Sciesopoli. Il luogo di vacanze della gioventù fascista divenne centro di accoglienza dei piccoli sopravvissuti ai campi, in transito verso Israele. Oggi la colonia, rischia la demolizione e la cancellazione della memoria
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Per un memoriale dei bambini del ’45

 

Sciesopoli. Il luogo di vacanze della gioventù fascista divenne centro di accoglienza dei piccoli sopravvissuti ai campi, in transito verso Israele. Oggi la colonia, rischia la demolizione e la cancellazione della memoria

 

Sciesopoli. Il luogo di vacanze della gioventù fascista divenne centro di accoglienza dei piccoli sopravvissuti ai campi, in transito verso Israele. Oggi la colonia, rischia la demolizione e la cancellazione della memoria

Ave­vano cono­sciuto l’inferno dei campi di ster­mi­nio. Agli occhi di quelle pic­cole vit­time mira­co­lo­sa­mente soprav­vis­sute all’olocausto la grande casa, a poche cen­ti­naia di metri dal cen­tro della pic­cola cit­ta­dina in Val Seriana, doveva appa­rire come il castello di una fiaba. La colo­nia mon­tana di Scie­so­poli, che prese il nome del cal­zo­laio mila­nese Anto­nio Sciesa ucciso nel 1840 in una som­mossa anti austriaca, durante il ven­ten­nio aveva ospi­tato i ragazzi della élite fasci­sta. Caduto il fasci­smo e finita la guerra, nel set­tem­bre del 1945, una dele­ga­zione com­po­sta dal Pre­si­dente della Comu­nità Ebraica di Milano Raf­faele Can­toni assieme a Moshe Ze’iri, mem­bro della Kvu­tzat Schil­ler e della Com­pa­gnia Inge­gneri dell’Esercito Bri­tan­nico Solel Boneh, e Teddy Beeri, a sua volta mem­bro della Solel Boneh, andò a chie­dere al Comi­tato di Libe­ra­zione di Milano la colo­nia “Scie­so­poli” per i bam­bini ebrei rima­sti orfani e soprav­vis­suti alla Shoah.

L’enorme edi­fi­cio di quat­tro piani con scale e cor­ri­doi luc­ci­canti for­nito di pale­stra, dor­mi­tori, cine­ma­to­grafo e per­sino una piscina coperta si tro­vava ad un cen­ti­naio di metri dal cen­tro di Sel­vino, oggi un fio­rente cen­tro turi­stico, sul pen­dio della mon­ta­gna ber­ga­ma­sca in mezzo ai boschi. Tra il ’45 ed il ’48 vi appro­da­rono 800 bam­bini ebrei reduci dai campi di ster­mi­nio. All’inizio arri­va­rono in una ven­tina oltre agli istrut­tori (vi lavorò anche Luigi Gorini, docente di chi­mica pura a Pavia), volon­tari della comu­nità ebraica di Milano o mili­tari della Bri­gata Ebraica. Ver­sa­vano in con­di­zioni spa­ven­tose, scrive Aha­ron Meg­ged nel suo volume “Il Viag­gio verso la terra Pro­messa”, sche­le­trici, spa­ven­tati, spesso malati. Tutti orfani. C’era il sedi­cenne Alter, nato in un pic­colo vil­lag­gio dei Car­pazi, che aveva vagato per le fore­ste ed una volta cat­tu­rato aveva lavo­rato nel campo di con­cen­tra­mento di Koe­nig­skir­chen a sca­vare fosse per le migliaia di cada­veri di ebrei che vi erano morti. Aha­ron, tre­dici anni, con il fra­tel­lino di nove, pro­ve­niente dai campi in Trans­ni­stria, che aveva vagato a piedi e in treno fra la Bes­sa­ra­bia, la Roma­nia, la Jugo­sla­via e l’Italia. Mai­kale, tre­dici anni, unica soprav­vis­suta della sua fami­glia nel ghetto di Mun­kacz, era pas­sata attra­verso gli orrori di Auschwitz-Birkenau. Ed ancora, i fra­telli Adam e Ber­rik, che erano stati nel ghetto di Lodz, ad Ausch­witz, a Mau­thau­sen. A Sel­vino ven­nero tutti curati e seguiti. Durante il giorno gio­ca­vano e lavo­ra­vano, seguendo le regole dei Kib­butz, ma alla notte gli incubi spesso ritor­na­vano. Nei dor­mi­tori ogni tanto si sen­tiva le urla di qual­che bam­bina che si rifu­giava, per sfug­gire ai ricordi, nel letto delle ami­chette. C’era anche chi impazziva.

