Il disincanto di eroi da periferia

«Borgata Gordiani», un racconto di Aldo Colonna che si snoda fra i malandrini. Un documento vérité che narra le gesta di una generazione vissuta all’ombra degli orrori edilizi

«Borgata Gordiani», un racconto di Aldo Colonna che si snoda fra i malandrini. Un documento vérité che narra le gesta di una generazione vissuta all’ombra degli orrori edilizi

È in libreria da poche settimane, per i tipi di Skira, un racconto lungo di Aldo Colonna, Borgata Gordiani, (pp. 96, euro 12) che narra delle sue incursioni nella teppa periferica e del suo riemergere alla vita dopo anni di discesa all’inferno. Lungi da lui un’idea di redenzione, assistito già da adolescente da un equilibrio inusuale, egli studiò quotidianamente stilemi culturali e linguistici di picari ritratti nel loro apprendistato criminale. Moravia e Pasolini lo coccolarono concedendo senza indugio il loro imprimatur (ma lo scritto si arenò nelle secche «burocratiche» di Siciliano che lo lasciò nell’oblio per lustri).
Oggi vede la luce, proprio come un messaggio affidato ai marosi, con una stringata prefazione di La Capria – che riconobbe il valore dello scritto già anni fa – e una ricca postfazione nella quale ci racconta dei rapporti intessuti e con Moravia e con Pasolini, frammezzato di fatti e aneddoti che arricchiscono l’agile volumetto.
Stiamo parlando di un documento vérité con il quale l’autore narra con disincanto epiche gesta delinquenziali, senza compartecipazione malandrina, come se fosse altro da sé, in una veridica seduta psicanalitica. In scena non c’è l’entomologo Pasolini che scopriva con la lente di ingrandimento nuove forme di vita, novello Linneo, ma un protagonista che canta da protagonista le vite dolorose di quei naufraghi.
È infatti la borgata che dà il titolo al libro il fondale dove si muovono questi furfanti spavaldi fino a quando la cattura del capo, il leggendario Cola, non reciderà improvvisamente le fila di questa singolare odissea. L’avanzamento degli obbrobri edilizi con la costruzione massiva di case popolari, la fornitura di servizi essenziali, prima assenti, la borgata rasa al suolo alla fine degli anni Settanta lascerà sotto le sue macerie sogni e bisogni di persone in alcuni casi inespresse, in altri liberate, in altre salvate.
A parte la narrazione di sicura presa, è il lessico che Colonna usa l’elemento pregevole del racconto. Il romanesco usato deriva direttamente da Belli dopo essere stato mutuato dall’attenzione filologica del Chiappini e di Ravaro poi, come ha evidenziato brillantemente Marcello Teodonio, autore di una biografia inarrivabile del poeta romano. Allocuzioni e intercalari, ricerca linguistica denotano proprietà salda della materia e uno studio diuturno fatto, negli anni delle scorribande, di annotazioni compulsive per poi stendere quegli appunti in un breviario moderno dei selvaggi perennemente in lotta in quei «tristi tropici».
Il romanesco parlato nel racconto non ha nulla a che vedere con le storpiature lessicali dei pischelli contemporanei; esso si allontana dal vernacolo per farsi lingua, l’unico strumento interpretativo nobile di una landa desolata e negletta come fu in quegli anni la Borgata Gordiani. E non è azzardato dire che è facile rinvenire, in questo documento, la lezione di Gadda in quel contrappunto maniacale della onomatopea, in quella commistione di lingua parlata e dialetto che spiazzò ad una prima lettura, il ricorso frequente alla sospensione, l’uso della concordanza a senso.
L’attenzione della critica militante nei confronti di Colonna data da tempo immemore: Gianfranco Contini ebbe a elogiarne il lavoro quando era ancora uno studente, nella corrispondenza con Franco Fortini si trovano i riscontri ad un lavoro resiliente e continuato nel tempo («…la mia impressione è che lei possegga una molto ricca strumentazione letteraria, persuaso come sono che il suo lavoro possa avere forme ancora più ricche e compiute, e più ‘utili’ a tutti»).
È con la medesima passione che Carlo Lizzani ha presentato il libro alla Feltrinelli portando il suo contributo di intellettuale chiosando con competenza questo lavoro e registrandolo come un documento letterario che è riuscito a distanza di anni a mantenere inalterata tutta la sua forza dissacrante.

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