Vincenzo Vinciguerra – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Wed, 05 Apr 2023 08:34:52 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Il presidente del Senato e il terrorista nero https://www.micciacorta.it/2023/04/il-presidente-del-senato-e-il-terrorista-nero/ https://www.micciacorta.it/2023/04/il-presidente-del-senato-e-il-terrorista-nero/#respond Wed, 05 Apr 2023 08:34:52 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26617 Questa è una storia sbagliata che inizia cinquant’anni fa (7 aprile 1973, dopo domai l’anniversario), si consuma in una settimana (12 aprile 1973), riemerge nel gennaio 2007 e arriva sullo scranno più alto del Senato

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Questa è una storia sbagliata che inizia cinquant’anni fa (7 aprile 1973, dopo domai l’anniversario), si consuma in una settimana (12 aprile 1973), riemerge nel gennaio 2007 e arriva sullo scranno più alto del Senato   Questa è una storia sbagliata che inizia cinquant’anni fa (7 aprile 1973, dopo domai l’anniversario), si consuma in una settimana (12 aprile 1973), riemerge nel gennaio 2007 e arriva sullo scranno più alto del Senato. Una storia conosciuta ma da ripassare. Il protagonista si chiama Nico Azzi, iscritto al Msi fin dagli anni Sessanta poi tra i capi fascisti milanesi nella tristemente nota piazza San Babila ed infine approdato sulle sponde de «La Fenice» gruppo legato ad Ordine Nuovo, fondato da Pino Rauti (padre dell’attuale sottosegretaria alla Difesa) e responsabile della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Il 7 aprile 1973 Nico Azzi sale sul treno Torino-Genova-Roma camuffato da militante di sinistra, mostrandosi platealmente ai passeggeri con una copia di «Lotta Continua». Poi entra nel bagno e inizia ad armeggiare con una bomba che intende far esplodere facendo ricadere la responsabilità sui «rossi», rilanciando così la matrice artatamente costruita per la strage di Piazza Fontana e per gli attentati del 12 dicembre 1969 a Roma. L’ordigno invece gli esplode tra le mani e lo ferisce. Il bombarolo viene arrestato e identificato come fascista. Il 12 aprile 1973 il Msi organizza a Milano un corteo non autorizzato con la presenza di Ciccio Franco e i suoi «boia chi molla» di Reggio Calabria. La manifestazione marcia verso la Prefettura, «rea» di aver vietato il raduno, ed è guidata dai «federali» locali: Franco Maria Servello, Franco Petronio e Ignazio Benito La Russa. Finisce con scontri tra polizia e neofascisti culminati con il lancio di bombe a mano (ad opera di Vittorio Loi e Maurizio Murelli) che uccidono l’agente di Ps Antonio Marino. A fornire le bombe Srcm, come ammetterà egli stesso, era stato proprio Nico Azzi. Per le strade degli scontri vengono sparse delle tessere del Pci al fine di accreditare quella che «Il Secolo d’Italia» indicherà come la pista degli infiltrati comunisti nel corteo. I giorni dell’aprile 1973 disegnano così un inquietante parallelo con quelli di Piazza Fontana secondo lo schema che prevedeva la strage di civili (da attribuire all’estrema sinistra) e una successiva manifestazione del Msi con l’obiettivo della proclamazione di misure emergenziali di ordine pubblico per sospendere la Costituzione. Lo stesso schema pensato per il raduno del Msi del 14 dicembre 1969 a Roma (vietato dal ministero dell’Interno su richiesta di Ugo La Malfa) all’indomani dell’eccidio di Milano. Scrive Vincenzo Vinciguerra, ex ordinovista autore reoconfesso della strage di Peteano del 31 maggio 1972: «Il collegamento fra la strage mancata sul treno del 7 aprile e gli incidenti del 12 aprile, lo stabilì con estrema chiarezza proprio Nico Azzi il 26 aprile 1973, quando confessò di essere stato lui a procurare le bombe a