù volontaria – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Thu, 29 Oct 2015 09:28:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 La trappola della servitù volontaria https://www.micciacorta.it/2015/10/la-trappola-della-servitu-volontaria/ https://www.micciacorta.it/2015/10/la-trappola-della-servitu-volontaria/#respond Thu, 29 Oct 2015 09:28:31 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20763 Saggi. «Liberi servi. Il Grande Inquisitore e l’enigma del potere», un denso e avvincente saggio di Gustavo Zagrebelsky per Einaudi

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Il più inquie­tante ed oscuro giallo della vicenda umana ha come trama fon­da­men­tale il potere. Un giallo che per troppo tempo, e forse ancora oggi, ci si è illusi di sve­lare con­cen­trando l’attenzione prin­ci­pal­mente (quando non sol­tanto) su quelli che Tacito chia­mava i misteri del potere (arcana impe­rii). Come se que­sti dise­gni miste­riosi doves­sero pro­ve­nire, ipso facto, da una realtà già costi­tuita che si avvale di quella sua forza per sot­to­met­tere delle vit­time ignare e impotenti. Eppure il vero mec­ca­ni­smo segreto che costi­tui­sce il potere e lo rende sovrano, avviene quando esso non è ancora tale (almeno non in forma com­piuta), gra­zie a una sor­pren­dente alleanza con quello che si rivela il com­plice più for­mi­da­bile, impen­sa­bile ed effi­cace del potere stesso. Quello che, in un giallo per­fetto, si rivela essere il vero col­pe­vole che abbiamo avuto sem­pre sotto gli occhi senza riu­scire a scor­gerlo mai. Per­ché come sape­vano bene gli anti­chi, a par­tire da Omero e dal suo Tire­sia, coloro che sanno vedere oltre e lon­tano, in un mondo oscu­rato dai bagliori del potere e dei suoi cori­fei, sono pro­prio i cie­chi. Men­tre invece i nostri occhi sono abba­ci­nati da fin troppe luci fastose e spet­ta­co­lari, ed è in que­sta orgia di imma­gini velanti che, lo dimen­ti­chiamo volen­tieri, gli occhi diven­tano orbi anche per la troppa luce, oltre che per il buio (Pla­tone, mito della caverna).

In nome della sicurezza

È in quella felice dimen­ti­canza che un esperto let­tore di gialli indi­vi­due­rebbe l’indizio fon­da­men­tale per scor­gere il miste­rioso col­pe­vole. Già, ma allora chi è que­sto segreto, impen­sa­bile, con­tro­verso com­plice del Potere, che lo aiuta a costi­tuirsi a guisa di un idolo i cui dogmi diven­tano indi­scu­ti­bili e impe­ne­tra­bili? La vit­tima. Noi stessi. L’essere umano, che stando all’insegnamento di Freud rinun­cia pre­sto e volen­tieri a quella che è una delle cause mag­giori della sua angu­stia ed inquie­tu­dine. La libertà. A cui l’uomo rinun­cia in cam­bio della sicu­rezza. Di una tutela supe­riore che gli può essere for­nita da un potere vis­suto come onni­sciente e onni­po­tente pro­prio per­ché siamo stati noi a con­ce­der­gli le chiavi tanto della nostra anima quanto del nostro corpo. Una vicenda che affonda le sue radici nella notte dei tempi, quella del potere a cui l’uomo si sot­to­mette per scelta con­sa­pe­vole e ago­gnata. Ma che rag­giunge la sua apo­teosi con­cet­tuale e let­te­ra­ria nella Leg­genda del Grande Inqui­si­tore, nar­rata da Dostoe­v­skij in un capi­tolo memo­ra­bile e con­tro­verso del suo I fra­telli Kara­ma­zov. A rico­struire tale vicenda della mise­ria umana di fronte al potere, incen­tran­dola sul dia­logo dell’Inquisitore con Gesù, decli­nato al tempo stesso a guisa di costante ter­mine di para­gone e apo­teosi della vicenda stessa, è Gustavo Zagre­bel­sky in un sapiente e denso volume come Liberi servi. Il Grande Inqui­si­tore e l’enigma del potere (Einaudi, pp. 292, euro 30). Volume, sia detto per inciso, il cui difetto più grande e forse unico è attri­bui­bile all’editore, che lo ha stam­pato senza indice tema­tico né dei nomi, spo­glio di quella cura edi­to­riale che sarebbe neces­sa­ria (e anche red­di­ti­zia) per un testo così importante. Che l’uomo si sia sem­pre sot­to­messo al potere in seguito a una scelta ragio­nata, è un fatto che l’autore rico­strui­sce con inne­ga­bile mae­stria. Ma a sor­pren­dere è l’inquietante salto qua­li­ta­tivo che avver­tiamo tra le pagine del grande scrit­tore russo. Sì, per­ché in lui non leg­giamo più di un uomo la cui aspi­ra­zione mas­sima è la libertà, di cui pure è dispo­sto a sacri­fi­carne una parte in favore di un potere che gli garan­ti­sca anche pro­te­zione. Bensì la sto­ria, ine­nar­ra­bile, incon­ce­pi­bile, per­fet­ta­mente capace di negare inte­gral­mente l’immagine illu­mi­ni­stica che vogliamo avere dell’essere umano, è quella di un uomo che per natura è por­tato a rifug­gire la libertà. Il suo è un vero e pro­prio ane­lito all’addomesticamento, alla ser­vitù volon­ta­ria e dispen­sa­trice di ogni insi­diosa e disa­ge­vole responsabilità.

