soggetto politico – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Wed, 23 Dec 2015 08:41:14 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Sinistra, aperti nei contenuti, uniti per realizzarli https://www.micciacorta.it/2015/12/sinistra-aperti-nei-contenuti-uniti-per-realizzarli/ https://www.micciacorta.it/2015/12/sinistra-aperti-nei-contenuti-uniti-per-realizzarli/#respond Wed, 23 Dec 2015 08:41:14 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21025 Sinistra. La costruzione del nuovo soggetto politico va intrecciata con il lavoro svolto, centrali i referendum

L'articolo Sinistra, aperti nei contenuti, uniti per realizzarli sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>

È semplice e seria, la lezione di Podemos. Per prendere voti, per convincere le persone ci vogliono concretezza e futuro, solidità e coraggio, non trucchi ma vero cambiamento. Eppure rimane una lezione difficile, per noi in Italia. Qui dobbiamo fare i conti con una fine, la fine del “tavolo” che univa tutte le forze della sinistra esistente insieme ad alcune associazioni, e a chi è uscito dal Pd. Una fine che dice che quelle forze, quei soggetti, non vogliono o non possono tenersi insieme – qualunque siano le valutazioni sulle diverse sfumature e gradazioni di responsabilità. Una fine che dice che non c’è più unità, del resto bastava guardare le pagine del manifesto di ieri, che presentavano con chiarezza differenti opzioni in campo. Ma se dove c’è una fine c’è sempre un principio, cosa inizia di nuovo? Il documento che circola da ieri nel web, intitolato una “Sinistra per tutte e tutti”, si propone come un superamento di un’impasse, ed è auspicabile che l’assemblea convocata diventi un vero terreno di confronto politico. Sorprende che il testo si presenti avvolto in una sorta di chador, che vela chi presenta la proposta. Il corpo c’è, ma non si deve vedere. Un’idea poco attraente, ai miei occhi, che anche poco ha a che fare con l’anonimato della moltitudine. Del resto l’assemblea convocata ha una data e una sede e si vuole di tutte e di tutti, una testa un voto. Quindi occorrono regole e soggetti riconoscibili, per partecipare. Sarà la partenza di un processo unitario? Questa è un’incognita tutta da verificare, in fondo il documento “Noi ci siamo”, che era stato firmato da tutti, era molto più stringente, quanto alla definizione del progetto e del soggetto politico da costruire. Siamo di nuovo a uno scenario aperto, in cui le forze politiche interagiscono e si mettono a rischio come chiunque altro, in cui diventa necessario mettere in chiaro la politica, le idee sulle quali ci si confronta. Allargare la discussione e il confronto ai diversi movimenti, ai diversi soggetti, anche i più impensati, anche quelli che da tempo hanno perso qualunque interesse alla rappresentanza. Se non in caso di necessità. Dall’attualità vengono vari esempi. Esistono reti, mondi organizzati che pur essendo altamente politici nella loro ispirazione, da un lato non trovano spazio nell’elaborazione politica, dall’altro se ne tengono fin troppo lontani. Penso alla rete dei Centri antiviolenza, contrari alla norma inserita nella legge di stabilità, sulla procedura con cui accogliere le vittime che si presentano a un Pronto Soccorso. Non entro nel merito, in parlamento ora c’è una mobilitazione contro. Qui osservo che si tratta di questioni cruciali per una cultura politica, sul rapporto con lo Stato, strano che siano sconosciute. Analoghe considerazioni si possono fare a proposito dell’attacco sul “genere”, portato avanti non solo in Italia, dall’oltranzismo cattolico. Temi che tutte le elaborazioni a sinistra ignorano, come se fossero appannaggio di specialisti perlopiù ignorate come le femministe o il movimento Lgbt, mentre al contrario la mobilitazione diffusa, tra i non militanti, è altissima. Perfino un’esperienza capillare, quasi identitaria per la sinistra come l’accoglienza e l’incontro con i migranti e i rifugiati, resta marginale nella discussione politica, confinata a una meravigliosa solidarietà. Non è un caso che proprio questi sono gli assi del successo di Marine Le Pen, sventato dal comportamento “repubblicano” dei francesi, che sta lì implacabile, a mostrare in quale direzione si muove il popolo, quando manca chi sappia parlare, far ragionare sulla propria vita per come è. È questa la politica aperta che occorre. Una politica che in una più che urgente battaglia di idee, guardi alle persone. Una politica che coglie l’occasione dei referendum per coinvolgerle e coinvolgersi. Il lavoro, il territorio, la scuola si intrecciano alla vita di ciascuna e ciascuno, non sono proprietà degli specialisti. Tanto più il referendum costituzionale, che riguarda la possibilità di una comune vita democratica. Sono campagne essenziali che richiedono energia, convinzione, speranza del tutto condivise e unitarie. Una esperienza che già nelle amministrative, in alcune situazioni come a Bologna o a Torino, si sono avviate coi migliori auspici. Bisogna capirsi bene. Il processo aperto per la costruzione del soggetto politico per la sinistra si deve intrecciare ora più strettamente con il fitto lavoro già esistente, di cui i referendum sono parte centrale. Solo così può trovare linfa vitale. Da raccogliere è la lezione più importante di Podemos, e prima del Portogallo e della Grecia: le posizioni antiliberiste, contro i disegni dei capitali finanziari, non sono più minoritarie, conquistano voti. Insomma si può vincere. Il primo passo è permettere che avvenga.