mano che poi vennero impiegate in piazza quel tragico giorno. Era la prova di un piano preordinato che includeva due eventi: il massacro sul treno ed i morti sulle strade». Quelli del 1973 sono mesi in cui per la Repubblica i pericoli eversivi provenienti dall’estrema destra (sociale, economica e militare prima ancora che politica) sono denunciati tanto da Aldo Moro: «Se non saremo capaci di tenere saldamente in mano il Paese con gli strumenti della democrazia – affermò subito dopo l’assassinio dell’agente Marino – l’iniziativa passerà nelle mani di chi crede soltanto nella violenza. E la usa», quanto da Pietro Nenni: «Nei prossimi cento giorni si decideranno le sorti del Paese. Se il centro-sinistra fallisse l’alternativa sarebbe la destra e non dalla svolta molle ma dalla svolta dura». Il partito di Almirante (su cui pendeva una richiesta di autorizzazione a procedere per ricostituzione del partito fascista presentata dal Procuratore generale Luigi Bianchi D’Espinosa) cercherà goffamente di dissociarsi dai fatti di Milano sostenendo l’estraneità dei due autori dell’omicidio al partito. Tuttavia, al momento dell’arresto, Murelli ha in tasca la tessera del Msi mentre Loi ha già militato per anni nella Giovane Italia. I due sono condannati a 18 e 19 anni di carcere. La Camera dei deputati nega l’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari Servello e Petronio (poi clamorosamente assolti nel 1978 dal Tribunale di Milano) consentendo, di fatto, al Msi di evitare una messa in stato d’accusa per ricostituzione del partito fascista. Il segretario provinciale del Fronte della Gioventù Ignazio La Russa, pur indicato come uno dei responsabili della piazza, se la cava senza danni diversamente da suo fratello Romano (oggi assessore alla sicurezza della Regione Lombardia) arrestato insieme ad Alberto Stabilini. Nel settembre 2022 al funerale di Stabilini proprio Romano La Russa è immortalato nel «saluto romano» al vecchio camerata. Nico Azzi venne condannato a due anni di carcere. Morì il 10 gennaio 2007. A rendere omaggio alle sue esequie (tra braccia tese e grida di «presente!») giunse Ignazio La Russa: ex dirigente dell’epoca e, cinquant’anni dopo, Presidente del Senato. Uno «sgrammaticato istituzionale» dice Giorgia Meloni per le menzognere dichiarazioni fatte in difesa della premier su Via Rasella. * Fonte/autore: Davide Conti, il manifesto   ph by GennaroCri, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

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Ombre nere del Novecento. Le trame e la fine di Guérin-Serac https://www.micciacorta.it/2022/08/ombre-nere-del-novecento-le-trame-e-la-fine-di-guerin-serac/ https://www.micciacorta.it/2022/08/ombre-nere-del-novecento-le-trame-e-la-fine-di-guerin-serac/#respond Sat, 20 Aug 2022 06:31:12 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26558 Sulle tracce di un uomo senza volto e senza storia, protagonista della destra internazionale: Yves Guillou da Ploubezre, che ha trascorso una vita al servizio del potere, facendo assassinare innocenti e cercando di riportare indietro le lancette della storia

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Sulle tracce di un uomo senza volto e senza storia, protagonista della destra internazionale   Il 9 marzo scorso, in Francia, è morto un uomo che per tutta la vita ha cercato di non farsi trovare. Aveva 95 anni, era nato a Ploubezre, in Bretagna, e il suo nome era Yves Guillou. Nel ricovero per anziani di Le Revest-les-Eaux, il villaggio alle porte di Tolone dove ha trascorso gli ultimi cinque anni della sua esistenza, tutti lo ricordano come un signore sorridente e pacifico, la cui indole taciturna era certo da attribuirsi al morbo di Alzheimer di cui soffriva