svalutazione dello yuan – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Fri, 14 Aug 2015 14:43:50 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Christian Marazzi: Chinadown, lo choc globale https://www.micciacorta.it/2015/08/christian-marazzi-chinadown-lo-choc-globale/ https://www.micciacorta.it/2015/08/christian-marazzi-chinadown-lo-choc-globale/#respond Fri, 14 Aug 2015 14:43:50 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20186 Non dev’essere il movi­mento a ver­ti­ca­liz­zarsi, com’è acca­duto in Gre­cia, ma la poli­tica a farsi oriz­zon­tale e a misu­rarsi inte­gral­mente con le sue istanze

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Intervista. L'economista svizzero: «La svalutazione dello Yuan creerà una situazione incompatibile con la rigidità di Schäuble. Con il venire meno della forza della Germania, cioè lo sbocco in Oriente, non vedo come potranno funzionare le sue politiche ossessivamente austeritarie L’Europa potrebbe rac­co­gliere la chance offerta dalla crisi cinese per rove­sciare l’assetto eco­no­mico impo­sto al con­ti­nente dall’austerità. Per l’economista Chri­stian Marazzi la sva­lu­ta­zione dello yuan voluta da Pechino mer­co­ledì scorso potrebbe aprire uno spi­ra­glio per il rilan­cio di poli­ti­che espan­sive nell’Eurozona. «Venendo meno la pos­si­bi­lità di espor­tare mas­sic­cia­mente in Cina – ragiona l’autore de E il denaro va (Bol­lati Borin­ghieri) e Dia­rio della crisi (Ombre Corte) — la Ger­ma­nia potrebbe avere inte­resse nel rilan­cio della domanda interna entrando così in una fase post-austeritaria”.
L'economista Christian Marazzi
L’economista Chri­stian Marazzi
La Ger­ma­nia sof­fre da almeno un anno la crisi cinese, ma il suo governo non sem­bra inten­zio­nato a cam­biare impo­sta­zione. È uno sce­na­rio cre­di­bile? In effetti ci con­fron­tiamo con un fana­ti­smo ordo­li­be­ri­sta sem­pre più poli­tico. La rigi­dità con la quale i tede­schi con­ti­nuano ad affron­tare la Gre­cia, osten­tando la loro ege­mo­nia, lascia in sospeso que­sta chance. Ma la situa­zione che è stata uffi­cia­liz­zata dalla Banca del popolo cinese (Bpc) è incom­pa­ti­bile con la rigi­dità di Schäu­ble. Con il venire meno della forza della Ger­ma­nia, cioè lo sbocco in Oriente, non vedo come potranno fun­zio­nare le sue poli­ti­che osses­si­va­mente auste­ri­ta­rie. Si potreb­bero addi­rit­tura imma­gi­nare le sue dimis­sioni o una crisi seria del governo. Quali saranno i con­trac­colpi di que­sta deci­sione sull’Europa e le poli­ti­che di Dra­ghi? La Bce sarà costretta a con­ti­nuare il quan­ti­ta­tive easing anche oltre il set­tem­bre 2016 dato che uno degli effetti che avrà la deci­sione cinese sarà quello di espor­tare defla­zione pro­prio nel momento in cui la Bce sta cer­cando di debel­larla. Biso­gna dire che il Qe non genera neces­sa­ria­mente una cre­scita omo­ge­nea, que­sta situa­zione com­pli­cherà ancora di più l’obiettivo che intende rag­giun­gere Dra­ghi. Nei pros­simi mesi assi­ste­remo inol­tre alla recru­de­scenza degli attac­chi al sala­rio, alle pen­sioni e alla pre­ca­riz­za­zione dei lavo­ra­tori per far fronte ad uno sce­na­rio glo­bale desta­bi­liz­zato. Sarà come prima, ma più di prima. In que­sta cor­nice potreb­bero raf­for­zarsi una serie di riven­di­ca­zioni poli­ti­che anche in Ita­lia, ad esem­pio quella di sgan­ciare il costo del lavoro dalle con­di­zioni di vita, tra­sfor­mando il sala­rio in red­dito di esi­stenza e non più in costo del lavoro. Una situa­zione che potrebbe faci­li­tare una fase di costi­tu­zione di movi­menti tra­sver­sali e postsindacali. Il fal­li­mento di Tsi­pras sem­bra avere invece raf­for­zato le posi­zioni sovra­ni­ste, noeuro e xeno­fobe, l’opposto di que­sto sce­na­rio… Siamo tutti ancora stor­diti per quanto è suc­cesso in Gre­cia. La forza della neces­sità pre­vale ormai