L'articolo Sinistra, aperti nei contenuti, uniti per realizzarli sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>
https://www.micciacorta.it/2015/12/sinistra-aperti-nei-contenuti-uniti-per-realizzarli/feed/ 0
Sinistra.Una casa comune, non una bad-company https://www.micciacorta.it/2015/12/una-casa-comune-non-una-bad-company/ https://www.micciacorta.it/2015/12/una-casa-comune-non-una-bad-company/#comments Fri, 18 Dec 2015 09:08:35 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21014 Una riflessione sulla nascita di “un nuovo soggetto della sinistra italiana”, frutto di un processo costituente che dovrà avere per protagonisti “soggetti nuovi”

L'articolo Sinistra.Una casa comune, non una bad-company sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>

Sergio Cofferati, da quel capitano di lungo corso che è, ha centrato perfettamente il problema, nella sua intervista (il manifesto, 16 dicembre). Una riflessione sulla nascita di “un nuovo soggetto della sinistra italiana”, frutto di un processo costituente che dovrà avere per protagonisti, a sua volta, “soggetti nuovi”. Persone, aggregazioni, esperienze – una generazione – non compromesse con ciò che è stato. Se vorrà aspirare a muovere passioni e speranze oggi sopite e disilluse, e soprattutto se si proporrà di allargare il campo della propria capacità di attrazione e coinvolgimento a un “popolo” molto più ampio di quello rimasto entro i vecchi recinti, non potrà essere “governato”, e neppure prefigurato, dal personale politico e dai gruppi dirigenti delle frammentate formazioni di una fase politica definitivamente chiusa. Che questo sia il punto, lo dimostra d’altra parte la vicenda del cosiddetto “tavolo” che a Roma si è riunito per mesi nel tentativo di giungere a una soluzione condivisa. Il suo compito non era certo cosmico-storico. E neppure quello di una “Costituente”: costituente ha da essere, appunto, il processo aperto e collettivo che si sarebbe dovuto inaugurare. Ai commensali di quel tavolo – tutto ciò che di politicamente organizzato si muove a sinistra – si chiedeva solo di non fare da ostacolo con le propria frammentazione e le proprie conflittualità, all’apertura di una fase nuova e condivisa. Di dichiarare, unanimemente, di sottomettersi a ciò che lungo il percorso, il “corpo sociale” costituito da tutti coloro che ne condividono l’attesa e il bisogno e scelgono di impegnarsi, democraticamente, secondo il principio di “una testa un voto”, fosse venuto decidendo. Né si può dire che esistessero seri ostacoli politici a un esito positivo. Il documento “Noi ci siamo”, sottoscritto da tutti – sottolineo tutti – i partecipanti al “tavolo” poneva punti fermi sulle questioni qualificanti: la fine del centro-sinistra, storicamente certificata, non solo perché del tutto inadeguato a rispondere alle sfide del tempo ma perché cancellato dalla stessa forza politica che ne aveva costituito il baricentro; la mutazione genetica, e nella sostanza irreversibile, del Partito democratico, divenuto controparte di qualunque soggettività politica definibile come “di sinistra”; l’assunzione del contesto