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Il testimone della Shoah che nessuno volle ascoltare

Jan Karski nel ’43 cercò invano di far capire al mondo la tragedia degli ebrei. Tradotto il suo libro, 70 anni dopo

L’incontro con Roosvelt. «Fui costretto a precisare che non si trattava di “persecuzioni” ma di uno sterminio sistematico»

Jan Karski nel ’43 cercò invano di far capire al mondo la tragedia degli ebrei. Tradotto il suo libro, 70 anni dopo

L’incontro con Roosvelt. «Fui costretto a precisare che non si trattava di “persecuzioni” ma di uno sterminio sistematico»

Entrato nel 1939 nella Resistenza tiene i contatti tra la struttura segreta dello Stato polacco e i rappresentanti del governo esiliati a Londra. Una figura emblematica Jan Karski, simbolo dell’opposizione al nazismo, voce di denuncia sul destino degli ebrei polacchi, sulle atrocità che aveva visto con i propri occhi negli anni del secondo conflitto mondiale: combattente, messaggero, perseguitato, testimone inascoltato, simbolo della incomunicabilità o della colpevole indifferenza. La mia testimonianza davanti al mondo (appena uscito da Adelphi, pp. 513, € 32) è un testo prezioso, finalmente (è il caso di dirlo, a quasi 70 anni dalla prima edizione) tradotto in italiano, curato con rigore filologico da Luca Bernardini. Un volume fondamentale che andrebbe inserito nei percorsi di formazione e preparazione ai viaggi della memoria delle nostre scuole e università che hanno come destinazione luoghi del territorio polacco.
La parabola biografica di Karski scuote le coscienze, accompagna il lettore sin dalle prime pagine nell’universo più profondo della guerra, nelle sue dinamiche senza appello lungo i confini dei comportamenti individuali, degli spazi di scelta possibili, della sofferta consapevolezza di un cammino senza ritorno. Karski ha trentanove anni quando la Polonia viene invasa dall’aggressione nazista. La sua opzione non ammette esitazioni: vuole combattere, chiede con insistenza di entrare nelle file della Resistenza. Con il coraggio di chi sente di militare dalla parte giusta diventa protagonista di missioni audaci, mette a repentaglio la propria incolumità, cerca di andare in prima linea dove è convinto che si decidano le sorti della guerra. Identificato e catturato dalla Gestapo viene sottoposto a torture efferate in un carcere militare, tenta di farla finita, ma alla fine ne viene fuori con una fuga rocambolesca. Era riuscito a penetrare all’interno del ghetto di Varsavia e si era spinto fino al cuore della soluzione finale, dentro il perimetro del campo di sterminio di Belzec.
Parole da un incontro con il gruppo dirigente del movimento clandestino: «Era una serata da incubo, ma vi aleggiava un senso di oppressiva, insopportabile realtà estraneo a qualsiasi incubo. Sedevo su una vecchia poltrona rotta, cui mancava un piede, rimpiazzato da due mattoni messi uno sull’altro. Temevo che se mi fossi agitato troppo sarei caduto per terra. Vi rimanevo inchiodato, incapace di proferire parola, mentre quella tempesta di sentimenti mi travolgeva». I suoi interlocutori non si fanno pregare vanno al sodo: «Moriremo tutti. Magari qualcuno riuscirà a salvarsi, ma tre milioni di ebrei polacchi sono condannati. Lo sono anche altri, portati qui da tutta Europa». Karski ascolta incredulo l’argomento che fa più male: «I tedeschi non intendono asservirci, come hanno fatto con i polacchi e con altri popoli. Vogliono liquidarci. Tutti. Ci corre una bella differenza. È questo che la gente non capisce, e che noi non riusciamo a far capire. A Londra, a Washington, a New York credono che gli ebrei esagerino, che siano in preda a una crisi isterica».
Un atto di accusa e, al tempo stesso un’ammissione d’impotenza. Il messaggero registra nella sua mente e inizia un pellegrinaggio disperato alla ricerca dei grandi della Terra. Uscito dalla Polonia si rivolge alle potenze alleate, arriva fino alla Casa Bianca con un mandato preciso. La mattina del 28 luglio 1943 un lungo colloquio con Roosevelt: «Le domande del Presidente erano pertinenti, dettagliate e centrate sui punti più importanti. Fui costretto a precisare, con esempi concreti, che non si trattava di “persecuzioni”, ma dello sterminio sistematico dell’intera popolazione ebraica».
Il finale purtroppo è noto. Jan Karski scrive le sue memorie, prima edizione 1944, titolo Story of a Secret State, e anche il percorso del volume, delle sue successive edizioni e revisioni dell’autore, diventa una storia nella storia. Si trasferisce negli Stati Uniti insegnando Scienze politiche presso la Georgetown University di Washington. Tenta di voltare pagina fino a quando Claude Lanzmann lo rende protagonista del suo Shoah (1985) in una sofferta intervista di otto ore che riapre ferite e interrogativi sull’indifferenza degli alleati. Muore nel 2000. Marek Edelman, sopravvissuto all’insurrezione del ghetto di Varsavia, partecipa alla messa funebre. Sulla targa che accompagna il monumento in suo onore, all’esterno del consolato polacco a Manhattan, a due passi dalla Morgan Library, si legge: «Il primo a informare gli alleati dell’Olocausto quando ci sarebbe stato forse il tempo per impedirlo».

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Oggi a Torino
A «Jan Karski, il testimone inascoltato» è dedicata la giornata di studi in programma oggi a Torino, presso la Fondazione Camis de Fonseca (via Pietro Micca 15), a partire dalle ore 10. Sui temi della resistenza al nazismo e della distruzione degli ebrei in Europa nel silenzio degli Stati democratici interverranno Luca Bernardini, curatore per Adelphi di La mia testimonianza davanti al mondo di Karski, Ugo Volli, Anna Raffetto, Elisabetta Massera, David Meghnagi, Livia Line e Zuzanna Schnepf-Kolacz.

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