Viktor Orbàn – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Sun, 22 Sep 2019 17:13:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Il mostro storico del «rovescismo» unisce il Pd e Orbán https://www.micciacorta.it/2019/09/il-mostro-storico-del-rovescismo-unisce-il-pd-e-orban/ https://www.micciacorta.it/2019/09/il-mostro-storico-del-rovescismo-unisce-il-pd-e-orban/#respond Sun, 22 Sep 2019 17:13:16 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25666 La risoluzione UE che equipara nazifascismo e comunismo, approvata a larghissima maggioranza grazie anche ai voti di popolari e "socialisti", con temerario sprezzo della verità attribuisce paritariamente la responsabilità della Seconda Guerra mondiale alla Germania di Hitler e alla Russia sovietica

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La risoluzione del Parlamento europeo, fondata sulla equiparazione tra nazifascismo e comunismo, rappresenta insieme un mostro storico e una bestialità politica. Ma è anche una clamorosa conferma della superfluità “esistenziale” di questo organismo. Se davvero si vuole una Europa unita, e se la si vuole come si dovrebbe, rifare a fundamentis, il Parlamento europeo sarà semplicemente da eliminare. Un gruppo di signori, godenti di privilegi, che hanno poco o nulla da fare nella vita, sono riusciti a formulare un testo basato su un modesto imparaticcio scolastico, senza capo né coda, un documento lunghissimo, farcito di premesse, di riferimenti interni alla legislazione eurounitaria, ma ahinoi, purtroppo, anche con una serie di ragguagli che pretendono di essere storici, ma sono un esempio di revisionismo ideologico all’ennesima potenza: insomma, il mai abbastanza vituperato «rovescismo», fase suprema del revisionismo, ed è il frutto finale di un lungo lavorio culturale, che dalle accademie è trapassato nel dibattito pubblico, tra giornalismo e politica professionistica. Il rovescismo riesce a produrre esiti a cui il revisionismo tradizionale non ha avuto il coraggio di spingersi: questo documento è un esempio preclaro di questi esiti. La linea di fondo, che il rovescismo ha raggiunto, e di cui in Italia abbiamo avuto numerose manifestazioni, è il rovesciamento della verità storica, sulla base di un equivoco parallelismo, che ha illustri precedenti nella filosofia politica, tra fascismo e comunismo, tra fascismo e antifascismo, tra partigiani e repubblichini (per concentrarsi sul nostro Paese): e questo sulla base della nefasta teoria delle memorie condivise, nel documento “europeo” riproposta al singolare, come fonte della “identità” del Continente, a cui l’organo legislativo di una sua parte, sebbene numerosa, pretende di sovrapporsi. L’Unione europea, sarà opportuno ricordare, non è l’Europa, e il Parlamento della Ue non esprime sentimenti, pensieri, sensibilità e, aggiungo, volontà, di alcune centinaia di milioni di cittadini e cittadine dei 27 Stati aderenti. Ciò detto, la risoluzione, con temerario sprezzo della verità, attribuisce paritariamente la responsabilità della Seconda Guerra mondiale alla Germania nazista e alla Russia sovietica, e in particolare sarebbe la «conseguenza immediata» del Patto Ribbentrov-Molotov, e avendo sottolineato, di nuovo con un esempio di grottesca violenza alla realtà fattuale, che l’istanza unitaria nel Vecchio Continente nasce come risposta alla «tirannia nazista» e «all’espansione dei regimi totalitari e antidemocratici», si richiama alla legislazione di alcuni Paesi membri, che ha già provveduto a «vietare le ideologie comuniste e naziste», e invita gli Stati dell’Ue a prenderli ad esempio. Curiosamente il documento di questi nuovi analfabeti della storia, usa l’espressione «revisionismo storico» per riferirsi esclusivamente al nazismo, e al progetto genocidario insito in esso, e presenta la posizione a cui si ispira come corretta e indubitabile, al punto da pretendere di diventare legge. E la proposta cui giunge