sull’ottimismo di una ver­ti­ca­liz­za­zione dei movi­menti. La sva­lu­ta­zione cinese e la realtà esplo­siva e tra­gica dei pro­fu­ghi sono i due aspetti più visi­bili di una situa­zione in equi­li­brio pre­ca­rio. Non so quanto potrà durare senza sca­te­nare rivolte che non avranno neces­sa­ria­mente un esito posi­tivo e costi­tuente. Detto que­sto, è il caso di notare che il piano Schäu­ble pre­vede l’uscita dall’euro della Gre­cia e di altri paesi, cioè la stessa cosa che vogliono i suoi avver­sari. Il dibat­tito euro si-euro no mi sem­bra una grande trap­pola. È stato giu­sto inve­stire su Syriza, ora biso­gna pun­tare su una fase di con­creta soli­da­rietà, di spe­ri­men­ta­zione di monete di scam­bio locali. Non dev’essere il movi­mento a ver­ti­ca­liz­zarsi, com’è acca­duto in Gre­cia, ma la poli­tica a farsi oriz­zon­tale e a misu­rarsi inte­gral­mente con le sue istanze. Quali sono invece gli sce­nari che si aprono in Cina? Già pro­spet­tando le con­se­guenze sul governo tede­sco delle deci­sioni della Bcp di Pechino abbiamo com­preso che la Cina è, non da oggi, un attore estre­ma­mente potente dell’economia glo­bale. Non lo è solo dal punto di vista degli scambi com­mer­ciali, ma ormai anche da quello mone­ta­rio inter­na­zio­nale e degli equi­li­bri dei mer­cati finan­ziari. Que­sta deci­sione è stata presa per rime­diare al ter­re­moto avve­nuto sulla borsa di Shan­gai e ha molto a che fare con una lotta nel par­tito comu­ni­sta. Il ven­tre del Pcc si è ven­di­cato con­tro XI Jin­ping ven­dendo in massa i titoli. La base del par­tito non sop­porta la cam­pa­gna con­tro la cor­ru­zione voluta dai ver­tici. È in atto una lotta interna che XI Jin­ping sta vin­cendo, almeno per il momento. La banca cen­trale agi­sce secondo le diret­tive del par­tito per con­te­nere que­sta resi­stenza della base. Quella cinese è una mossa pre­ven­tiva con­tro il rialzo dei tassi che la Fede­ral Reserve ame­ri­cana dovrebbe deci­dere in autunno? Janet Yel­len, la gover­na­trice della Fed, ha seguito una poli­tica intel­li­gente orien­tata all’uscita gra­duale dalle poli­ti­che di tassi di inte­resse nulli. Sem­brava che si fosse pros­simi alla pos­si­bi­lità di farlo, ma quanto suc­cesso in Cina l’ha azze­rata o posti­ci­pata. Non è cosa da poco per­ché l’aumento dei tassi è neces­sa­rio per gli Usa in vista di una pros­sima di crisi. Per gli ame­ri­cani è neces­sa­rio avere un mar­gine di mano­vra per con­tra­stare la reces­sione. Se non pos­sono aumen­tare i tassi, non avranno que­sti mar­gini nel futuro. Que­sti eventi pos­sono avere risvolti anche preoccupanti. Quali? Si sono visti subito quando il ren­di­mento dei buoni del tesoro Usa a due anni è calato in pre­vi­sione dell’impossibilità della Fed di aumen­tare a breve i tassi per gli effetti defla­zio­ni­sti della sva­lu­ta­zione cinese. Pen­siamo alle con­se­guenze sui fondi pen­sione, cioè i mag­giori acqui­renti di buoni del tesoro al mondo. Con que­sti tassi di ren­di­mento nulli o addi­rit­tura nega­tivi si tro­ve­ranno nei pasticci quando dovranno ero­gare le ren­dite pen­sio­ni­sti­che. Poi c’è l’effetto sulle mate­rie prime, come l’oro o il rame che subi­scono con­trac­colpi forti per il calo della domanda mon­diale. Infine c’è il calo del petro­lio che dall’anno scorso ha pesanti effetti sull’industria del frac­king. L’unica cosa che potrebbe con­tro­bi­lan­ciare la rigi­dità dei tassi di inte­resse pros­simi allo zero è che in que­sti mesi sono stati fatte tante fusioni e acqui­si­zioni visto che il denaro costa nulla. Tutti teme­vano un rialzo dei tassi di inte­resse e quindi un effetto peri­co­loso sulle grandi cor­po­ra­tion che si sono com­prate a vicenda, indebitandosi. Per­ché il Fondo Mone­ta­rio man­tiene la calma in que­sta situa­zione? Per­ché un cam­bio più fles­si­bile per­mette di avere un’economia dina­mica e favo­ri­sce