da tempo. Nessuno, a Le Revest-les-Eaux, poteva immaginare che quel vecchino dai modi gentili, con i capelli argentati e lo sguardo un po’ vacuo, avesse qualcosa di terribilmente inquietante da nascondere. Portogallo Era il 22 maggio 1974 quando un plotone di fucilieri di marina al comando del tenente Matos Moniz fece irruzione al civico 13 di Rua das Praças, nel centro di Lisbona. In Portogallo era scoppiata la rivoluzione dei Garofani, e il Movimento das Forças Armadas stava dando la caccia a tutti i collaboratori del vecchio regime neofascista. Al 13 di Rua das Praças – secondo alcune segnalazioni – aveva sede una finta agenzia stampa che agiva sotto copertura per contro della Pide, la polizia politica di Salazar, e dunque bisognava andare a darci un’occhiata. Il nome dell’organizzazione era «Aginter Press» e i suoi uffici consistevano in quattro stanzoni stracolmi di carte e schedari. Al tenente Matos Moniz bastarono pochi attimi per intuire che ad «Aginter Press» ci si occupava di tutto tranne che di giornalismo: c’erano macchinari per la fabbricazione di documenti falsi e microfilm, manuali di controguerriglia, lunghi schedari con nomi di militanti di estrema destra, appunti sulla guerra psicologica, sulla sovversione e sui colpi di Stato. Uno dei faldoni conteneva un breve foglio dattiloscritto, «La nostra azione politica». Il testo, in francese, recitava così: «Noi pensiamo che la prima parte della nostra azione politica debba essere quella di favorire l’installazione del caos in tutte le strutture del regime. Questo porterà a una situazione di forte tensione politica, di paura nel mondo industriale, di antipatia verso il governo e verso tutti i partiti. In questa prospettiva deve essere pronto un organismo efficace capace di riunire attorno a sé gli scontenti di ogni classe sociale: una vasta massa per fare la nostra rivoluzione». I militari portoghesi non potevano saperlo, ma il nome di quella strana agenzia era già comparso cinque anni prima in un appunto redatto dai servizi segreti italiani all’indomani della strage di piazza Fontana, il 17 dicembre 1969: «La mente organizzatrice [degli attentati] – vi si leggeva – sarebbe tale M. Guérin-Sérac, cittadino tedesco, il quale risiede a Lisbona ove dirige l’Agenzia Ager Interpress». Il vero nome di Guérin-Sérac – che aveva cittadinanza francese e non tedesca, essendo nato a Ploubezre, in Bretagna, nel 1926 – era Yves Guillou. Banca dell’Agricoltura Cosa fosse esattamente «Aginter Press» probabilmente non lo scopriremo mai. Grazie alle ricerche dei giudice Guido Salvini, che negli anni Novanta condusse l’ultima inchiesta sull’eccidio della Banca Nazionale dell’Agricoltura, sappiamo che la finta agenzia stampa di Rua das Praças fu fondata nel settembre 1966 da Yves Guillou e dal suo braccio destro Robert Leroy, un ex membro della Legione Wallonien delle Waffen SS. Guillou aveva all’epoca quarant’anni e si proclamava un paladino dell’anticomunismo più intransigente. Giovane ufficiale dell’undicesimo Régiment parachutiste de choc, aveva combattuto in Corea, Indocina e Algeria. Nel 1962 aveva aderito all’Oas, l’organizzazione terroristico-militare che si opponeva alla decolonizzazione del Nordafrica francese. Poi, dopo la vittoria del Fln, aveva trovato rifugio nel Portogallo di Salazar «per continuare la lotta ed estenderla alla sua vera dimensione, che è quella del pianeta», come avrebbe specificato in uno dei suoi rari interventi pubblici. I mezzi, ovviamente, non sarebbero stati quelli di Gandhi. In Italia A cominciare dalla metà degli anni Sessanta, Guillou e Leroy iniziarono a stringere legami operativi con i maggiori gruppi eversivi del neofascismo mondiale. In Italia i principali contatti furono con Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale, i cui militanti venivano invitati in Portogallo per addestrarsi all’uso delle armi e degli esplosivi. È certo che tra il 30 gennaio e l’1 febbraio del 1968 Yves Guillou ebbe un lungo incontro con Pino Rauti, mentre i rapporti con Stefano Delle Chiaie si sarebbero prolungati per buona parte degli anni Settanta. Così, nel giro di poco tempo, «Aginter Press» divenne la centrale operativa della cosiddetta «Internazionale nera», le cui spire si estendevano dall’Europa occidentale al Sudafrica dell’Apartheid. Africa Nel Terzo Mondo gli uomini di Aginter si misero al servizio dei movimenti anti-decolonizzazione, organizzando attentati e operazioni di controguerriglia in Algeria, Repubblica del Congo, Tanzania, Angola e Costarica. Sarebbero stati loro – secondo gli inquirenti italiani – ad assassinare nel 1969 il leader del Fronte di Liberazione del Mozambico Eduardo Mondlane, «reo» di essersi ribellato alle autorità portoghesi. Ma la vera specialità dei «lisbonesi» era soprattutto l’infiltrazione: sul finire degli anni Sessanta, dopo essersi spacciato per un reporter maoista, l’ex Waffen SS Robert Leroy riuscirà a intrufolarsi in diversi gruppi dell’estrema sinistra italiana, spingendoli su posizioni eversive e offrendo loro armi e tritolo. «A nostro avviso – si legge ancora nel documento La nostra azione politica -, la prima azione che dobbiamo lanciare è la distruzione delle strutture dello Stato sotto la copertura dell’azione dei comunisti e dei filocinesi. Ciò creerà un sentimento di antipatia verso coloro che minacciano la pace di ciascuno e della nazione». È lo schema-base di quella che sarà chiamata la strategia della tensione: organizzare attentati, farne cadere la responsabilità sui gruppi di sinistra e innescare così la reazione repressiva dello Stato. Di lì a poco ci sarà la strage fascista del 12 dicembre – e il capro espiatorio, non a caso, saranno gli anarchici. Ha dichiarato alcuni anni fa l’ex terrorista nero Vincenzo Vinciguerra, già militante di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, e autore, nel 1972, dell’attentato di Peteano: «Gli agenti di Guillou parteciparono direttamente ai fatti italiani, compresa l’operazione di piazza Fontana». Vinciguerra e Guillou si sono conosciuti a Madrid nel 1974. Erano entrambi latitanti: il primo fuggiva da un mandato di cattura della magistratura italiana, il secondo aveva dovuto abbandonare precipitosamente Lisbona dopo il trionfo della rivoluzione dei Garofani. «Ideologicamente, Guillou era un fondamentalista cattolico – racconterà Vinciguerra -. Era un uomo molto pericoloso, molto affascinante e molto intelligente. Alle sue spalle c’erano senza dubbio i servizi segreti americani: l’obiettivo era sconfiggere i movimenti operai e stabilizzare l’Europa in senso anticomunista». Volantini Quale sia stato l’esatto ruolo di «Aginter Press» nella strage della Banca Nazionale dell’Agricoltura non è dato a sapersi. Di certo, oltre a quella celebre velina del 17 dicembre, c’è il fatto che vicino al luogo dell’eccidio furono rinvenuti alcuni finti volantini ornati di bandiere rosse, con la scritta: «Autunno 1969, l’inizio di una lotta prolungata». Spiegherà l’allora sostituto procuratore Ugo Paolillo, che fu il primo magistrato a indagare sulla strage: «Accertammo che la carta veniva dalla Svizzera e che i manifesti erano ricollegabili all’Oas». E poi: «Era una firma che riconduceva a Guérin-Sérac, il responsabile militare dell’Aginter Press. Proprio di Sérac mi parlò una persona, forse collegata ai servizi segreti, che chiese di vedermi a poche ore dalla strage. Non fidandomi registrai il colloquio. Purtroppo quel nastro è andato perduto». Nella primavera del 1974, mentre