Il vento del passato nella città  di confine

«UN’OPERA CHE DISOBBEDISCE ALLE REGOLE DEL CINEMA COMMERCIALE E ALLE NORME CLASSICHE DEL CINEMA D’AUTORE. NON È INQUADRABILE, È UN DRAMMA SOCIALE»

«UN’OPERA CHE DISOBBEDISCE ALLE REGOLE DEL CINEMA COMMERCIALE E ALLE NORME CLASSICHE DEL CINEMA D’AUTORE. NON È INQUADRABILE, È UN DRAMMA SOCIALE»
Un film ambientato a Trieste, che fa i conti con i reperti bellici interiorizzati della ex Jugoslavia Il regista Rodolfo Bisatti racconta il suo «laboratorio» fuori dagli schemi e «non di regime»L’appassionata descrizione che fa Rodolfo Bisatti della costruzione del suo Voci nel buio che sarà presentato al cinema Farnese di Roma lunedì 29 (alle 22) conquista l’attenzione, anche perché è stato girato a Trieste, un luogo assai lontano dalla logora provincia di cinema romana, e così vicino al confine da nutrirsi di elementi vitali provenienti dai paesi vicini, dalla Slovenia alla repubblica Ceca. E, fatto piuttosto inaspettato, con un nucleo di ricerca basagliana che arriva intatto ed elaborato ai giorni nostri quando tutto farebbe pensare che un pesante velo è stato disteso per cancellarla. Intanto niente richiesta di soldi dal ministero, per fare il suo film: «È totalmente fuori dalla logica del cinema italiano, dice Bisatti, e poi non chiedendo finanziamenti al Ministero abbiamo potuto scegliere attori e maestranze senza i ricatti dei punteggi. Gli attori sono stati scelti nella migliore tradizione del teatro. Rifiutiamo infatti la denominazione ‘attore preso dalla strada’ poiché abbiamo creato un laboratorio almeno tre anni prima. Ci siamo insediati a Trieste che considero libero territorio, in quella specie di Alcatraz, il quartiere Melara, un monolito di cemento che accoglie 600 famiglie, un progetto realizzato negli anni ’70 che mi ha affascinato, essendo appassionato di architettura». Indipendente il regista lo è sempre stato, padovano, cresciuto alla scuola di Ermanno Olmi, autore anche di Il giorno del falco presentato a Venezia nel 2004 e di La donna e il drago (2010) le drammatiche ore di una donna che deve entrare in carcere a scontare un residuo di pena e decidere amaramente se portare con sé la figlia di due anni.

«Quando sono entrato in quella struttura, racconta, con quattro o cinque associazioni che lavoravano su progetti di impostazione basagliana, su come ottimizzare i territori, sono stato accolto in questo quartiere e abbiamo dato vita a tre laboratori, uno di musica, uno sulle strutture civiche e religiose a San Giusto per tirare fuori il quartiere da se stesso – San Giusto è un avamposto ai confini del mondo – e uno di recitazione. Con questi laboratori abbiamo animato il quartiere. Abbiamo ribaltato nel film il concetto negativo di casermone: qui è un luogo protetto dove il ragazzino protagonista può muoversi senza pericoli, un luogo che può contenere l’energia sviluppata dalla storia.».

Voci nel buio che ha ricevuto la menzione d’onore della giuria al festival di Murcia (vinto da Kiarostami), il 5 maggio sarà a Los Angeles al South East European Festival, unico film italiano, in un cartellone di film documentari e antropologici «non di regime» ci tiene a sottolineare. Bisatti è assai orgoglioso della scelta delle sue maestranze, a cominciare dalla musica di un celebre percussionista argentino, Fabián Pérez Tedesco, che dall’87 si è trasferito in Europa, delle strepitose immagini del direttore della fotografia Radovan Cok «dal rigore tarkoskiano». E i bravi attori dei suoi film che non passano senza lasciare tracce: della Donna e il drago ricordiamo la tensione tanto più drammatica in quanto racconto composto e senza enfasi esteriore.

«Questo è un dramma sociale, dice, il protagonista ha quattordici anni e non vede da quando ne aveva quattro. È la storia di una famiglia che vive a Trieste, il padre professore universitario, aiutava durante la guerra i profughi che si rifugiavano a Trieste dalla Jugoslavia. Quando il figlio si ammala lui cade in una sorta di atarassia, non fa più nulla, non parla più con nessuno, si chiude in sé e la madre si fa carico di tutto. Il padre rifiuta di vedere, abbandona l’insegnamento, trova un lavoro di notte, consegna i giornali, anche per non vedere più né la famiglia né nessun altro. Finché dal passato arriva l’accusa di Dusan un serbo disertore che lui aveva aiutato, certo che sia responsabile di aver fatto sparire moglie e figlia. A questo punto sarà costretto al «risveglio» e sarà proprio il figlio a dargli una mano. Tutto il disastro della guerra che in altre parti d’Italia non è mai neanche stato avvertito, nel film prende forma come una pesante eredità nei volti macerati dei protagonisti. La rinuncia alla vita, la pesantezza della sopravvivenza si contrappone all’energia del ragazzino che, anche senza vedere, suona il piano, adopera la telecamera, compie arrampicate in palestra, litiga, si innamora e vive, punto centrale ‘non vedente’ in mezzo a una coppia che non è più tale. Con la memoria dei dettagli tutto il quadro si completa e lascia larghi spazi all’interpretazione.

