Giacomo Scotti, «Matvejevic e io». La rotta incrociata di due scomodi destini

«Matvejevic e io, due marinai» di Giacomo Scotti, per Infinito edizioni. Un libro fatto di «scritture d’amicizia» che ha come interlocutore privilegiato il mare

Nei Balcani, dove la guerra è stata fratricida, resta difficile la pratica del «fraterno». E in letteratura è quasi nulla la ricerca di un sodalizio, magari a distanza, che comunichi i territori comuni della ricerca: l’autore, ovunque, parla sempre, inesorabilmente, di se stesso.

LA LEZIONE che ci arriva da Giacomo Scotti con questo suo ultimo libro – ne ha pubblicati, finora, 160 l’ottantenne amanuense di Fiume-Rijeka – Matvejevic e io, due marinai (Infinito edizioni, pp. 283, 16 euro) è dunque doppia. Perché si tratta di un saluto individuale e insieme corale all’autore di Breviario mediterraneo, scomparso un anno fa a Zagabria. Indimenticabile nella sua perseveranza, «tra asilo ed esilio» come diceva, a ritenersi un tessitore di trame europee senza dimenticare ogni volta di dichiararsi ancora jugoslavo.
Nella prefazione a Mondo ex e tempo del dopo del 2006, Rossana Rossanda scriveva: «Come parlare di un uomo i cui libri sono un mosaico, fatti di mille tessere tutte problematiche, relative al passato e al presente, pieni di interrogativi inquietanti? Predrag Matvejevic ci ha abituato a questa scrittura senza pacificazione, che ha una forma bellissima ma non se ne accontenta, incalzata com’è da domande inesorabile sul perché e sul che cosa. Tutto lo incanta, ma nessuna bellezza lo acquista – è un uomo di domande cognitive ed etiche».

SONO LE STESSE domande «cognitive ed etiche» che Giacomo Scotti rivolge al suo amico in un libro che è fatto di «scritture d’amicizia», ricorda nell’introduzione Gianluca Paciucci. Un testo di memoria attiva che ripercorre momenti e luoghi di un sodalizio lungo una vita attraversata su un sentiero comune. O quasi. Perché il percorso, nei fatti, è stato una rotta incrociata.
Lo scugnizzo di Saviano (la cittadina campana dove Giacomo Scotti è nato nel 1928) che sceglie di farsi jugoslavo e arriva a Trieste e poi nella Federazione jugoslava e lì decide di vivere, amare e sperimentare; e Predrag Matvejevic che, nato a Mostar, di padre russo ma nato ad Odessa e di madre croata, entra in conflitto subito con il potere socialista del maresciallo Tito e poi, mentre i nazionalismi cominciano a dilaniare la Federazione jugoslava, è costretto a fuggire da Zagabria sotto minaccia di morte, per riparare in Francia e poi in Italia. Due percorsi da latitudini diverse, ma entrambi segnati dalla volontà di verità, sulla realtà prima e sulle macerie poi del Sud-est europeo e dei Paesi dell’Est. L’altra Europa, dove gli ex dissidenti sono spesso diventati «democratura» e padroni delle privatizzazioni e dove le culture nazionali sono degenerate in ideologie della nazione. E siccome «da Oriente a Occidente ogni punto è divisione», dal loro sentiero incrociato hanno lanciato un drammatico messaggio-testimonianza: che tutto questo sarebbe diventato specchio e antefatto della nuova Europa in costruzione. Quella dei muri e delle frontiere che si moltiplicano. Per una sorta di balcanizzazione rovesciata – ora sotto gli occhi di tutti -, visto anche l’impegno politico e militare dei Paesi leader d’Europa nella devastazione del Sud-est europeo.

MA QUAL È STATO il contenuto materiale di questo solido rapporto? Nel titolo del libro le parole «due marinai» lo richiamano esplicitamente: il mare. L’Adriatico, con la riscoperta delle culture trasversali presenti, a cominciare dalla multietnica «Venezia sconosciuta» con le sue isole sommerse. E il Mediterraneo.
Partendo da questo spazio insieme reale e virtuale e conflittuale, Matvejevic – ricorda Scotti – ha proposto la sua cifra rivoluzionaria. Quella di una necessaria nuova filologia. Meglio una cosmogonia, che riscrivesse i codici del presente oltre il limite dei miti. Il mare, che ha trovato un interlocutore privilegiato in Giacomo Scotti, autore di storie della navigazione a vela. Per uno spazio privilegiato dagli umani e ponte di comunicazione. Basta però vedere che cosa il Mediterraneo è diventato – un riverbero di guerre e fossa comune della disperazione di chi fugge dai conflitti armati e dalla miseria spesso da noi provocate – per capire le macerie del presente.

CHE COINVOLGONO ormai le forme critiche, la scrittura, l’interpretazione, anch’essa in rovina, della realtà. La stessa introiettata ed evocata disperatamente dai due fraterni testimoni. Che lasciano per noi una scia luminosa tra le nebbie attuali. Una scia che il libro di Giacomo Scotti rifrange, non dimenticando anche altre presenze e corpi del sentiero balcanico come specchio tra mondi. Dal poeta di Sarajevo Izet Sarajilic allo sloveno-italiano Boris Pahor, al «comunista scomodo» Miroslav Krleža, a Danilo Kis. Voci uniche e irripetibili, impegnate a dilatare all’infinito gli spazi del sensibile e della vita materiale.

FONTE: Tommaso Di Francesco, IL MANIFESTO

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