l’entrata del ren­minbi nel paniere dei diritti spe­ciali di pre­lievo, costi­tuito dal dol­laro, l’euro, la ster­lina e lo yen. Dall’inizio del 2014 il ren­minbi si è riva­lu­tato di oltre il 10 % a causa del suo legame con il dol­laro. La terza sva­lu­ta­zione della moneta cinese rie­qui­li­bra in maniera nor­male la parità con le valute dei part­ner com­mer­ciali occi­den­tali ed è un primo passo verso la mer­ca­tiz­za­zione di quella cinese che non sarà più una moneta cir­co­scritta agli scambi con i paesi asia­tici più vicini. Secondo la loro tra­di­zione, i cinesi hanno astu­ta­mente rove­sciato la cri­tica degli ame­ri­cani (rigi­dità del ren­minbi) a loro van­tag­gio. Oggi il loro van­tag­gio sta nella sva­lu­ta­zione che com­pensa il calo della pro­du­zione e delle espor­ta­zioni che è molto più grave di quella annunciata. Si raf­forza allora la trap­pola dell’economia finan­zia­ria: tassi bassi, cre­scita bassa e liqui­dità a go go? Sì, l’economia è desta­bi­liz­zata e lo resterà. In que­sto sce­na­rio va inteso il con­trat­tacco cinese con­tro una poli­tica finan­zia­ria ame­ri­cana che ha voluto pena­liz­zare i paesi emer­genti, e la Cina in primo luogo.

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La lotta di classe e la Banca centrale di Pechino https://www.micciacorta.it/2015/08/la-lotta-di-classe-e-la-banca-centrale-di-pechino/ https://www.micciacorta.it/2015/08/la-lotta-di-classe-e-la-banca-centrale-di-pechino/#respond Fri, 14 Aug 2015 14:26:02 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20183 la cre­scita dei salari è il frutto ancora acerbo dell’incontro tra una rina­scente lotta di classe in Cina e una qual­che dispo­ni­bi­lità ad allen­tare i cor­doni delle borse da parte delle classi dirigenti

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Strategie. La crescita dei salari e qualche miglioria nelle prestazioni lavorative sono il frutto ancora acerbo, dell’incontro tra una rinascente lotta di classe in Cina e una qualche disponibilità ad allentare i cordoni delle borse - visti i margini esistenti - da parte delle classi dirigenti. In altre parole si aprono spazi di riformismo reale, che però la recente decisione della Banca centrale rimette fortemente in discussione Men­tre le miopi e ingorde élite euro­pee si acca­ni­scono con­tro la pagliuzza greca, la trave cinese è pene­trata nell’occhio della finanza mon­diale. Due sva­lu­ta­zioni dello yuan stanno met­tendo in fibril­la­zione il mondo intero e le Borse vanno in pic­chiata. Solo l’Europa «bru­cia» circa 230 miliardi nello spa­zio di un mat­tino. Pra­ti­ca­mente i due terzi dell’intero debito greco. E non è finita. Indub­bia­mente la mossa della Banca cen­trale cinese si iscrive nel capi­tolo delle «sva­lu­ta­zioni com­pe­ti­tive», come giu­sta­mente scritto qui Pie­ranni. Pechino doveva rea­gire in qual­che modo al crollo del pro­prio export che a luglio ha matu­rato una fles­sione dell’8%. D’altro canto il ten­ta­tivo di svol­tare nelle poli­ti­che eco­no­mi­che, pun­tando sulla valo­riz­za­zione e il poten­zia­mento del mer­cato interno, era ed è obiet­tivo troppo ambi­zioso per potersi rea­liz­zare in breve tempo. Ma da qui a dire che è fal­lito, ce ne corre. Almeno per il momento ed in base ai dati dispo­ni­bili. Alcuni com­menti letti in que­ste ore pec­cano di una evi­dente sot­to­va­lu­ta­zione delle capa­cità pro­tei­formi del capi­ta­li­smo, di quello cinese in par­ti­co­lare. Troppo pre­sto per suo­nare le cam­pane a morto, anche se lo si vorrebbe. La mossa cinese ha più moti­va­zioni. C’è innan­zi­tutto un fatto in con­tro­ten­denza al qua­dro mon­diale che va messo in evi­denza. In Cina si è venuta rea­liz­zando negli ultimi anni una cre­scita dei salari medi, come ha regi­strato anche la stampa eco­no­mica main­stream. Niente di ecce­zio­nale, visto che par­ti­vano