gli uomini del comandante Matos Moniz facevano irruzione a Rua das Praças, i reduci di «Aginter Press» avevano già trovato rifugio nella Spagna franchista. Da lì, grazie anche al supporto di Vinciguerra e di altri «fuoriusciti» italiani, organizzarono numerose operazioni di «controguerriglia» in Portogallo e nelle isole Azzorre, nel vano tentativo di rovesciare il nuovo governo antifascista. L’impresa più clamorosa risale però all’estate del 1975, quando Guillou e i suoi luogotenenti idearono una serie di attentati dinamitardi contro le sedi delle ambasciate algerine di Roma, Bonn, Parigi e Londra. Le azioni furono tutte rivendicate da un’organizzazione inesistente, i «Soldats de l’Opposition Algérienne», ma la cosa che più spiccò all’occhio fu che per confezionare l’ordigno deposto in Germania erano state utilizzate nove cartucce di esplosivo militare C4, prodotto negli Stati Uniti e in dotazione alle forze Nato. Cile Fino agli anni Novanta l’unica immagine nota di Yves Guillou era una vecchia istantanea in bianco e nero, peraltro ripresa di spalle. Il «grande vecchio» della strategia della tensione era un uomo senza volto e senza storia. Nessuno sapeva che fine avesse fatto: dopo la morte di Francisco Franco, nel novembre del 1975, si era probabilmente trasferito nel Cile di Pinochet, ponendosi al servizio di nuovi assassini e nuovi macellai. Dopodiché, era letteralmente scomparso nel nulla. Tra il 1999 e il 2010, nell’ambito delle indagini sulla strage di piazza della Loggia, la procura di Brescia produrrà sul suo conto due distinte rogatorie indirizzate alle autorità francesi e spagnole. Per tutta risposta, oltre a una recente fotografia in formato tessera dell’ormai anziano ex militare, i magistrati lombardi riceveranno un lungo elenco di presunti indirizzi di residenza sparsi tra le isole Canarie, Madrid, Siviglia e la Costa Azzurra – tutti immancabilmente deserti. «Se ne conclude – chiosa l’ultima relazione del Fiscalía Provincial di Madrid – che Yves Guillou si trova in luogo sconosciuto». Com’è possibile che le istituzioni di due paesi europei, dietro precisa richiesta della magistratura italiana, non siano state in grado di individuare un cittadino residente sul proprio territorio è un’altra questione che resterà probabilmente insoluta. Ciò che sappiamo con certezza è che il 12 marzo scorso, su un sito internet francese, è comparso il seguente annuncio: «Siamo addolorati di informarvi della morte di Monsieur Yves Guillou, avvenuta a Le Revest-les-Eaux all’età di 95 anni». È da qui che siamo partiti. Per raggiungere Le Revest-les-Eaux bisogna inerpicarsi lungo una strada tortuosa fatta di infiniti tornanti. Il villaggio sorge arroccato sul cucuzzolo di una collina, ai piedi di un’antica torre saracena del XIII secolo. Gli abitanti sono poco più di tremila, per la maggior parte molto anziani e molto benestanti. È in questo angolo di paradiso che il fondatore di «Aginter Press» si è spento con serenità in un tiepido giorno di fine inverno. Non è stato difficile, presentandosi agli impiegati comunali come vecchi amici di famiglia, scoprire che Yves Guillou ha avuto come ultima residenza la locale maison de retraite, una piccola casa di riposo dalla facciata bianca e piena di vetrate. Era malato di Alzheimer – ci hanno detto – e perciò parlava molto poco. «Il povero signor Yves è arrivato qui nel 2017 – racconta in un inglese strascicato la direttrice dell’istituto -. Di rapporti con la famiglia non ne aveva ormai da anni. Però gli restavano molti amici, ed era gente che gli doveva essere parecchio affezionata. Venivano a trovarlo praticamente ogni giorno, nonostante il fatto che avere un dialogo con lui fosse quasi impossibile. Era un tipo proprio speciale, il