La Pablo di Arcopinto ancora una volta interviene a sostenere un autore indipendente: «A un certo punto abbiamo incontrato Gianluca Arcopinto che ci ha detto: anche se so che non ci crederete, visti i tempi, credo in questo progetto e vi aiuterò. Grazie a lui con la nostra produzione Kineo e un supporto sloveno abbiamo potuto realizzare il film». L’elezione di Debora Serracchiani, aggiunge, fa ben sperare per quanto riguarda i fondi per l’audiovisivo del Friuli Venezia Giulia che serve per aiutare le imprese che sono sul posto (e non solo per le produzioni che vengono da fuori). «Ora, con la Croazia che sta per entrare in Europa Trieste non è più città di frontiera, ma al centro dell’Europa, vicina com’è alla Slovenia e con un dialogo diretto con Belgrado: è una città molto interessante dove si fa ricerca sociale, ci sono gruppi di teatro. Una ‘città dei matti’ in senso nobile. Quando sono venuto ad abitare a Trieste non credevo ai miei occhi, città fatta di diverse comunità, greca, ebraica, serba, dove si intrecciano lingue diverse, città fondamentalmente matriarcale dove c’è una particolare cura per le donne, luogo sicuro per il controllo sociale che c’è. Questo nostro film sperimentale lo portiamo in giro, non lo facciamo languire, ha creato una trasformazione nel pubblico che ora possiamo chiamare ‘comunità provvisoria’, diverso da quello delle multisale, e cvhe va dal diciottenne alla signora di una certa età. E alla fine si discute e la cosa meravigliosa è che ognuno ti racconta il suo film. E poiché il protagonista è cieco, vengono anche i ciechi alle proiezioni. Progetto cinematografico tanto adatto ai non vedenti che è stato anche trasmesso su Raidue.

A Bolzano è stato su per due mesi dal 22 febbraio nel circolo la Comune fondato da un amico di Dario Fo, Sandro Forcato, l’unico dei circoli la Comune rimasti, anche con tre proiezioni al giorno. Un giorno un non vedente ci ha detto che apprezzava molto le scene silenziose, dove non c’era dialogo, come sembra essere invece inevitabile nei prodotti televisivi. E invece in quel silenzio c’è il tempo di immaginare le cose. Per noi è stata una grande soddisfazione». Chiediamo al regista se nella città si sente in qualche modo l’influenza di Basaglia: «dopo questo film abbiamo fatto un progetto dove operava Basaglia, nell’ex ospedale psichiatrico. Qui ci sono spazi che l’azienda sanitaria concede per fare laboratori, per tradizione basagliana. Non solo ci hanno dato una sala, ma anche un piccolo finanziamento. Si tratta di un progetto di videoalfabetizzazione sensoriale, con venti corsisti, tra cui non vedenti e non udenti, ragazzi con problemi scolastici, psichiatri, educatori. E abbiamo chiesto loro di insegnarci il cinema, una bella esperienza di multisensorialità. Abbiamo realizzato un filmato che ci è stato chiesto dalla Rai e ne faremo un convegno». Le prossime proiezioni del film si terranno al teatro sociale di Gemona, alla Cineteca del Friuli (11 maggio), al cinema Sivori di Genova (13 maggio), all’università di Trieste (il 15) dove gli studenti hanno deciso di dedicare un pomeriggio alla discussione del film, il 25 a Padova. Poi Milano, Palestrina, Varese, Bergamo.

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SCHEDA

Voci nel buio

REGIA DI RODOLFO BISATTI, CON FRANÇOIS BRUZZO, LAURA PELLICCIARI, GIUSEPPE COCEVARI. ITALIA 2013 Il film mette a confronto diverse frontiere nella Trieste del quartiere Rozzol-Melara monumentale tributo all’architettura degli anni ’70, dove vive una famiglia composta da Giovanni, bambino non vedente, Cora la madre inquieta, Angelo padre psichiatra in crisi profonda. Sulla loro vita le vicende storiche, la guerra dell’ex Jugoslavia, la malattia del figlio hanno inciso profondamente. Le ripercussioni di tutto questo all’interno della famiglia sono drammatiche e dieci anni dopo la fine della guerra il film con un montaggio alternato e allusivo, racconta la presa di coscienza da parte dei protagonisti di quel disastro personale e la loro volontà di fronteggiarlo.

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