questo mirabile esempio di menzogna storica, e insieme di miseria politica e di bassezza morale, quale è mai? La sollecitazione agli Stati membri a provvedere a condannare i «crimini dei regimi totalitari comunisti e dal regime nazista», e di conseguenza a «formulare una valutazione chiara», che traduca praticamente questa raccomandazione. Ossia, evitare la diffusione e la presenza e la circolazione nei relativi Paesi di ideologie e simboli che richiamino nazismo e comunismo. Insomma, è una Europa polonizzata e magiarizzata e ucrainizzata: l’Europa che dimentica il ruolo fondamentale della Russia, a cui viene sì attribuito l’etichetta di Paese martire, ma non certo quello, confermato da ogni ricerca storica, di barriera al nazifascismo. E il documento, che pare ispirato direttamente da tedeschi polacchi e ungheresi, si apre a parole di dolce accoglienza nel seno della famiglia dell’Europa “democratica” dei Paesi liberatisi dal giogo sovietico. E, incredibilmente, si precisa: «adesione all’Ue e alla Nato», con una inaccettabile confusione di europeismo e atlantismo. Ebbene, questo documento è stato approvato con i voti della destra di Orbán e soci, ma anche dei popolari e dei “socialisti”, ivi compresi gli esponenti del Pd. Che con questo atto ha segnato la sua definitiva fuoruscita dal campo della sinistra internazionale, ma altresì dal campo della decenza e della dignità. * Fonte: Angelo d'Orsi, il manifesto

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Sinistre riunite in piazza a Milano contro la «fortezza Europa» https://www.micciacorta.it/2018/08/sinistre-riunite-in-piazza-a-milano-contro-la-fortezza-europa/ https://www.micciacorta.it/2018/08/sinistre-riunite-in-piazza-a-milano-contro-la-fortezza-europa/#respond Wed, 29 Aug 2018 07:13:39 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=24795 La Milano antirazzista. Più di 10mila persone rispondono all’appello dei Sentinelli e del comitato Insieme senza muri. Sugli striscioni «Salvini is not Italy». Sul palco migranti e rappresentanti delle Ong

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MILANO. Un universo di anime e bandiere della sinistra dopo anni di conflitti interni si è ricompattato ieri in piazza San Babila a Milano. Tutti uniti contro la deriva sovranista ed euroscettica promossa dall’asse Salvini-Orbán. I nemici esterni che conciliano le divergenze. Mentre a palazzo Diotti, nella sede di una prefettura blindatissima, si incontravano il leader leghista e il premier ungherese, in piazza è scesa la Milano antirazzista. Dall’Anpi ai sindacati, dal Pd a Leu, dalle associazioni di richiedenti asilo al mondo cattolico, l’Ars e i centri sociali. Ci volevano Orbán e Salvini per riunire – come ai tempi delle proteste contro Berlusconi – un fronte spaccato. La Milano dell’accoglienza ha risposto all’appello dell’associazione dei Sentinelli e del comitato Insieme senza muri. Le stesse realtà che proprio nel capoluogo lombardo hanno organizzato a giugno la grande tavolata multietnica a favore dell’integrazione. Oltre 10 mila persone si sono riunite per dire no all’idea di Europa e di Italia promossa dal ministro dell’Interno. «Salvini is not Italy, Orbán is not Europe», recitavano alcuni striscioni. Ma l’immagine simbolo è stata il manifesto della Diciotti: la nave messa in salvo da due grandi mani, alzata su 500 cartelli alla fine della manifestazione. Luca Paladini, il portavoce dei Sentinelli, più volte minacciato per le sue battaglie sui diritti civili, ha voluto dedicare la giornata ai migranti bloccati per giorni nel porto di Catania. Si temevano disordini tra forze dell’ordine e antagonisti, come già successo in altre contestazioni al leader leghista. Ma così non è stato. Unico «fuori programma», quando gli attivisti del centro sociale Il Cantiere hanno protestato in via Fieno, ricoprendo i muri della sede del Consolato ungherese con le impronte di mani rosse di vernice. Un corteo