nostro signor Yves». Quanto il «signor Yves» fosse effettivamente «speciale» la direttrice della maison de retraite non può nemmeno figurarselo. I misteriosi amici che venivano a chiacchierarci con tanta assiduità in barba all’Alzheimer, invece, è probabile che ne sapessero qualcosa in più. Dopo qualche insistenza, sempre giocando la carta dei vecchi legami famigliari, siamo riusciti a ottenere il contatto di uno di loro. Lo chiameremo Monsieur B., ha circa 65 anni e fa l’imprenditore in una cittadina della Côte d’Azur. La storia che ci ha raccontato è la seguente: lui e Yves Guillou si sono conosciuti circa un decennio fa a Villefranche-sur-Mer, una tranquilla stazione balneare alle porte di Nizza. All’epoca l’ex ufficiale divideva un appartamento con la propria compagna e Monsieur B. era suo vicino di casa. Nel 2016 la fiancée di Guillou morì all’improvviso e i figli di lei, che evidentemente non lo avevano mai avuto in simpatia, sbatterono il vecchio militare in mezzo a una strada. Così Monsieur B. accompagnò il suo anziano vicino a Le Revest-les-Eaux e lo aiutò a sistemarsi nella piccola casa di riposo in cima alla collina. «Lo andava a trovare spesso?», gli abbiamo chiesto. «Certo, tutte le settimane». «E si è mai fatto raccontare la storia della sua vita?» «Oh no, di quello il signor Guillou non parlava proprio mai – si è affrettato a rispondere Monsieur B. -. So che è stato militare in Corea e Algeria, e credo che abbia anche avuto dei problemi legali con le autorità francesi. Ma di cosa abbia fatto in seguito, diciamo tra il 1960 e il 2010, non ne ho la benché minima idea. È probabile che a Villefranche-sur-Mer fosse conservato qualche documento a riguardo, ma quando hanno sgomberato l’appartamento i figli della signora hanno gettato tutto nell’immondizia. Sapete: è gente che fa uso di droga…». Non farsi trovare, in un mondo interconnesso come quello in cui viviamo, è qualcosa di assai complicato. O forse basta avere gli amici giusti, specie se il tuo silenzio fa ormai più comodo agli altri che a te. Yves Guillou da Ploubezre, che ha trascorso una vita al servizio del potere, facendo assassinare innocenti e cercando di riportare indietro le lancette della storia, alla fine è riuscito nel suo intento. Oggi lo abbiamo trovato, ma quello che avrebbe potuto dire non lo dirà mai più.   * Fonte/autore: Andrea Sceresini, il manifesto   ph by Par Gilbert Dréan — Travail personnel, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=120080403

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Dal Portogallo alla Spagna. Le maglie insanguinate dell’Internazionale nera https://www.micciacorta.it/2017/07/23486/ https://www.micciacorta.it/2017/07/23486/#respond Tue, 04 Jul 2017 07:47:29 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23486 Saggi. Un volume di Andrea Sceresini per Chiarelettere sulle attività neofasciste. Il Portogallo e la Spagna fascisti come retroterra

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E un forte rapporto con i servizi di intelligence Usa. Indagini della magistratura italiana hanno stabilito il suo coinvolgimento nelle stragi degli anni Settanta Quando il 23 maggio 1974, nel corso della cosiddetta «Rivoluzione dei garofani» che mise fine alla dittatura in Portogallo, un reparto di fucilieri di Marina appartenenti al nuovo Governo fece irruzione al numero 13 di rua das Pracas a Lisbona, presso gli uffici dell’Aginter Presse, si scoprì un enorme archivio con documenti e microfilm riguardanti ogni paese del mondo. Un’officina per la fornitura di falsi documenti con visti e timbri dei principali Paesi europei, un centro di reclutamento e addestramento di mercenari, nonché i nomi dei referenti di un’organizzazione fascista internazionale