1969: con la strage di piazza Fontana nasce sanguinosamente la strategia della tensione, quella “guerra non ortodossa” teorizzata e predisposta già nel 1965 a Roma
1969: con la strage di piazza Fontana nasce sanguinosamente la strategia della tensione, quella “guerra non ortodossa” teorizzata e predisposta già nel 1965 a Roma
in un convegno all’Hotel Parco dei Principi, che vide la partecipazione di alti ufficiali, carabinieri, esponenti del partito neofascista, industriali.
Con quella prima strage, “una generazione perse l’innocenza”. Si radicalizzarono le lotte e le coscienze. Si concatenarono i morti e gli eventi: l’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato innocente da una finestra della questura di Milano, divenne la diciasettesima vittima di Piazza Fontana.
1972: l’omicidio del commissario Luigi Calabresi (“la diciottesima vittima”), ritenuta dalla sinistra estrema responsabile della morte di Pinelli, venne da noi letto come la prima azione della lotta armata in Italia. Un’indicazione di marcia.
1973: il golpe fascista in Cile dimostrò i limiti e i rischi della via democratica e parlamentare al socialismo. All’indomani del golpe, la scelta del compromesso storico da parte del PCI, «di fronte alle minacce sempre incombenti di avventure reazionarie», sembrò dimostrare l’abbandono di qualsiasi strategia di cambiamento, anzi una vera e propria resa. Lo Stato che, da lì in avanti, il Pci si proponeva di difendere era quello stesso che aveva coperto e utilizzato stragisti e golpisti.
1974: la ripresa delle stragi (Piazza della Loggia e Italicus) e dei tentativi di colpo di stato, (nell’agosto e nel settembre) assieme al disarmo del PCI, fu il crinale, il punto di non ritorno. Da lì in poi trova spazio la proposta della lotta armata, per contrastare fascismo e svolte autoritarie ma anche e assieme per inseguire il sogno rivoluzionario.
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