Le bandiere da lasciare a casa

Quello che più si sarebbe dovuto scon­giu­rare sta invece pur­troppo acca­dendo. Ancora una volta è il rove­scia­mento secco di un abu­sato detto latino a domi­nare la scena poli­tica ita­liana: ubi minor maior ces­sat.

Quello che più si sarebbe dovuto scon­giu­rare sta invece pur­troppo acca­dendo. Ancora una volta è il rove­scia­mento secco di un abu­sato detto latino a domi­nare la scena poli­tica ita­liana: ubi minor maior ces­sat.

Certo, lo sap­piamo, quando ci si avven­tura sul ter­reno elet­to­rale sono le liste, le can­di­da­ture, l’equilibrio tra cor­renti e com­po­nenti, le ban­diere e i distin­tivi, la visi­bi­lità degli uni e degli altri, a det­tare legge. Quando la par­te­ci­pa­zione è una firma e l’azione un voto può acca­dere que­sto, e anche di peggio.

E quando a com­pe­tere non sono solo e soprat­tutto i par­titi, ma anche gli espo­nenti della cosìd­detta società civile le cose non sem­brano poi cam­biare di molto. Si poteva spe­rare però che la lista Tsi­pras, sce­gliendo di par­lare d’Europa in greco, riu­scisse almeno a intro­durre un diverso ordine del discorso. Riu­scisse cioè a sacri­fi­care le ten­sioni, le riva­lità, le con­tro­ver­sie, che da sem­pre attra­ver­sano la nostra pro­vin­cia, a una sorta di “unità anti­na­zio­nale”. Ma gli ultimi eventi, il ritiro delle can­di­da­ture, per diverse ragioni, di Vale­ria Grasso e Anto­nia Bat­ta­glia, non­ché le con­se­guenti dimis­sioni di Paolo Flo­res d’Arcais e Andrea Camil­leri dal comi­tato dei garanti, sem­brano muo­vere in tutt’altra dire­zione. Quella che risponde ai diversi desi­de­rata di chi si illude di stare lavo­rando, per que­sta via tra­versa, alla rifon­da­zione di una sini­stra che più ita­liana non si può.

Su una scala euro­pea sarebbe, infatti, un chiaro indi­zio di fol­lia pen­sare di pas­sare al vaglio i curr­cula e i quarti di nobiltà poli­tica di tutti i can­di­dati delle liste che appog­giano Ale­xis Tsi­pras. Ma non è forse que­sto lo spa­zio dell’azione a cui aspi­riamo? Lo riba­di­sce lo stesso Ale­xis Tsi­pras in una cor­tese let­tera di rispo­sta a Flo­res e Camil­leri nella quale insi­ste sull’unità neces­sa­ria a pro­iet­tarsi nella dimen­sione con­ti­nen­tale, «supe­rando con­ti­nue ten­sioni e pole­mi­che» e dichia­ran­dosi fino in fondo al fianco di Bar­bara Spi­nelli, non a caso la figura più lon­tana ed estra­nea agli equi­li­bri­smi poli­tici nazionali.

Pos­siamo capire che Paolo Flo­res e Andrea Camil­leri ten­gano a quella purezza di imma­gine cara agli intel­let­tuali demo­cra­tici. Ma è già meno com­pren­si­bile che una mili­tante impe­gnata sul ter­ri­to­rio come Anto­nia Bat­ta­glia non fac­cia distin­zione tra il piano mate­riale delle lotte, nella fat­ti­spe­cie l’Ilva di Taranto, sul quale è bene non fare sconti a chi ha gover­nato quella regione e quella que­stione, e il piano delle ele­zioni euro­pee, dove la pre­senza di can­di­dati pro­ve­nienti da Sel è del tutto irri­le­vante rispetto ai con­te­nuti euro­pei­sti e anti­li­be­ri­sti che dovreb­bero ispi­rare la lista Tsi­pras. La per­dita di que­sta distin­zione di piani risulta nefa­sta per entrambi. Spin­gendo da una parte i movi­menti a farsi carico di una qual­che eco elet­to­rale delle pro­prie azioni e, dall’altra, le liste a rispec­chiare equi­li­bri e idio­sin­cra­sie delle diverse com­po­nenti di movi­mento, pre­ten­dendo, poi, di rap­pre­sen­tarle e rac­co­glierne le “istanze”.

E’ uno sce­na­rio cupo a cui già abbiamo assi­stito tra il 2001 e il 2003. Lo scopo della cam­pa­gna elet­to­rale sotto le inse­gne di Tsi­pras è, in primo luogo, quello di favo­rire la dif­fu­sione di una cul­tura euro­pea anti­li­be­ri­sta restia a tro­vare rifu­gio nel ritorno alle sovra­nità nazio­nali, cer­cando di attrarre in quest’orbita il più ampio ven­ta­glio di forze pos­si­bili. Non certo quello di sosti­tuire le diverse espres­sioni del con­flitto sociale nei ter­ri­tori d’Europa. E’ bene chia­rirlo per tempo, prima che voli qual­che pie­tra ad Atene, Lon­dra, Ber­lino o Roma, met­tendo in sub­bu­glio e in allarme gli “euro­pei­sti insu­bor­di­nati”, ma non troppo. Siamo ancora in tempo a ragio­nare e a cor­reg­gere il tiro.

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