denominata «Ordre et Tradition» e del suo braccio militare Oaci («Organization d’action contre le communisme international»). Si erano messe le mani sulla più importante centrale internazionale eversiva allora esistente, nascosta dietro una finta agenzia di stampa, finanziata, come si scoprirà, dal precedente governo portoghese, ma anche da ambienti dell’estrema destra francesi, belgi, sudafricani e sudamericani, oltre che da alcuni servizi segreti occidentali quali la Cia, la Dgs spagnola e il Kyp Greco. Questa vicenda è stata ora ricostruita da Andrea Sceresini in un agile lavoro giornalistico dal titolo Internazionale Nera. La vera storia della più misteriosa organizzazione terroristica europea (Chiarelettere, pp. 173, euro 15). TORNANDO AL 1974, nell’ottobre di quello stesso anno, in Portogallo, la Commissione per lo smantellamento della Pide (il servizio segreto salazarista) permise agli inviati del settimanale «L’Europeo», Corrado Incerti, Sandro Ottolenghi e Piero Raffaelli, di visionare gli incartamenti ritrovati. Il tempo di fotografare non più di 500 documenti, poi utilizzati per alcuni servizi giornalistici. L’Aginter Presse prese corpo a Lisbona nel 1966 grazie all’iniziativa di un gruppo di reduci dell’Oas (l’Organisation de l’armée secrète, la formazione terroristica nata per contrastare l’indipendenza algerina). Qui, già sul finire del 1962, si era trasferito l’ex capitano dell’esercito francese Yves Guillou, che assumerà lo pseudonimo di Ralf Guérin Sérac. Per le sue competenze e la sua esperienza di ufficiale dei commandos e dei servizi di sicurezza, fu inizialmente ingaggiato come istruttore dalla «Legione portoghese», l’organizzazione paramilitare del regime, quindi dalle unità antiguerriglia dell’esercito. Guérin Sérac venne presto raggiunto a Lisbona da altri reduci dell’Oas, oltre che da ex combattenti dell’Angola e dell’Indocina. Secondo il rapporto finale della commissione d’inchiesta portoghese, furono i ministeri della difesa e degli esteri a finanziare sistematicamente l’Aginter Presse. IL PORTOGALLO, posto alla periferia dell’Europa, retto da una feroce dittatura fascista, con soli nove milioni di abitanti e privo di un esercito numeroso, abbisognava per la sua guerra in Africa ai movimenti di liberazione, in difesa dei suoi possedimenti coloniali, di personale militare specializzato e di mercenari, oltre che di strutture non ufficiali cui affidare operazioni «sporche», come l’infiltrazione, l’insediamento di informatori e di provocatori, oltre che la liquidazione dei dirigenti dei movimenti di liberazione. Va detto che il nome dell’Aginter Presse era già emerso nel corso delle indagini sulla strage del 12 dicembre 1969 a Milano. Solo poche ore dopo il tragico evento, infatti, il Sid (il servizio segreto militare) indicava in Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino i responsabili degli attentati commessi nella stessa giornata a Roma, su ordine di Guérin Sérac e Robert Leroy dell’Aginter Presse. Nella stessa nota si faceva anche esplicito riferimento all’infiltrazione nelle file anarchiche, in specifico nel circolo «22 marzo», di esponenti di Avanguardia nazionale con il proposito di addebitare al movimento libertario la colpa delle azioni terroristiche. IL GIUDICE ISTRUTTORE Guido Salvini, nell’ambito delle ultime indagini sulla strage di piazza Fontana, cercò a sua volta di ricostruire le gesta dell’Aginter Presse. «Aappare assai probabile – scrisse nelle sue conclusioni – che l’Aginter Presse sia intervenuta in Italia, sul piano dell’ispirazione e in parte del piano operativo, nella strategia delle stragi e dei più gravi attentati» fornendo «a partire dalla fine degli anni Sessanta, un protocollo di intervento, valido