da livelli molto bassi. Ma pur sem­pre un ele­mento signi­fi­ca­tivo, soprat­tutto per­ché non deriva solo da una mag­giore capa­cità nel pre­ve­nire e nel fron­teg­giare gli effetti della crisi mon­diale da parte delle classi diri­genti cinesi rispetto a quelle di altri paesi — basta pen­sare alla Unione euro­pea — ma soprat­tutto da una presa di coscienza da parte delle classi lavo­ra­trici cinesi nei set­tori manifatturieri. Ovvero la cre­scita dei salari e qual­che miglio­ria nelle pre­sta­zioni lavo­ra­tive è il frutto ancora acerbo, dell’incontro tra una rina­scente lotta di classe in Cina e una qual­che dispo­ni­bi­lità ad allen­tare i cor­doni delle borse — visti i mar­gini esi­stenti — da parte delle classi diri­genti. In altre parole si aprono spazi di rifor­mi­smo reale, che però la recente deci­sione della Banca cen­trale rimette for­te­mente in discussione. Infatti l’aumento delle retri­bu­zioni è già suf­fi­ciente per intac­care la pro­ver­biale com­pe­ti­ti­vità delle merci cinesi, ma non ancora in grado di fare da volano alla domanda interna, ovvero all’incremento dei con­sumi. La crisi mon­diale impe­di­sce che que­sta venga sosti­tuita, senza inter­venti di tipo mone­ta­rio, dalla domanda estera. Nello stesso tempo le pre­vi­sioni sulla cre­scita quan­ti­ta­tiva cinese non sono otti­mali. Alcuni cen­tri di ana­lisi le sti­mano infe­riori per­sino di parec­chio a quelle uffi­ciali, tenendo conto dell’andamento dei con­sumi ener­ge­tici e della stessa pro­du­zione indu­striale. Lo stu­pore dei cinesi di fronte alle rea­zioni stiz­zite inter­na­zio­nali, ma non di tutti, non deriva solo dalla tra­di­zio­nale astuta dop­piezza orientale. Non hanno torto quando affer­mano che non hanno fatto altro che quello che il resto del mondo capi­ta­li­stico chie­deva loro, ovvero aprirsi al mer­cato. L’obiettivo non è dun­que una gene­rica e con­fusa guerra valu­ta­ria — peral­tro già in corso con altri mezzi — quanto quello di rispon­dere posi­ti­va­mente alle con­di­zioni poste dallo stesso Fmi — che infatti ha gra­dito — per per­met­tere allo yuan di affian­care le altre monete impor­tanti nel paniere dei Diritti spe­ciali di pre­lievo (Sdr nell’acronimo inglese). Que­sto farebbe dello yuan una moneta di riserva glo­bale. Il che la ren­de­rebbe più sta­bile e ridur­rebbe il biso­gno di dete­nere riserve mas­sicce, libe­ra­liz­zan­done l’uso. I primi a subire le con­se­guenze nega­tive della deci­sione cinese sono i paesi del sud est asia­tico, come il Viet­nam (mai amato, come è noto, dai cinesi) che ha prov­ve­duto anch’esso ad allar­gare la banda di oscil­la­zione della pro­pria moneta per reg­gere la con­cor­renza inter­na­zio­nale. Anche qui la mossa cinese ha una logica tutt’altro che impre­ve­di­bile. Vuole rispon­dere al ten­ta­tivo ame­ri­cano di strin­gerle attorno un cap­pio con il Tpp, l’accordo com­mer­ciale con i paesi del Paci­fico, che non a caso la esclude. La stessa mas­sic­cia immis­sione di liqui­dità (il quan­ti­ta­tive easing) da parte della Fed ha reso iper­com­pe­ti­tivo il dol­laro. Se di qual­cosa ci saremmo dovuti stu­pire è che prima o poi non si mani­fe­stasse una rea­zione cinese. Ma chi rischia vera­mente grosso è come al solito la nostra Europa. Da un lato le merci cinesi diven­te­ranno più com­pe­ti­tive e pro­ba­bil­mente i cinesi spen­de­ranno meno da noi. Il tutto potrebbe tra­mu­tarsi per­sino in un cam­pa­nello d’allarme utile a smor­zare i toni trion­fa­li­stici della Ger­ma­nia, molto inte­res­sata al mer­cato orien­tale, ma ci ver­rebbe un’altra poli­tica a Ber­lino. La crisi sta cam­biando gli assetti del mondo. Anche l’eterogenesi dei fini gioca il suo ruolo. The Times They Are a-Changin’, anche se in una dire­zione ben diversa da quella auspi­cata da Bob Dylan più di 50 anni fa.

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