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Tensione alle stelle per la proiezione stampa del film "Sangue" di Pippo Delbono. Giornalisti divisi sulla presenza di un ex brigatista che ha fatto 17 anni di carcere
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LOCARNO. Giovanni Senzani spacca il Festival

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Tensione alle stelle per la proiezione stampa del film “Sangue” di Pippo Delbono. Giornalisti divisi sulla presenza di un ex brigatista che ha fatto 17 anni di carcere

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Tensione alle stelle per la proiezione stampa del film “Sangue” di Pippo Delbono. Giornalisti divisi sulla presenza di un ex brigatista che ha fatto 17 anni di carcere

LOCARNO – Era un clima di tensione, quello che si respirava questa mattina, al termine della proiezione per i giornalisti di “Sangue”. Il film, di Pippo Delbono, vede tra i protagonisti Giovanni Senzani, l’ex terrorista delle Brigate Rosse che ha scontato 17 anni di galera perché coinvolto nell’uccisione dell’operaio italiano Roberto Peci, e nel rapimento del magistrato Giovanni d’Urso e del notabile democristiano Ciro Cirillo.

La pellicola verrà proiettata oggi pomeriggio alle 14.00 al Fevi e sicuramente lascerà il segno. Come quello lasciato sui giornalisti presenti alla proiezione. Qualcuno si è alzato dopo mezzora dall’inizio del film e se n’è andato. Forse indignati, non si sa se per ragioni artistiche o politiche. Altri (pochi in verità) hanno invece applaudito a fine film. Ma il meglio si è consumato fuori dalla sala, quando alcuni giornalisti hanno dato vita a un acceso dibattito sull’opportunità di inserire nel film l’ex terrorista.

“Ha ucciso Roberto Peci – urlava un giornalista – e oggi trascorre la sua vita al mare col nipotino”. Altri riportavano il discorso sul senso del film, che nulla in realtà ha di politico.

La pellicola, che è stata co-prodotta anche dalla Cineteca Svizzera e dalla RSI, era già stata accompagnata da una mare di polemiche. E ulteriori ne sta creando in queste ore. La conferenza stampa, che si è chiusa poco prima di mezzogiorno, non ha contribuito a calmare le acque. I giornalisti hanno protestato per il poco tempo messo loro a disposizione per poter rivolgere domande (le conferenze durano solitamente 30 minuti, e Delbono è arrivato con 10 minuti di ritardo).

Il regista è stato chiaro: a lui non interessava parlare di terrorismo. “Da piccolo giocavo con le bambole, e odiavo le pistole”, ha raccontato con ironia. “Detesto i moralisti, quelli che si indignano perché nel mio film c’è Senzani. L’Italia è un paese che ha paura di conoscere la verità, è un paese basato sulla menzogna, considerata ormai come un fatto accettato”.

E ha poi spiegato: “È un film che racconta la vita e la morte, è un viaggio tra questi due estremi. Il passato di Senzani a me non interessava. È stato lui a volermi a tutti i costi raccontare i fatti. Inizialmente tendevo a spostare sempre il momento del racconto. Trovavo mille scuse. Poi, quando ho visto che lui sentiva l’esigenza di raccontare, ho capito che il mio compito era quello di accendere il cellulare (il documentario è girato in parte con un iPhone e in parte con un mini camera da 300 euro, n.d.r) e iniziare a registrare. Il mio compito è quello di un osservatore femminile che riprende cio’ che stava avvenendo. Il mio ruolo è guardare gli occhi, qualcosa che è più profondo delle parole”.

Parole sincere quelle di Delbono, le cui intenzioni passeranno – ne siamo sicuri – in secondo piano di fronte a una stampa – per lo più italiana – affamata di etica e quant’altro, che sbatterà il mostro – in questo caso Senzani – in prima pagina.

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