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La grande Storia letta con gli occhi di un piccolo uomo

Arriva da Venezia “Post mortem” .   Il dramma cileno attraverso l’esperienza di un oscuro addetto all’obitorio che scrive i referti delle autopsie 

Arriva da Venezia “Post mortem” .   Il dramma cileno attraverso l’esperienza di un oscuro addetto all’obitorio che scrive i referti delle autopsie 

chi avesse avuto modo di vedere il precedente film di Pablo Larraìn Tony Manero (vincitore al Torino Film Festival sotto la direzione di Nanni Moretti), storia desolata di un assassino seriale convinto di somigliare all´eroe della Febbre del sabato sera, riconoscerà in Post Mortem non solo lo stesso interprete Alfredo Castro ma anche, attraverso la sua presenza magnetica e sinistra, lo stesso sguardo e un sentimento molto simile. Peraltro sullo stesso snodo cronologico di storia cilena: che il regista – cileno – non ha direttamente vissuto essendo nato solo trentaquattro anni fa.
Meno male che il film viene tempestivamente distribuito in Italia dopo la partecipazione al festival veneziano, dove era stato forse il più meritevole tra i titoli in pista per il Leone. In ogni caso infinitamente più meritevole del mediocrissimo vincitore imposto dal presidente della giurìa Tarantino, Somewhere di Sophia Coppola.
Sono i mesi anzi le settimane che durante l´estate del 1973 (estate qui, inverno in Cile) precedono e annunciano il precipitare della situazione verso quell´infausto 11 settembre in cui Salvador Allende sarebbe caduto nell´estrema difesa del palazzo presidenziale della Moneda e del legittimo governo dall´attacco golpista dopo un faticosissimo triennio di convivenza tra sinistra democratica e sinistra rivoluzionaria.
Se avete visto Tony Manero vi aspetterete un altro film in cui la storia grande non occupa il primo piano, e farete bene. Ma la storia c´è eccome e c´è anche una sua visione: il precipitare verso il baratro del colpo di stato armato dalla Cia è annunciato dalla crescente insofferenza di strati sociali impauriti da una deriva estremista che il governo non riesce a controllare.
In mezzo agli echi della Storia che in quei giorni si sta facendo, la cinepresa segue un uomo senza qualità, senza ideali, senza appeal, senza interessi, senza affetti. Un oscuro addetto all´obitorio il cui compito è quello di scrivere i referti della autopsie sotto dettatura del medico responsabile. È da quell´osservatorio che Mario vede passare la Storia. Dall´autopsia di Allende (un momento sorprendente, di emozione esaltata dal deliberato raffreddamento dell´emozione) a quella di un anonimo corpo femminile deceduto “per denutrizione e disidratazione”. Anonimo per tutti ma non per Mario, tra i due cadaveri il secondo conta per lui enormemente di più. Quella donna, Nancy, prima di diventare un cadavere è stata una pessima ballerina di pessimi cabaret, dirimpettaia di Mario, altra anima alla deriva, sradicata, marginale, impermeabile al corso degli ideali e dei conflitti, altro essere indifeso, inutile, apatico e indifferente, privo di intelligenza e di morale. Con lei e per lei, per un momento poi degenerato in mostruosità, Mario ha creduto di poter condividere un sentimento.
Il punto è: un taglio così parossistico e malato, così laterale, così oscenamente minore rispetto a un contesto in cui si decidevano in mezzo a un bagno di sangue le sorti della libertà e della democrazia, ebbene riesce a dire altro, di più della miserabile vicenda che racconta? Sì, e anche con grande forza espressiva. La conferma o la smentita a voi se accetterete la raccomandazione di andare a vedere il film.
Una chiave di lettura storica forse discutibilmente “revisionista” o comunque incline alla comprensione verso una presunta maggioranza silenziosa e indifferente (sia pur rappresentata in forme estreme e patologiche), una ricerca di stile plumbeo che forse – nella ripetizione – sfiora il manierismo. Può darsi. Ma la scommessa sulla forte personalità di questo artista resta ugualmente valida.

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