Il palazzo di cristallo

Da que­ste fon­da­menta sot­ter­ra­nee e per troppo tempo tenute all’oscuro, si erge il grande «palazzo di cri­stallo» del vero potere. Quello che togliendo agli uomini la libertà si mostra loro (e viene da essi rispet­tato) a guisa di un bene­fat­tore che ese­gue i det­tami della natura. A dif­fe­renza di quel Cri­sto che invece, col suo lot­tare per la libertà dell’uomo e in gene­rale per affer­mare i valori dell’umanità, si rivela il vero nemico del genere umano, colui che lo grava del peso più tra­gico e insostenibile. Quella di Dostoe­v­skij si rivela a tutti gli effetti come una potente e oscena tras-valutazione di tutti i valori in forma let­te­ra­ria (su fon­da­menti molto simili rispetto a quella che Nie­tzsche stava com­piendo in forma filosofica). Al Cri­sto che si pre­sen­tava come «la Verità» («ego sum veri­tas») il Pilato ammi­rato da Nie­tzsche rispon­deva in maniera bef­farda: «Quid est veri­tas?» (che cosa è verità?). Al Cri­sto silente di Dostoe­v­skij, invece, l’Inquisitore tor­men­tato (per­ché è lui a farsi carico della tra­gica verità del genere umano) imputa una colpa ori­gi­na­ria e ine­men­da­bile: aver con­dan­nato l’umanità a quella libertà da cui lui, per il bene dell’umanità stessa, si è dato il com­pito di libe­rarla. In que­sto modo, secondo Zagre­bel­sky, Dostoe­v­skij mette in scena il momento fon­da­tivo e ori­gi­na­rio del potere come lo cono­sciamo oggi. Ossia un potere (che Michel Fou­cault avrebbe defi­nito «gover­na­men­tale») tecno-finanziario, che si fa amare dalle sue stesse vit­time per­ché regala loro il grande spet­ta­colo della fin­zione illu­so­ria ma ras­si­cu­rante. Per­ché non governa con­tro la libertà, ma per mezzo di quella stessa libertà che gli uomini non vogliono e che quindi li spinge a con­for­marsi auto­no­ma­mente a deter­mi­nate norme. In cui essi, alla stre­gua di «negri bian­chi», si sot­to­met­tono total­mente ai dogmi del «potere pasto­rale» in cam­bio della «carità orga­niz­zata», cioè della pos­si­bi­lità di con­su­mare i frutti del pro­prio lavoro nei grandi «palazzi di cri­stallo» che oggi sono i cen­tri com­mer­ciali. Oppure di diver­tirsi tra le maglie iso­lanti e mas­si­fi­canti al tempo stesso della grande Rete virtuale. Quello di Zagre­bel­sky è un libro che, con den­sità di rife­ri­menti, sapienza e chia­rezza di lin­guag­gio, rac­conta lo scan­dalo indi­ci­bile del mondo umano. Segre­ta­mente desi­de­roso di ven­dere al Dia­volo la pro­pria figlia pri­mo­ge­nita. Libertà.

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