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Il day after del movimento “La violenza era inevitabile andremo ancora in piazza”

Assemblee nelle facoltà : la riforma non deve passare.  “Ma quali black bloc, gli scontri sono stati di massa. Ci sentiamo tutti senza futuro”

 

Assemblee nelle facoltà : la riforma non deve passare.  “Ma quali black bloc, gli scontri sono stati di massa. Ci sentiamo tutti senza futuro”

  ROMA – Martedì sera, a incidenti freschi, Scienze politiche ha aperto e chiuso un´assemblea con il triplo degli studenti del solito. Ieri pomeriggio, sempre all´università della Sapienza, a Roma, si sono riuniti a porte chiuse quelli della Link, tra i motori del movimento studentesco. E in tutti gli undici palazzi dell´enorme università romana il dibattito si è allargato, gli incontri e gli scambi delle notizie «sull´insurrezione di piazza del Popolo» hanno sostituito le lezioni. Sono rimaste solo due facoltà occupate, ma la Generazione P. resta mobilitata, in trincea. «Non ci sentiamo sconfitti e non ci fermiamo qui», dice Luca Cafagna, 26 anni, Scienze politiche. «Si torna a manifestare e lo si farà a ridosso dell´ingresso della riforma Gelmini in Senato». Già. Martedì prossimo il tormentato “ddl” sull´università dovrebbe tornare all´esame a Palazzo Madama per uscirne, nella speranza del governo, entro tre giorni. L´atteggiamento dei finiani sarà di nuovo decisivo.
A Roma Tre nuova occupazione di Lettere e Filosofia. Un documento sostiene: «In piazza non c´erano black bloc, la zona rossa hanno cercato di violarla studenti e manifestanti, gli scontri sono stati di massa». A Cagliari, assemblea al Magistero in serata, si è già immaginato il prossimo flash mob: «Utilizzeremo la fantasia, terremo lontana la violenza». A Genova la scritta sui muri di Palazzo Tursi, che ha chiuso la manifestazione per la liberazione dei tre genovesi fermati per i moti di Roma, dice del pensiero di molti: “La rivolta non si processa”. E quelli del centro sociale “Guernica” di Modena, perquisiti nella notte dalla Digos locale, confermano difendendosi: «Non c´entriamo nulla, si sono auto-organizzati gli studenti». Ecco, il corpo grosso dei manifestanti sente propria la giornata: il pomeriggio del 14 dicembre. E per definirla usa questi titoli: «L´insurrezione di una generazione». Il movimento ribalta l´accusa di violenza, procedimento peraltro antico: «Le responsabilità sono di un governo che innalza la corruzione a sistema e compra i deputati necessari per sopravvivere, di un ministro che da due anni non ci ascolta, di una polizia che con i blindati punta ragazzi in corsa». È ancora Luca Cafagna: «In piazza ho visto un´indignazione di massa che è precipitata dopo le notizie sulla fiducia al governo Berlusconi: il 14 dicembre era stato disegnato come il giorno dell´Apocalisse. In queste condizioni la ribellione diventa naturale e ha sorpreso noi per primi, che per giorni avevamo provato a darci regole poi saltate. Il fumogeno dentro la Mercedes può averlo messo un professionista della rivolta, ma intorno la gente applaudiva». Il rischio di una degenerazione violenta del movimento? «Questi ragazzi hanno una profonda cultura democratica. Credono, però, in una democrazia radicale e davvero collettiva».
Stefano Vitale, della Link, teme che le devastazioni possano corrodere il consenso fin qui catturato dalla “Generazione precaria”: «La mattina a Castro Pretorio ci applaudivano dalle finestre, il pomeriggio gli automobilisti scappavano da noi». Stefano Raparelli, 32 anni, dottorando in Filosofia politica, movimento Uniriot: «Gli atti in piazza sono stati gravi, ma è esplosa la rabbia di una generazione senza futuro. Se si continua senza una discussione con i giovani, il movimento diventerà sempre più rabbioso. Le prossime manifestazioni, comunque, saranno eclatanti». Sulla pagina Facebook di “Ateneinrivolta” si parla dei black bloc come di «una figura mitologica, minotauri». Arrivano messaggi critici: «Una devastazione non è democrazia». E plausi incondizionati: «Siete stati grandi ragazzi». Qualcuno si sente avanguardia di un risveglio nazionale, certo il 14 dicembre ha cambiato molti studenti, probabilmente forgiato una generazione.
Don Vitaliano Della Sala, prete “no global” tornato in strada con il movimento di martedì: «Questi ragazzi cantano “Noi non siamo rappresentati” e oggi in Parlamento, senza Rifondazione comunista, non c´è nessuno che intercetti i loro umori». Andrea Alzetta di “Action”: «La piazza ha voluto dimostrare che non è più disposta a subire gli abusi di una democrazia che compra la fiducia in Parlamento e organizza Parentopoli ad uso e consumo delle cricche».