europeo come quadro entro il quale pensare e agire i conflitti decisivi. E tracciava le linee di un percorso di costruzione di un soggetto politico «innovativo, unitario, plurale, inclusivo», aperto alla partecipazione «di tutte e di tutti» su base individuale, e capace di esprimere le proprie decisioni sovrane attraverso processi pienamente democratici e partecipati (ragion per cui discutere ora di federazioni, di scioglimento, fare filosofia su come si chiamerà, partito o soggetto politico o chissà che altro, non dovrebbe avere alcun senso, serve solo a camuffare la realtà). Se il meccanismo si è inceppato, e ha prevalso il non expedit, lo si deve non a quelle che Gramsci avrebbe chiamato questioni di «Grande Politica» (quelle che riguardano «la fondazione di nuovi Stati» oppure «la lotta per la costruzione, la difesa, la conservazione di determinate strutture organiche economico-sociali» cioè le classi), bensì – continuo a citarlo – agli accidenti della «piccola politica», quella «del giorno per giorno», «le lotte di preminenza tra le diverse fazioni di una stessa classe politica». Nel nostro caso il gioco incrociato tra il feticismo identitario degli uni, le velleità egemoniche degli altri, il formalismo organizzativista dei terzi, determinati i primi a proclamare una (sinceramente incomprensibile) continuità inossidabile ab aeterno, i secondi a porre conventiones ad excludendum preventive (altrettanto sinceramente inaccettabili e difficilmente motivabili), gli ultimi a pretendere d’imporre una propria idea di “partito” come condizione preliminare anziché come esito finale, e qualcuno infine a farsi ex novo un partitino a lato. Tutti in qualche modo accomunati da un atteggiamento proprietario sul processo e sul soggetto, che porrebbe coloro che se ne dovrebbero mettere al servizio come, invece, Legislatori dell’uno e padroni dell’altro. E finirebbe per espropriare di fatto tutti coloro – e continuo a pensare che siano tanti – che desiderano una casa comune e intendono costruirsela senza dover subire progetti altrui. L’intervista di Cofferati suona come un salutare invito al ripensamento. Una sorta di time breack più che opportuno, che risponde alla spirito di quanti, a quel tavolo, avevano lavorato perché un’altra logica prevalesse (sicuramente noi dell’Altra Europa con Tsipras, ma anche i giovani di ACT, e lo stesso Cofferati con Andrea Ranieri). Il suo invito perché siano “le persone” a prendere nelle proprie mani il processo, nel segno di una discontinuità non solo nei contenuti, ma anche nelle forme, e nei soggetti protagonisti, con una nuova generazione alla guida del processo, e volti, parole, stili diversi, non è solo un suggerimento tattico, per superare un’impasse. E’ un’esigenza strategica, senza la quale potrà nascere solo una bad company, che i ribelli del futuro liquideranno insieme ai cattivi debiti e alle “sofferenze” non solo bancarie del passato.

L'articolo Sinistra.Una casa comune, non una bad-company sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>
https://www.micciacorta.it/2015/12/una-casa-comune-non-una-bad-company/feed/ 1