varipinto, formato da giovani, anziani, bambini, ha poi sfilato lungo corso Venezia, scortato dagli agenti in tenuta antisommossa. Ma prima, gli interventi in piazza San Babila, mentre i calciatori della Fc St. Ambroeus, la prima squadra di rifugiati iscritta alla Figc, improvvisavano un allenamento. Sul palco, anche i rappresentanti del principale bersaglio del governo: le Ong che operano nel Mediterraneo. «Siamo stati chiamati taxi del mare e vicetrafficanti», ha ricordato Riccardo Gatti, comandante delle navi di Proactiva openarms. «Il governo sta dando altre imbarcazioni alla guardia costiera libica, noi abbiamo visto cosa fanno, come trattano i migranti, calpestando i diritti. Nessuno dice più quanta gente sta morendo in mare, vogliono distruggere l’umanità, vedendo questa piazza credo che non ce la faranno». «Un’Europa senza confini» il messaggio lanciato ai due leader barricati a poche centinaia di metri nella sede della Prefettura. «Stiamo assistendo a una situazione di pericolosa regressione dove sforzi della nostra Marina Militare e delle Ong sono stati cancellati in pochi mesi di scellerato governo», ha affermato l’assessore milanese al Welfare Pierfrancesco Majorino. «A Salvini diciamo che non ci faremo portare da lui nel Medioevo». Ma la scena è stata dei tanti profughi e richiedenti asilo che hanno preso il microfono e parlato alla piazza. «Non ho paura solo per me. Ho paura anche per voi italiani», è stato il commento di uno dei giocatori della Fc St. Ambroeus. La squadra e gli altri migranti, come quelli della comunità di Sant’Egidio, hanno poi guidato il corteo in prima fila, fino a sera. Tra gli ultimi a parlare anche l’ex presidente della Camera Laura Boldrini: «Voglio dire a Salvini che noi in questa piazza non abbiamo paura del futuro. Noi non abbiamo paura degli altri, di chi è diverso da noi, anzi questa diversità ci arricchisce. Non possiamo permetterci di disperdere le energie di questa piazza. Dobbiamo fornire un’alternativa, un’iniziativa politica innovativa, mai fatta prima». Un appello rivolto a una sinistra che da tempo non si ritrovava così unita. * Fonte: Mattia Guastafierro, IL MANIFESTO

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Prima e dopo Trump. Le parole della politica che offendono e le scelte che uccidono https://www.micciacorta.it/2016/11/trump-le-parole-della-politica-offendono-le-scelte-uccidono/ https://www.micciacorta.it/2016/11/trump-le-parole-della-politica-offendono-le-scelte-uccidono/#comments Fri, 18 Nov 2016 11:44:36 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22666 I muri e barriere promessi da Donald Trump sul confine tra USA e Messico esistono già: li ha eretti il democratico Bill Clinton

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In politica contano sia le parole che i fatti. Spesso si dà però più importanza ai pronunciamenti che non alle effettive e concrete decisioni, anche perché è ormai invalsa nei governanti la politica dell’annuncio e un sistema dell’informazione che a ciò si presta, fermandosi alla superficie. Le parole spese da Donald Trump nell’accesa e recente competizione elettorale sono note. Concetti e propositi tutto sommato prevedibili per un candidato repubblicano, sostenuto anche da forze esplicitamente razziste, pur se espressi in un modo rude e aggressivo, a rafforzare ulteriormente la violenza dei contenuti. Basti citare un solo esempio: promettendo di espellerne milioni e di costruire un muro sul confine messicano per impedire l’arrivo di altri, Trump è arrivato a definire gli immigrati «serpenti velenosi». Tanto da riscuotere le censure di un altro Capo di Stato, papa Francesco, che ha invece esortato i vescovi americani a costruire ponti e a predicare la cultura dell’incontro. Meno noti sono i fatti (forse perché meno recenti, il che nell’epoca senza memoria dell’informazione usa e getta, equivale spesso alla non sussistenza). Che in questo caso riguardano Bill