anche per gli altri Paesi europei, alle organizzazioni dei singoli Paesi, fra cui l’Italia, in termini di tecniche di infiltrazione e addestramento all’uso degli esplosivi, ispirando probabilmente anche singoli attentati o campagne terroristiche». «Ordine nuovo è la struttura prevalentemente responsabile, in termini di esecuzione materiale, degli attentati del 12 dicembre 1969», attuando in seguito anche «tramite Gianfranco Bertoli la strage alla Questura di Milano del 17 maggio 1973» e «molto probabilmente la strage di piazza della Loggia a Brescia Avanguardia nazionale è probabilmente responsabile degli attentati “minori” del 12 dicembre 1969». Queste ulteriori conclusioni, contenute nella seconda ordinanza di rinvio a giudizio del giudice Guido Salvini, hanno trovato più di una conferma, non solo in sede storica, ma anche in successive diverse sentenze processuali. CON LA CADUTA del regime dittatoriale in Portogallo, nell’aprile 1974, l’Aginter Presse fuggì precipitosamente da Lisbona, trasferendosi a Madrid sotto la protezione dei servizi segreti spagnoli. Nella capitale spagnola aveva intanto trovato da tempo rifugio un nutrito gruppo di latitanti di «Ordine nuovo» e «Avanguardia nazionale». Particolarmente eclatante fu, in Spagna, l’azione condotta il 9 maggio 1976, quando pochi mesi dopo la scomparsa di Francisco Franco, a Montejurra, in Navarra, Stefano Delle Chiaie, Augusto Cauchi, Piero Carmassi, Mario Ricci, Giuseppe Calzona e Carlo Cicuttini, insieme ai «Guerriglieri di Cristo Re» e altri neofascisti argentini, francesi e portoghesi, parteciparono armati, all’assassinio a colpi di pistola di due giovani democratici, ferendone numerosi altri, nel corso di una manifestazione organizzata dal movimento carlista, dislocatosi sotto la guida di Carlos Hugo su posizioni antifranchiste. L’Aginter Presse fu molto di più di un’organizzazione fascista internazionale. Fu, infatti, in grado di esercitare azioni terroristiche e di sabotaggio, di impiantare vere e proprie operazioni di guerra grazie a strutture militari coperte, di condurre missioni finalizzate all’infiltrazione e alla guerra psicologica, di colpire obiettivi umani e militari. Rappresentò in buona sostanza una sorta di sub-agenzia collegata ai servizi segreti occidentali e da questi utilizzata per operazioni all’estero «coperte». Ciò accadde in Africa, Sudamerica ed Europa. INDISCUTIBILI furono i suoi rapporti con la Cia. Alcuni dei suoi stessi uomini, come Robert Leroy e Jay Simon Salby, d’altro canto già provenivano da esperienze di collaborazione con la Nato o addirittura, come nel caso di Salby, avevano partecipato al soldo degli americani al fallito sbarco a Cuba, alla Baia dei porci. In questa sua veste l’Aginter Presse operò anche sul piano politico, svolgendo un’azione di coordinamento e di raccordo delle diverse realtà neofasciste e anticomuniste su scala internazionale, quasi una funzione di cerniera. Diversi i meriti del lavoro di Andrea Sceresini. Non solo quello di aver ricostruito il contesto storico e politico, collocandovi vicende assai poco conosciute come l’operazione «Blue Moon», il progetto di diffusione delle droghe nei movimenti giovanili occidentali, ma anche di aver rintracciato alcuni dei protagonisti, riuscendo a strappare, come nel caso di Jean-Marie Laurent, a suo tempo numero due dell’Aginter Presse, soprannominato «Lafitte», un’intervista tutt’altro che scontata. Un appunto: il non aver indicato le fonti storiche e giudiziarie utilizzate (un limite) e l’aver dato eccessivo credito alle parole di Vincenzo Vinciguerra, ex ordinovista, responsabile della strage di Petano del 31 maggio 1972. FONTE: Saverio Ferrari, IL MANIFESTO

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