Di seguito, il ricordo di Luciana Castellina tratto dallo speciale “Essenzialmente Pintor“. Cento anni di Luigi: partigiano, comunista, scrittore e soprattutto giornalista. Asciutto, rigoroso e sarcastico, ha immaginato il manifesto prima di fondarlo, dirigerlo e lasciargli per sempre la sua impronta.
In realtà io Luigi l’ho conosciuto due volte, in tempi diversi per l’età che avevamo, e soprattutto per via del contesto in cui l’incontro è avvenuto. Ma, non so come, una sottesa intimità queste due separate esperienze devono averla lasciata se poi per sempre, anche quando c’è stato qualche bisticcio politico, io ho avvertito un legame particolare, come quello che rende sempre un po’ complici i fratelli – con i quali i rapporti si differenziano infatti sempre da quelli che si hanno con gli estranei.
La prima volta facevo la terza media e lui era al terzo liceo, due edifici adiacenti del Tasso a Roma. L’ho intravisto solo da lontano, abbastanza bene comunque per capire subito, l’anno seguente, nonostante le precauzioni imposte dall’occupazione nazista, chi erano i due giovani che, conseguita la maturità, avevano lasciato la scuola e però vi erano tornati una mattina del gennaio 1944 per un’operazione sbalorditiva, accolti con affetto dal nostro portiere Paolo che li aveva visti crescere. Non sospettò nemmeno un momento che, saliti al primo piano dallo scalone, si sarebbero infilati senza nemmeno bussare nella stanza del preside, un professore fiero di avere i figli di Mussolini fra i suoi allievi. Tirarono fuori dalla tasca le pistole e ammonirono il prof. Amante che, se avesse denunciato gli studenti che si apprestavano a fare una manifestazione contro l’occupazione tedesca organizzata dal loro amico e compagno nei Gap romani Massimo Gizzio poi ucciso dai nazisti, sarebbero tornati per utilizzarle.
Tale fu lo spavento del preside che restò ammutolito e i due gappisti poterono andarsene via senza che lui lanciasse l’allarme, al portone nuovamente e affettuosamente salutati dal portiere Pietro. I due studenti erano Luigi Pintor e Alfredo Reichlin e quella era una delle prime azioni che i Gruppi partigiani gli avevano affidato (in seguito molto più pericolose, tant’è vero che Luigi, arrestato e condannato a morte nella tremenda pensione Jaccarino, sfuggì alla fucilazione solo per un pelo).
Alla Liberazione li conobbi meglio e, anzi, con Reichlin mi sposai addirittura. Tutti e due erano diventati redattori dell’Unità e così per molti anni la nostra frequentazione fu totale. Arricchita anche da Marina, la moglie di Luigi, che proprio durante la Resistenza di cui anche lei era stata parte attiva l’aveva incontrato. Il mio comunismo, scoperto dopo la Liberazione proprio nelle aule del Tasso, è cresciuto in questo contesto, tutti impegnati fino in fondo in una causa che non pativa né dubbi né ombre (solo un po’ di diffidenza da parte mia verso quelli approdati all’Unità perché loro erano, e frequentavano, gli intellettuali. «La Marina del partito», li chiamavamo. Io, che militavo nella assai plebeista Federazione romana, e, in particolare, nella borgata di Primavalle, facevo invece fieramente parte della fanteria).
Nel suo più bel libro “Il midollo del leone”, ricercando nelle immagini ingiallite delle vecchie foto di scuola il volto dei suoi compagni, Alfredo ha ricordato «soprattutto quello di Luigi, il mio compagno di banco e fratello di Giaime, insieme al quale scoprivo i libri, facevo i grandi pensieri, e poi combattei fianco a fianco tra i partigiani ; poi, ancora, ci ritrovammo nella redazione dell’Unità.
