Contadini, operai, migranti Il controvertice di Seoul

IN PIAZZA Il sindacato coreano guida la protesta

SEOUL
Al G20 non piace la società  civile organizzata. Fino all’ultimo il contro-vertice promosso dalla rete «Azione di risposta del popolo coreano al G20», guidata dal sindacato Kctu, è stato a rischio. Il governo ha fatto pressioni sull’università  di Sogang per rimuovere il permesso di tenere l’incontro, ma in extremis il vicino centro gesuita ha offerto la sua struttura. Poi è iniziato il blocco degli attivisti asiatici in arrivo all’aeroporto di Incheon, una decina da India e Filippine, tra cui anche il presidente di Ibon, un centro progressista punto di riferimento nell’intera Asia e tra i promotori dell’evento. Ma questo non li ha scoraggiati.

IN PIAZZA Il sindacato coreano guida la protesta

SEOUL
Al G20 non piace la società  civile organizzata. Fino all’ultimo il contro-vertice promosso dalla rete «Azione di risposta del popolo coreano al G20», guidata dal sindacato Kctu, è stato a rischio. Il governo ha fatto pressioni sull’università  di Sogang per rimuovere il permesso di tenere l’incontro, ma in extremis il vicino centro gesuita ha offerto la sua struttura. Poi è iniziato il blocco degli attivisti asiatici in arrivo all’aeroporto di Incheon, una decina da India e Filippine, tra cui anche il presidente di Ibon, un centro progressista punto di riferimento nell’intera Asia e tra i promotori dell’evento. Ma questo non li ha scoraggiati. Sabato si è tenuta una manifestazione di apertura a cui hanno partecipato oltre 40mila lavoratori, principalmente metalmeccanici, contro il G20, con cariche della polizia. Un successo, se si pensa che il governo coreano del presidente Lee Myung-bak, aveva promesso tolleranza zero. Ma il sindacato coreano è il simbolo della determinazione nella lotta, come dimostrato nelle proteste contro la Wto a Cancun e a Hong Kong. Il presidente della Kctu, Kim Young-hoon, ha aperto i lavori del contro-vertice domenica.
L’evento è stato un’occasione di incontro tra rappresentanti scelti di vari movimenti, latino-americani, asiatici, europei e occidentali, per discutere una nuova strategia globale sul G20. Il mondo è cambiato, la crisi è sempre più profonda e a oggi la pagano soltanto i più deboli e non chi l’ha causata, mentre i paesi più poveri sono sempre più tagliati fuori. Quindi anche la geometria dei movimenti globali sta evolvendo e l’asse si sposta sempre più a sud, ma le reti regionali sono importanti e certo l’Asia è una regione cruciale.
L’esperienza coreana, paese ormai difficile da definire in via di sviluppo, ci mostra che il ruolo dei sindacati è centrale, in particolare quello delle frazioni più di base. Sono queste che oggi organizzano le masse sfruttate di precari e di migranti – in Corea principalmente vietnamiti – e iniziano ad aprirsi anche alle rivendicazioni delle donne. Per questi attori la repressione del governo è durissima, come riconosciuto recentemente al Consiglio Onu per i diritti umani. 
Il G20 è stata l’occasione per ripulire le strade dagli ambulanti e cacciare molti migranti illegali da Seoul e dintorni. In una delle ronde improvvise nelle fabbriche alla periferia, un padre di famiglia vietnamita per scappare si è lanciato dalla finestra morendo. Per lui il contro-vertice ha proposto un sobrio altare di commemorazione.
Le rivendicazioni di fronte alla crisi globale sono nette e dettate da una prospettiva anti-capitalista. Intorno a questa si radunano altri gruppi, da settori ambientalisti radicali che si oppongono alla devastazione della regione di Seoul, alla lega dei contadini, la cui vita è sempre più a rischio in seguito agli accordi di libero scambio – ultimo quello bilaterale che oggi Obama potrebbe firmare con la Corea – che tagliano ogni opportunità per l’agricoltura contadina e familiare. Al punto che la Corea è un paese non più sicuro dal punto di vista alimentare.
Questa coalizione di contadini, operai e migranti è oggi la spina dorsale dei movimenti in Corea come in gran parte dell’Asia. A questo si aggiunga che lì dove gli aggiustamenti strutturali del Fondo monetario e della Banca mondiale hanno calcato di più la mano o la crisi finanziaria del 1997 ha lasciato un segno profondo, come ad esempio in Indonesia e nelle Filippine, un movimento ancora più largo si è strutturato, ad includere reti di base contro il debito o contro i grandi progetti infrastrutturali delle multinazionali occidentali – e oggi anche delle economie emergenti – e per il controllo delle risorse naturali.
Per tutti questi attori sociali il G20 non è legittimo e non può rappresentare le istanze dei popoli del sud, neanche quelli delle economie emergenti. Una critica latente ma non esplicitata alla cooptazione dei governi dei paesi emergenti. Su questo i sindacati Cosatu del Sudafrica, l’Nlc della Nigeria, la Cta dell’Argentina e la Cut del Brasile presenti al contro-vertice dissentono, credendo soprattutto in Brasile, che il governo possa giocare ancora un ruolo diverso.
Ma alla fine per tutti il G20 è incapace di trovare accordi validi e soluzioni sui veri impatti della crisi, eppure rimane il principale campo da gioco della nuova geopolitica mondiale e terreno di scambi pericolosi che vanno fermati. L’agenda del commercio internazionale è in cima alla lista e c’è il rischio di nuove liberalizzazioni. La vera sfida rimane nelle economie emergenti, a partire da India e Brasile, passando per Indonesia e Sud Africa. L’assenza di sponde forti in Cina con cui lavorare è un problema serio, ma forse anche questa situazione muterà.
Per il momento l’appuntamento è per tutti oggi sulla piazza della stazione centrale con il Kctu per far sentire l’opposizione all’apertura del vertice ufficiale in serata.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password