Clinton e i Democratici. E qui forse la prevedibilità, o almeno la coerenza, sono stati decisamente minori. Mentre giustamente le parole di Trump hanno provocato reazioni e critiche, i fatti precedenti poco vengono ricordati e conosciuti. Vale a dire che i circa 3200 chilometri della frontiera tra Stati Uniti e Messico vedono già ora muri, reti, recinzioni elettrificate, palizzate con filo spinato, barriere fisiche ed elettroniche per un terzo della lunghezza. Ed è stato proprio il democratico Clinton a volere il rafforzamento delle strutture di contenimento dei migranti di modo che questi si trovino di fronte all’alternativa di provare a superare le barriere presidiate, venendo spesso arrestati, oppure di tentare la sorte nei tratti di confine senza recinzioni, che sono però quelli desertici e dunque ancor più pericolosi. Il risultato è stato che dal 2001 sono oltre 2500 i migranti trovati senza vita lungo questo percorso. Una cifra già di per sé drammatica che, secondo le organizzazioni umanitarie, bisogna triplicare per avvicinarsi ai numeri reali. Il che ricorda e testimonia che neppure l’alta probabilità di perdere la vita è in grado di fermare il flusso del bisogno e della speranza. Che è in crescita, come di nuovo mostrano i numeri: nel 2016 la polizia americana ha catturato circa 600 mila persone nel tentativo di ingresso illegale lungo il confine meridionale; quasi un quarto in più rispetto all’anno precedente. L’Europa non è certo seconda agli States dal punto di vista delle drammatiche cifre e neppure nell’uso di parole violente, nelle scelte di respingimento e nella costruzione di muri, con in prima fila l’Ungheria di Viktor Orban, che non a caso ha prontamente simpatizzato con Trump. Al 13 novembre sono 341.055 i migranti e rifugiati entrati via mare in Europa dall’inizio del 2016 (170.553 in Grecia e 164.868 in Italia). Le vittime sono state almeno 4271, 749 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nonostante gli arrivi siano invece drasticamente diminuiti di 387.871 unità. Un più che dimezzamento che non è però dovuto al venire meno delle ragioni che spingono al viaggio, anzi accresciute dato l’incrudelirsi ulteriore delle guerre in corso in Siria e nel Medio Oriente, causa principale dei flussi. Ciò che ha consentito di ridurre gli arrivi di profughi attraverso il Mediterraneo è stata la scelta cinica e complice dell’Europa di “esternalizzare” le proprie frontiere, appaltando alla Turchia del dittatore Erdogan il compito di bloccare il flusso dei disperati. Dietro lauto compenso economico e con il silenzio omertoso sulle quotidiane ed enormi violazioni dei diritti umani in corso in quel Paese: basti pensare agli oltre 30 mila arresti dal luglio scorso, alla chiusura di 200 media e l’imprigionamento di centinaia di giornalisti, alla persecuzione della popolazione curda, con l’arresto di 6 mila membri e di 12 deputati del Partito Democratico dei Popoli (HDP), uno dei partiti maggiori rappresentati in Parlamento: un fatto che non ha precedenti nella storia recente a livello mondiale e che non ha suscitato reazioni significative nel consesso internazionale. Se questo è il quadro, non ci si può esimere dal porre una domanda: è affermabile una responsabilità e una conseguenza tra parole e fatti? E ancora di più: è sostenibile una responsabilità e conseguenza tra scelte politiche e loro esiti, diretti o indiretti? Se la risposta è affermativa, come dovrebbe, occorre dire che le scelte operate in materia di muri e di contenimento dei flussi migratori negli Stati Uniti e in Europa sono state e sono scelte disumane e omicide. In un mondo dove democrazia e diritti umani non fossero solo slogan, sempre più svuotati di significato ed effetti, tali scelte dovrebbero essere giudicate dalla Corte penale internazionale. Se non fosse che anche questa è espressione della legge del più forte, anziché di quella di una piena e vera giustizia sovranazionale.  

