Ya basta! – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Thu, 03 Jan 2019 08:56:36 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Messico. 25 anni da quando il mondo imparò a dire «Ya basta» https://www.micciacorta.it/2019/01/messico-25-anni-da-quando-il-mondo-imparo-a-dire-ya-basta/ https://www.micciacorta.it/2019/01/messico-25-anni-da-quando-il-mondo-imparo-a-dire-ya-basta/#respond Thu, 03 Jan 2019 08:56:18 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25106 Il  primo gennaio la rivoluzione politica e sociale degli zapatisti ha compiuto 25 anni. Così il Chiapas ha rivendicato spazio per gli indigeni. E ora lo fa contro Amlo

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Venticinque anni sono passati da quel primo gennaio del 1994 in cui le comunità indigene del Chiapas, organizzate nell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, fecero la loro irruzione nel panorama messicano e mondiale, esprimendo il loro «Ya basta!» e dando avvio alla loro avventura ribelle di giustizia e libertà. Quella rivolta indigena contro l’espressione allora più «moderna» dell’offensiva neoliberista, il Nafta (il Trattato di Libero Commercio del Nordamerica), era – come ricorda su La Jornada lo scrittore e poeta messicano Hermann Bellinghausen – «la prima mobilitazione contro la dittatura dei mercati» e avrebbe «fecondato le imminenti resistenze globali contro il monopolio del potere economico mondializzato». Ed era «il primo movimento sociale ad avere a disposizione le armi della rete e delle sue reti, e ad approfittarne ampiamente». Anche i suoi contenuti apparivano inediti, caratterizzati dalla sostituzione del tradizionale obiettivo di ogni movimento rivoluzionario, la presa del potere, con quello della presa di uno spazio – uno spazio di vita degna, di riconoscimento, di autonomia -, negato da sempre ai popoli indigeni. Con la conseguente affermazione di modi diversi di fare politica, estranei all’occupazione delle istituzioni dello Stato e centrati, al contrario, sulla creazione dal basso di processi decisionali collettivi secondo il principio del «comandare obbedendo». Guidato dal suo calendario politico e da una concezione dell’autonomia come orizzonte strategico e pratica quotidiana, l’esercito zapatista è riuscito a creare e a consolidare, lontano dai riflettori, le sue originali forme di autogoverno, esercitando la giustizia, attivando sistemi di salute e di educazione ai margini del governo statale e federale, organizzando la produzione e tessendo reti di solidarietà in tutto il mondo. A partire da quel primo gennaio 1994, tra annunci interessati di morte dell’esperienza rivoluzionaria e successive, puntuali, «resurrezioni», l’Ezln non ha mai abbandonato la scena nazionale, dalla prima Dichiarazione della Selva Lacandona fino alla presentazione di Marichuy, in qualità di portavoce del Consiglio indigeno di governo, come candidata indipendente alle presidenziali 2018. Non certo per competere con i politici professionisti, ma per portare, come avrebbero chiarito i subcomandanti Moisés e Galeano, «un messaggio di lotta e organizzazione alla gente povera dei campi e delle città del Messico e del mondo». Molto ci sarebbe stato da festeggiare alla commemorazione di questo 25esimo anniversario, svoltasi nel municipio autonomo de San Pedro Michoacán, dove sono accorsi zapatisti da tutti e cinque i caracoles del movimento (le strutture organizzative create nel 2003 e rette dalle Giunte di buon governo). Eppure il discorso del subcomandante Moisés è stato tutt’altro che trionfalista: «Siamo soli – ha detto – come 25 anni fa. Eravamo soli quando ci siamo sollevati per risvegliare il popolo messicano e lo siamo oggi. Ma siamo riusciti comunque a portare la nostra voce ai poveri del Messico, dei campi e delle città». Ma, soprattutto, Moisés ha ribadito, al di sopra di ogni dubbio, la posizione zapatista nei confronti del governo di Andrés Manuel López Obrador, rispetto al quale l’Ezln aveva già pronunciato parole di fuoco: «Potranno cambiare i capataz, i servitori e i capisquadra, ma il proprietario continuerà a essere lo stesso». L’1 gennaio Moisés è andato oltre, accusando il presidente di mentire e ingannare le comunità indigene, manipolando i messicani con le sue false consulte e chiedendo «il permesso alla terra per costruire il suo Tren Maya», quando in realtà «ciò che vuole è il permesso di distruggere, con le sue grandi opere, i popoli originari». E lo fa, per di più, chiamando «Maya» quel progetto di linea ferroviaria, come se potesse avere a che fare con i maya un’opera destinata a collegare le principali aree turistiche della Penisola dello Yucatán a tutto vantaggio del capitale finanziario, del settore immobiliare e di quello turistico e in perfetta continuità con la strategia neoliberista di controllo territoriale dei governi precedenti. * Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO photo: Adam Jones di Kelowna, BC, Canada [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], via Wikimedia Commons

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