Gran parte di loro, però, riu­scì ad arri­vare in Pale­stina. La comu­nità ebraica mila­nese, il Comune di Milano, pro­prie­ta­rio della colo­nia, i mili­tari della Jewish Bri­gade, della Solel Boneh, dell’Agenzia ebraica, del Joint, della Alyath Ha Noar e gli ex par­ti­giani li aiu­ta­rono, tra il 1945 e il 1948, a par­tire clan­de­sti­na­mente dalle coste ita­liane in dire­zione della Pale­stina man­da­ta­ria. Sel­vino fu uno dei luo­ghi fon­da­men­tali della vicenda dell’HaBricha e dell’Alyah Beth, pro­ba­bil­mente uno dei campi più signi­fi­ca­tivi alle­stiti in Ita­lia per Jewish Displa­ced Per­sons. Nel novem­bre del ’47 fu in quel pic­colo paese inca­sto­nato nelle pre­alpi ber­ga­ma­sche, il cui sin­daco era l’ex par­ti­giano “Moca” Emi­lio Gri­gis, che venne orga­niz­zato il con­ve­gno di HeCha­luz per ricor­dare il tren­te­simo anni­ver­sa­rio della dichia­ra­zione Bal­four. I pro­mo­tori asse­ri­rono la “neces­sità della fine del Man­dato bri­tan­nico sulla Pale­stina” e auspi­ca­rono che l’ONU si ado­pe­rasse per la crea­zione dello Stato ebraico.

Una volta arri­vati in Israele molti di quei pic­coli orfani ospi­tati nella colo­nia mon­tana ita­liana die­dero vita a due kib­butz, a sud e a nord di Israele: il kib­butz Rosh-ha Nikrà, al con­fine col Libano, e Tzee­lim, nel deserto del Negev”.

Ed oggi? Le visite alla “Scie­so­poli” degli ebrei che vogliono riper­cor­rere le loro tracce, o quelle dei loro geni­tori nella Bri­cha dell’Alyah Beth attra­verso l’Italia, sono fre­quenti. In una set­tan­tina sono arri­vati nel 1983, nel 2010 è arri­vato Naf­tali Bur­stein, bam­bino di Scie­so­poli, nel 2011 Nitza Sar­ner, figlia di Moshe Ze’iri che di “Scie­so­poli” era stato diret­tore, nel 2012 Miriam Bisk. I suoi geni­tori Lola e Salek Naj­man, polac­chi, si erano incon­trati nel campo pro­fu­ghi di Gru­glia­sco, in Pie­monte, poco distante da Torino. Erano poi stati inviati a Sel­vino per­ché lì si pren­des­sero cura dei bam­bini. Era il 1947. Miriam nac­que nove mesi più tardi. I due gio­vani tro­va­rono imbarco ille­gale verso la Pale­stina sull’HaTikva par­tita dal porto di Boglia­sco, vicino a Genova, l’8 mag­gio del 1947. Ma quella nave fu inter­cet­tata dagli inglesi il 17 mag­gio, e così Miriam nac­que a Cipro, al Fama­gu­sta Bri­tish Mili­tary Hospi­tal, depor­tata ancora prima di nascere. Miriam, che vive oggi a Ithaca, nello Stato di New York, ha voluto riper­cor­rere i luo­ghi dei suoi geni­tori seguendo le tracce del dia­rio accu­ra­ta­mente redatto da sua madre. Quando è arri­vata però non ha potuto non sol­le­vare un problema.