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Il corridoio della solidarietà https://www.micciacorta.it/2015/09/il-corridoio-della-solidarieta/ https://www.micciacorta.it/2015/09/il-corridoio-della-solidarieta/#respond Wed, 16 Sep 2015 07:00:23 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20376 Niente asilo. Il flusso di profughi non si fermerà di fronte all’Europa trasformata in fortezza con le armi e con l’ipocrita distinzione tra profughi (da accogliere) e migranti (da respingere)

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Lo sgam­betto con cui la cro­ni­sta unghe­rese Petra Laszlo ha but­tato a terra un pro­fugo siriano che por­tava il pro­prio figlio in salvo da una guerra mai dichia­rata è un’immagine pla­stica del cini­smo e della cru­deltà che domina le poli­ti­che dell’Unione Euro­pea e tra­duce a livello indi­vi­duale la bru­ta­lità con cui i suoi gover­nanti hanno cer­cato di inter­rom­pere la corsa del governo Tsi­pras per por­tare in salvo il popolo greco da un disa­stro di cui non porta alcuna respon­sa­bi­lità. Un acco­sta­mento non casuale: l’Unione Euro­pea non sarà mai in grado di acco­gliere milioni di pro­fu­ghi fino a che negherà diritti e imporrà solo doveri ai popoli dei suoi stati peri­fe­rici. Quel padre poi si è rial­zato e ha con­ti­nuato la sua corsa, men­tre non sap­piamo ancora se Tsi­pras riu­scirà a fare altrettanto. In entrambi i casi, accanto a cini­smo e cru­deltà, balza evi­dente l’impotenza dell’Europa, che non ha solu­zioni di lungo ter­mine per sot­trarre la Gre­cia e gli altri paesi troppo inde­bi­tati al disa­stro finan­zia­rio, ma anche sociale e ambien­tale, a cui li con­dan­nano le sue poli­ti­che; ma non ha nem­meno idea di come affron­tare lo «tsu­nami» di pro­fu­ghi che la sta inve­stendo e che rischia di por­tarla alla dis­so­lu­zione. Con le sue pro­messe Angela Mer­kel ha cer­cato di resti­tuire dignità all’immagine della Ger­ma­nia, per­met­tendo così a migliaia di cit­ta­dini di dar prova di una soli­da­rietà straordinaria. Ma ha sot­to­va­lu­tato sia le dimen­sioni effet­tive dei flussi che avreb­bero inve­stito il paese, sia le resi­stenze degli altri part­ner euro­pei: la deci­sione sulle «quote» di pro­fu­ghi è stata riman­data sine die; le fron­tiere interne tor­nano a chiu­dersi in barba a Schen­gen, sca­ri­cando tutto il peso su Ita­lia e Gre­cia, che dovreb­bero invece farsi carico fin da subito delle richie­ste di asilo e dei respin­gi­menti. E men­tre il governo unghe­rese imper­versa impu­nito con le bar­riere di filo spi­nato e arre­stando cen­ti­naia di pro­fu­ghi che cer­cano solo di attra­ver­sare il paese, l’Unione approva la «guerra agli sca­fi­sti», che è una guerra vera. Una guerra fatta per respin­gere pro­fu­ghi e migranti nel deserto che hanno dovuto attra­ver­sare, dove sono stati rapi­nati e vio­lati, e da cui cer­che­ranno comun­que di tor­nare a imbar­carsi per altre vie. A que­sta ban­ca­rotta delle poli­ti­che euro­pee – niente aveva finora diviso così pro­fon­da­mente gli Stati mem­bri e anche il nesso tra «crisi dei pro­fu­ghi» e rating dei debiti sovrani non è