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“Ho visto esplodere la rabbia è una rivolta generazionale” 
Uno dei leader anti-Gelmini: si rischia la deriva 
  I giovani sanno che per loro l´ascensore sociale sta andando al contrario, la disperazione è sempre più forte 
MARIA NOVELLA DE LUCA


ROMA – «Ero lì, tra i ragazzi, nel corteo. E quello che mi ha colpito di più è stato vedere la rabbia che cresceva, e centinaia di studenti unirsi ai gruppi che fronteggiavano la polizia e provavano a sfondare i blindati. Sbaglia chi pensa che si tratti soltanto di frange organizzate. Martedì nel corteo è esplosa una rabbia generazionale, la frustrazione di chi sa di non essere ascoltato. E questo è pericoloso e preoccupante». Gianni Piazza ha 47 anni, insegna Scienze Politiche all´università di Catania, ed è uno dei ricercatori della “Rete 29 aprile” che da un mese “occupa” il tetto della facoltà di Architettura di Roma.
Piazza, perché parla di rabbia generazionale? E che cosa sta succedendo nel movimento?
«Si sapeva fin dall´inizio che ci sarebbero stati gruppi che avrebbero provato a violare la cosiddetta zona rossa. Era già successo in alcune manifestazioni precedenti. Ma erano rimasti episodi limitati. Anche perché questo movimento non ha alcuna matrice ideologica di violenza, e martedì erano davvero pochi quelli arrivati alla manifestazione con l´intenzione di mettere a ferro e fuoco la città».
Però è accaduto…
«Infatti, e invece di indietreggiare, di isolare i violenti, una buona parte di manifestanti si è buttata negli scontri. Come se, soprattutto dopo la notizia della fiducia a Berlusconi, il senso di frustrazione, di essere centomila in piazza ma nessuno per il governo, avesse avuto il sopravvento».
Voi ricercatori siete la parte “adulta” della protesta. Si può ancora in qualche modo fermare la deriva violenta?
«Mi auguro di sì, perché ripeto questo movimento universitario che si è collegato con le grandi aree di disagio sociale del paese, finora ha mostrato lucidità e anche resistenza. Ma se continuerà ad esserci questa chiusura totale da parte del governo, la situazione può diventare ingestibile».
Ma lei, tra i suoi studenti, ha percepito la tentazione di una svolta verso forme di protesta più estreme?
«No, direi di no. Però la disperazione è forte. E riguarda anche le fasce più adulte, i ricercatori. I giovani sanno che stanno prendendo l´ascensore sociale al contrario, studiano ma sono consapevoli di non avere futuro, la loro sfiducia adesso si è trasformata in rabbia, e questo può portare ad una escalation di violenze».
Lei ha scritto diversi libri sui movimenti studenteschi, di cui l´ultimo sull´Onda. Oggi però le similitudini più forti sembrano essere quelle con gli anni Settanta.
«Forse nelle modalità degli scontri, o nella protesta sociale. Ma per fortuna nell´università, come nella società, non ci sono modelli di gruppi armati e soprattutto non ci sono ideologie. Non siamo negli anni Settanta, però da martedì qualcosa è cambiato, e adesso le reazioni di questo movimento fino ad ora pacifico sono diventate imprevedibili. Per questo credo che sia gravissima la decisione del Governo di voler approvare la legge Gelmini il 22 dicembre, rischiando un´altra giornata di guerra».
Proprio il 22 dicembre sarà un mese che siete sul tetto di Architettura.
«Sì, e fa molto freddo, ma quel tetto è diventato davvero un simbolo importante. E da come vanno le cose rischiamo di restarci ancora a lungo».

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