Oggi quella bella colo­nia, ormai chiusa da 30 anni, su cui con­ti­nua a cam­peg­giare ancora la scritta “O.P. per l’assistenza cli­ma­tica”, si trova in uno stato di com­pleto abban­dono, nem­meno una lapide ricorda il pas­sato, non c’è più trac­cia nem­meno di quella posta nel 1983. Pro­prietà di una grossa agen­zia immo­bi­liare, rischia di essere ven­duta a spe­cu­la­tori ed abbat­tuta, anche se una ordi­nanza dell’ex sin­daco pre­vede per l’edificio un vin­colo ambien­tale per impe­dire qual­siasi spe­cu­la­zione. Con­tro ogni amne­sia col­let­tiva, comun­que, ha con­tri­buito a far nascere un Comi­tato Pro­mo­tore che pro­pone una peti­zione, scritta in ita­liano, inglese ed ebraico, che in pochi giorni ha già otte­nuto migliaia di ade­sioni. Il Comi­tato riu­ni­sce, tra gli altri, oltre a Miriam Bisk, il pre­si­dente della Comu­nità ebraica mila­nese Gior­gio Sacer­doti , quello dell’Anpi Carlo Smu­ra­glia e Dario Vene­goni, Vice Pre­si­dente dell’Associazione Nazio­nale Depor­tati, la pro­fes­so­ressa Patri­zia Otto­len­ghi , Vale­rio Onida, pre­si­dente dell’Istituto Nazio­nale per la sto­ria del Movi­mento di Libe­ra­zione in Ita­lia, Carlo Spar­taco Capo­grego , Pre­si­dente della Fon­da­zione Fer­ra­monti, Mas­simo Castoldi della Fon­da­zione Memo­ria della Depor­ta­zione, la Biblio­teca Archi­vio Pina e Aldo Ravelli. Vi sono, inol­tre, lo sto­rico Marco Caval­la­rin che, infa­ti­ca­bil­mente, cerca di rac­co­gliere il mas­simo con­senso attorno al pro­getto oltre a nume­rosi ex bam­bini, ame­ri­cani, cana­desi, ita­liani, polac­chi ed i loro discen­denti. Al Pre­si­dente della Regione Lom­bar­dia Maroni, a quello della Pro­vin­cia di Ber­gamo Ettore Piro­vano oltre che al sin­daco di Sel­vino Car­melo Ghi­lardi, il comi­tato chiede che “Scie­so­poli” diventi il Memo­riale dei Bam­bini di Sel­vino. ” La colo­nia deve essere sal­vata — dichiara lo sto­rico Marco Caval­la­rin– L’acquisto della ex colo­nia è il pro­getto che con Miriam abbiamo ini­ziato a col­ti­vare. Lì si potrebbe rea­liz­zare un Museo Euro­peo dell’Alyah Beth, e una fore­ste­ria per i suoi visi­ta­tori, o altro di signi­fi­ca­tivo che con­servi la memo­ria dell’Alyah Beth. Baste­rebbe costi­tuire un orga­ni­smo che pro­get­tasse la nuova strut­tura e pro­muo­vesse una sot­to­scri­zione inter­na­zio­nale per l’acquisto e il man­te­ni­mento delle atti­vità museali”.

Infine una unica anno­ta­zione. Per chi volesse sot­to­scri­vere la peti­zione que­sti gli indi­rizzi: sciesopoli@?gmail.?com, indi­cando nome, cognome, città e qua­li­fica. Oppure tra­mite internet

http:// ?www?.avaaz?.org/?i?t?/?p?e?t?i?t?i?o?n?/?A?l?_?P?r?e?s?i?d?e?n?t?e?_?d? e?l?l?a?_?R?e?g?i?o?n?e?_?L?o?m?b?a?r?d?i?a?_?P?E?R?C?H?E?_?D?U?R?I?_?L? A?_?M?E?M?O?R?I?A?_?d?i?_?S?c?i?e?s?o?p?o?l?i?_?d?i?_?S?e?l?v?i?n?o?_? BG/.

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