Era un ragazzo davvero straordinario. I Pintor venivano da Cagliari e l’arrivo di Luigi spalancò i nostri orizzonti, li portò in luoghi che per i ragazzi di allora erano sconosciuti e inesplorati. Nella sua casa a via Nizza passava suo fratello Giaime, era ufficiale ma anche redattore della casa editrice Einaudi, traduceva Rilke e dalla Francia occupata gli arrivavano le poesie di Eluard e i dischi di Stravinsky. A me regalò un libretto di un certo Lénin e intitolato Le gauchisme, maladie enfantine du communisme. E cita uno scritto di Italo Calvino che dice: «L’esempio di Pintor ci testimonia che esiste un midollo del leone, un nutrimento per una morale rigorosa, per una padronanza della storia. Di questo midollo c’è oggi un gran bisogno». Credo che questo stile che Giaime ci ha trasmesso sia uno dei regali più importanti che Luigi ci ha portato nel manifesto. Poi. Poi sono successe tante cose, private e politiche.
Col tempo la nostra quotidianità si interruppe e ci vedemmo poco anche nei conflittuali anni Sessanta, quando maturò la cosiddetta area ingraiana nel Pci. Ci ritrovammo però tutti assieme fra le vittime dell’epurazione dalle Botteghe oscure operata dopo lo storico XI congresso. Luigi fu spedito in Sardegna, Alfredo in Puglia. Io all’Udi (Unione donne italiane).
Fu però nella sua casa nella periferica zona di Cagliari, che riprendemmo un’amicizia seria. Quel posto divenne meta costante, vacanziera e politica. Ma i due aspetti ormai coincidevano, visto che l’epurazione ci aveva esentato dai comizi e dai convegni del weekend. E così furono proprio le vacanze – che in Sardegna sono fantastiche – i nostri tempi politici più intensi, impegnati a delineare – fra una nuotata e l’altra – il nostro Che fare? Ma il momento più importante di questa seconda conoscenza con Luigi resta per me emotivamente saldato nella memoria da un pomeriggio, all’inizio del 1969, in cui ci ritrovammo in tre – Luigi, Lucio Magri e io – a sedere su un muretto di via San Valentino a Roma, dove io abito da sempre e dove allora abitava anche Rossana.
Aspettavamo che rincasasse per una riunione. Nell’attesa cominciammo a giocare con la fantasia attorno al nome della rivista che stavamo programmando. Non ricordo chi fu di noi che lo propose, so che quando sortì ci piacque subito a tutti e tre. E, sebbene temessimo sempre il suo giudizio, piacque anche a Rossana. E così fu battezzata la nostra fantastica impresa: rivista, giornale, organizzazione politica per tutti fino al 1978 , ma dal 1974 con il nome Pdup per via dell’unificazione col partito di Vittorio Foa.
In compenso noi salvammo da qualsiasi mutamento il nome del giornale che pure diventava comune e infatti venne eletta una pletorica direzione che aggiunse a noi Foa e Ferraris. Poi, la triste rottura al congresso di Viareggio, 1978, seguita, alla vigilia delle elezioni del 1979, da una sconcertante pagina sul giornale di indicazioni di voto con quattro simboli: Pci, Psi, Nuova Sinistra, Pdup (mi ritrovai così anche io esclusa dalla cooperativa, per amarezza non sono mai più andata a riprendere le carte dalla mia scrivania).
Mi rendo conto che non posso trasformare in ricordi personali una memoria collettiva come questo inserto del giornale si propone, anche se sarebbe comunque interessante che ognuno che via via si è aggregato all’impresa, anche i più recenti, raccontassero la loro. Ma qui almeno quello che penso sia stato il suo specifico contributo alla nostra storia, devo pur dirlo.
Luigi è stato il più celebre giornalista della sinistra, e però ha sempre rifiutato di essere definito solo così. E dunque a decidere che il manifesto fosse solo un giornale. Basta rileggere il suo primo editoriale, quello del 28 aprile 1971: «È aperta nel nostro paese una partita dal cui esito può dipendere la sorte del movimento operaio per un intero periodo storico. Se non fosse questa la nostra convinzione, non ci saremmo impegnati in un lavoro e in una lotta che hanno per scopo ultimo la formazione di una nuova forza politica unitaria della sinistra di classe. E non faremmo, ora, questo giornale». Nei numerosi dissensi che sono emersi in seguito, del resto, Luigi ha sempre assunto una posizione polemica – fino alle dimissioni – proprio per contrastare alleanze non chiare del partito (la più importante, aver subìto nelle elezioni del 1976 Democrazia proletaria).«Non sempre – diceva – l’unione fa la forza».
* Fonte/autore: Luciana Castellina, il manifesto








