A che servono i giornalisti?

Fausto Pellegrini è un giornalista di Rainews24. Con Fausto – per dire – siano diventati amici correndo insieme sotto i lacrimogeni per le strade di Genova, nel 2001. Ora ha scritto un libro (“La bisaccia del giornalista. L’informazione necessaria per il XXI secolo”, Dissensi, 142 pagine, 12,50 euro) che a quella vicenda per tanti versi “fondativa” dedica un capitolo. Per dire che se non ci avessero pensato i manifestanti, i passanti e gli abitanti di Genova, con le loro macchine fotografiche, telefonini e videocamere, a testimoniare quel che stava accadendo, certo non lo avremmo saputo dai “grandi media”.

Fausto Pellegrini è un giornalista di Rainews24. Con Fausto – per dire – siano diventati amici correndo insieme sotto i lacrimogeni per le strade di Genova, nel 2001. Ora ha scritto un libro (“La bisaccia del giornalista. L’informazione necessaria per il XXI secolo”, Dissensi, 142 pagine, 12,50 euro) che a quella vicenda per tanti versi “fondativa” dedica un capitolo. Per dire che se non ci avessero pensato i manifestanti, i passanti e gli abitanti di Genova, con le loro macchine fotografiche, telefonini e videocamere, a testimoniare quel che stava accadendo, certo non lo avremmo saputo dai “grandi media”. E rivendica giustamente, Fausto, il ruolo che Rainws ebbe nello stabilire il contatto tra il “citizen journalism” e quello di chi, come lui, quel mestiere lo faceva per professione. Il contesto in cui cadeva la Genova di allora, e in cui siamo sempre più immersi, è quello che Ignacio Ramonet, oggi direttore dell’edizione spagnola di Le Monde diplomatique, definisce in questo modo: «Dai media di massa alla massa dei media».
Ramonet ha pubblicato lo scorso anno un libro sull’argomento, “L’explosion du journalisme”. E Pellegrini si chiede come sia possibile evitare l’esplosione, o sopravviverle, utilizzando quel che nella bisaccia, nella sua esperienza, chi fa questo mestiere ha accumulato. Sapendo che c’è un prima e c’è un dopo: l’era avanti internet e l’era dopo internet. Nella quale, tra le altre caratteristiche del modo di consumare o cercare informazione (o informazioni, al plurale), accade che – giudizio suggestivo – non sia più vero che «il mezzo è il messaggio», come diceva Mc Luhan: il mezzo è diventato la velocità. Ciò che è sempre avvenuto, dice ragionevolmente Fausto, ma non con la rapidità istantanea di internet né con la sua potenziale diffusione globale. Così che i media tradizionali – la stampa soprattutto – vengono travolti, impoveriti dalla progressiva indifferenza dei lettori, e i giornalisti spiazzati. Oltre al fatto, basilare, che i grandi giornali, in particolare, sono ovunque una protesi dei poteri, di proprietà di grandi gruppi industriali e simili. Ciò che sbatte violentemente contro la gratuità sostanziale e l’inafferrabilità di un sistema, come la Rete, fatta di individui o di piccoli gruppi che hanno possibilità infinite di diffondere messaggi. In questo “ecosistema” che possibilità ha la professione del giornalista di sopravvivere? Secondo Pellegrini molte, nonostante la drammatica precarizzazione del mestiere, purché ritrovi il senso etico della sua missione – cosa non facile, dico io – e svolga il ruolo di mediatore culturale, colui che è in grado di comporre il puzzle delle informazioni, aiuta a verificare le fonti delle notizie, rovescia il tavolo dell’intrattenimento su cui giocano i grandi media nell’illusione di riconquistare lettori offrendo loro ogni giorno un circo a più piste (e Ramonet, in parallelo, non si stanca di esibire il caso opposto di Die Zeit, il settimanale tedesco che fa del giornalismo un genere letterario e vende mezzo milione di copie). Ma insomma, di libri così ce ne sono ben pochi in giro, in Italia. Come in molti altri ambiti, viviamo nel passato.

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