sfug­gito all’occhio vigile dell’alta finanza — occorre saper con­trap­porre un’alternativa pra­ti­ca­bile. Quei pro­fu­ghi, aumen­te­ranno comun­que, per­ché guerre, dit­ta­ture, mise­ria e fero­cia che sono andati cre­scendo ai con­fini diretti e indi­retti dell’Unione dure­ranno per anni, e si aggra­ve­ranno ogni volta che si cer­cherà di venirne a capo con altre guerre. Ma se la Ger­ma­nia ha forza e mezzi per soste­nerne l’urto e rica­varne dei bene­fici di lungo ter­mine, gli altri paesi dell’Unione no. Manca, per gli Stati più fra­gili, una poli­tica euro­pea di acco­glienza, che vuol dire dare casa lavoro, for­ma­zione, red­dito per milioni di pro­fu­ghi desti­nati a restare sul suolo euro­peo per anni, per­ché l’Unione, con le poli­ti­che di auste­rità da cui non deflette, non è più in grado di offrire quelle stesse cose a decine di milioni di suoi cit­ta­dini che ne sono stati pri­vati dalla crisi, o ne sono privi da ancor prima. E certo non può dare ai nuovi arri­vati ciò che non vuol dare a chi ne è privo da tempo. Ma acco­gliere è indi­spen­sa­bile: quel flusso di pro­fu­ghi non si fer­merà per quanti sforzi si fac­ciano per tra­sfor­mare l’Europa in for­tezza: sia con le armi che con l’ipocrita distin­zione tra pro­fu­ghi (da acco­gliere) e migranti (da respin­gere). Pre­li­mi­nare a ogni poli­tica di acco­glienza è l’istituzione di cor­ri­doi uma­ni­tari che evi­tino ai pro­fu­ghi di rischiare al vita e di con­se­gnare agli sca­fi­sti di mare e di terra migliaia e migliaia di euro cia­scuno. E’ ciò di cui non si vuole mai par­lare. Ma acco­gliere signi­fica poi inse­rire i nuovi arri­vati nella società, e farli accet­tare a una comu­nità ridu­cendo al mas­simo quel senso di un’intrusione che tante forze poli­ti­che ali­men­tano per rica­varne un divi­dendo elet­to­rale. Non è un’operazione solo eco­no­mica, anche se tro­var casa e lavoro ha dei costi molto alti, i cui ritorni, come sanno gli indu­striali tede­schi, sono rile­vanti, arri­vano solo nel tempo. Chi lo può fare? Non certo il «mer­cato», cioè il sistema pro­dut­tivo così com’è oggi, spe­cial­mente al di fuori della Ger­ma­nia. Ma nem­meno gli appa­rati sta­tali, per­ché è un’operazione deli­cata che ha biso­gno, anche, di «calore umano»: un bene che la buro­cra­zia non può elar­gire se non per caso. Affron­tare in modo buro­cra­tico que­sto com­pito è il modo migliore per far cre­scere la con­flit­tua­lità sociale. Meno che mai lo si può lasciare, come si fa in Ita­lia, alla spon­ta­neità di un «pri­vato», sociale e non, reclu­tato a casac­cio, in modo clien­te­lare o mafioso, da pre­fet­ture o ammi­ni­stra­zioni comu­nali, che ha deva­stato imma­gine e repu­ta­zione del terzo set­tore. L’accoglienza, in que­sta acce­zione, è la mis­sione spe­ci­fica e inso­sti­tui­bile dell’economia sociale e soli­dale. Nessun’altra com­po­nente della società euro­pea è in grado di abbi­nare, sulla base di espe­rienze con­so­li­date, inse­ri­mento lavo­ra­tivo e inse­ri­mento sociale con pro­getti mirati. Per que­sto occorre che insieme, e non in ordine sparso, le reti dell’economia sociale e soli­dale (SSE) dei paesi dell’Unione si can­di­dino al ruolo di sog­getto pro­mo­tore e attua­tore di quel pro­gramma plu­rien­nale di acco­glienza che è indi­spen­sa­bile per affron­tare un com­pito di que­sta por­tata. Il 28 gen­naio 2016, su ini­zia­tiva del gruppo par­la­men­tare GUE/Ngl e di molte reti dei paesi dell’Unione, si terrà un Forum euro­peo dell’economia sociale e soli­dale (una riu­nione pre­pa­ra­to­ria si è già tenute il 3 settembre). Sarà un’occasione, pre­pa­ran­dola per tempo, per lan­ciare que­sta can­di­da­tura, che dovrà sostan­ziarsi fin da ora in pro­getti spe­ci­fici, nazio­nali, ter­ri­to­riali e set­to­riali. Ma per farlo occor­rono alcune con­di­zioni preliminari: 1. Biso­gna, soprat­tutto in Ita­lia — ma la dimen­sione euro­pea può aiu­tarci — rico­struire un’immagine decente del terzo set­tore, che oggi è in gran parte mac­chiata dalle vicende di Buzzi, Cara Mineo e Co. Le com­po­nenti sane del terzo set­tore devono denun­ciare senza remore gli epi­sodi di malaf­fare, ma anche di clien­te­li­smo, di cui sono a cono­scenza; a par­tire dai pro­pri, che non man­cano — quasi — mai. Essen­ziale è garan­tire un regime di tra­spa­renza totale su tutte le attività. 2. Occorre met­tere a punto in tempi rapidi i prin­cipi gene­rali e gli stru­menti attua­tivi di un piano euro­peo di acco­glienza e inse­ri­mento sociale e lavo­ra­tivo dei nuovi arrivi con stan­dard con­di­visi da tutti i paesi. 3. Occorre indi­vi­duare i set­tori in cui dovrà ope­rare que­sto piano che, per le sue fina­lità di inte­gra­zione sociale, dovrà riguar­dare in egual misura pro­fu­ghi, migranti e cit­ta­dini euro­pei senza lavoro, senza casa o senza reddito. 4. Quei set­tori sono quelli por­tanti delle con­ver­sione eco­lo­gica che la COP 21 di Parigi dovrebbe met­tere all’ordine del giorno a fine anno: ener­gie rin­no­va­bili ed effi­cienza ener­ge­tica; agri­col­tura eco­lo­gica, soprat­tutto nelle terre oggetto di abban­dono o degrado; sal­va­guar­dia degli assetti idro­geo­lo­gici; recu­pero e ristrut­tu­ra­zione di edi­fici dismessi o non a norma (a par­tire da quelli in cui potranno essere ospi­tati migranti e sen­za­tetto); gestione e recu­pero di scarti e rifiuti; ser­vizi alla per­sona. 4. Il piano dovrà essere accom­pa­gnato da una stima gene­rale dei costi. Che non sono solo quelli degli inve­sti­menti pro­dut­tivi per «met­tere al lavoro» milioni di per­sone, ma anche quelli rela­tivi a tutti gli altri aspetti del loro inse­ri­mento. L’economia sociale e soli­dale non deve più essere un modo, come spesso accade, soprat­tutto in Ita­lia, per rispar­miare sui costi del lavoro. Deve mirare, al con­tra­rio, ad incor­po­ra­rere molti altri oneri di carat­tere sociale. Ovvia­mente non ci si può aspet­tare che l’Unione o qual­che suo Stato mem­bro risponda posi­ti­va­mente a que­sta pro­po­sta domani; ma è impor­tante che essa venga sot­to­po­sta a un pub­blico con­fronto per­ché è l’unica in grado di affron­tare in modo ade­guato i pro­blemi posti dai nuovi flussi di pro­fu­ghi. E l’«opinione pub­blica» oggi è in gran parte con noi.

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