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Fitzgerald l’impietoso

Classici moderni. Tra speranze ereditate e delusioni inattese, l’autobiografia dello scrittore americano osteggiata dal suo editor e da Hemingway, che tuttavia non esitò a servirsene. “Good luck and Goodbye” tradotto da Donzelli
Classici moderni. Tra speranze ereditate e delusioni inattese, l’autobiografia dello scrittore americano osteggiata dal suo editor e da Hemingway, che tuttavia non esitò a servirsene. “Good luck and Goodbye” tradotto da Donzelli

Dal 2010, quando, a settant’anni dalla morte dell’autore, le opere di Fran­cis Scott Fitz­ge­rald sono uscite fuori diritti e sono dive­nute pub­bli­ca­bili ad libi­tum da qua­lun­que edi­tore, il cor­pus non vastis­simo della sua pro­du­zione è stato oggetto di un vero e pro­prio sac­cheg­gio. I suoi romanzi (quat­tro in tutto, più l’incompiuto The Last Tycoon), come anche le rac­colte più signi­fi­ca­tive di rac­conti, sono stati pub­bli­cati in diverse edi­zioni; alcune delle nuove tra­du­zioni – pro­fon­da­mente neces­sa­rie, come del resto lo sono state e lo sareb­bero per gli altri mae­stri della nar­ra­tiva ame­ri­cana degli anni venti e trenta, da Stein­beck a Faul­k­ner, da Cald­well all’ancora «intonso» Heming­way – hanno con­sen­tito di ammi­rare la mae­stria sti­li­stica, la ric­chezza di regi­stri, l’ironia tra­gica che, troppo spesso disperse nel pas­sag­gio dall’originale al testo ita­liano, fanno di Fitz­ge­rald un mae­stro, e della sua lin­gua e del suo stile – come ebbe modo di scri­vere T. S. Eliot in una let­tera all’autore, all’indomani della pub­bli­ca­zione de Il Grande Gatsby – «il primo passo avanti che la nar­ra­tiva ame­ri­cana ha com­piuto dai tempi di Henry James».

Man­cano ancora all’appello un’edizione com­pleta e ragio­nata dei rac­conti, che Fitz­ge­rald scri­veva spesso di gran fretta e senza par­ti­co­lare cura, attratto dalla pos­si­bi­lità di incas­sare in tempi rapidi il denaro neces­sa­rio a soste­nere e ali­men­tare il suo leg­gen­da­rio e dispen­dioso stile di vita, e una rac­colta dei saggi e degli scritti auto­bio­gra­fici che affidò ad alcune delle rivi­ste più popo­lari della sua epoca, dal Satur­day Eve­ning Post a Esquire. Men­tre per l’edizione dei rac­conti si dovrà atten­dere ancora (negli Stati Uniti come in Ita­lia), gli scritti «per­so­nali» di Fitz­ge­rald diven­gono ora dispo­ni­bili gra­zie a una ammi­re­vole ini­zia­tiva dell’editore Don­zelli, che ha deciso di seguire alla let­tera l’impostazione della edi­zione Cam­bridge, curata da James L. W. West III.

Il volume, ben tra­dotto da Mau­ri­zio Bar­tocci, si inti­tola Good Luck and Good­bye Le pagine che rac­con­tano la mia vita (pp. 362, euro 23,00), ed è cor­re­dato da un det­ta­glia­tis­simo glos­sa­rio, che con­sente al let­tore di orien­tarsi nei det­ta­gli di un mondo, quello dell’Età del Jazz, tante volte can­tato da Fitz­ge­rald, ma anche degli «espa­triati», tra Parigi e la Riviera fran­cese, che appar­tiene ormai al passato.

Per com­pren­dere quanta impor­tanza Fitz­ge­rald attri­buisse alla sua pro­du­zione sag­gi­stica e auto­bio­gra­fica, è suf­fi­ciente leg­gere la «Nota dell’editore» con cui si apre Good Luck & Good­bye, e che rias­sume e sin­te­tizza fatti noti nei minimi det­ta­gli a chi abbia avuto la ven­tura di leg­gere la bel­lis­sima bio­gra­fia che Andrew Berg ha dedi­cato a Max­well Per­kins, sto­rico edi­tor di Scribner’s e amico per­so­nale, oltre che dello stesso Fitz­ge­rald, di altri mae­stri della nar­ra­tiva ame­ri­cana come Heming­way e Tho­mas Wolfe.

<CW-11>Fu l’autore a pro­porre a Per­kins, già nel mag­gio del 1934, all’indomani della pub­bli­ca­zione di Tenera è la notte, una rac­colta dei suoi scritti auto­bio­gra­fici. Pro­po­sta che fu rei­te­rata nel marzo del 1936, men­tre su Esquire usci­vano i tre arti­coli («Il crollo», «Incol­lare i pezzi» e «Maneg­giare con cura») ribat­tez­zati da Fitz­ge­rald «Tri­lo­gia del fal­li­mento», e ancora il 2 aprile del 1936, con tanto di indice ragio­nato degli arti­coli da inclu­dere, ed even­tuale ordine di pubblicazione.

</CW><CW-8>La rea­zione di Per­kins, già tie­pida nel 1934, fu viep­più nega­tiva nel 1936: è molto pro­ba­bile che la valu­ta­zione dell’editor, più che a dubbi sulla qua­lità let­te­ra­ria del volume, fosse legata alla pre­oc­cu­pa­zione che una rac­colta di saggi così inten­sa­mente per­so­nali disto­gliesse l’attenzione del pub­blico del magi­stero sti­li­stico di Fitz­ge­rald, per con­cen­trarla sugli aspetti più con­tro­versi di un’esistenza vis­suta peren­ne­mente sull’orlo del bara­tro, tra spese folli, derive alco­li­che, crisi fami­gliari, obnu­bi­la­menti crea­tivi. Del resto, già la pub­bli­ca­zione del «Crollo» aveva susci­tato scan­dalo, pro­vo­cando una rea­zione for­te­mente nega­tiva soprat­tutto da parte di Heming­way, che rim­pro­verò all’amico-rivale di aver espo­sto i pro­pri panni spor­chi in pub­blico: salvo poi sfrut­tare egli stesso le pagine di quell’impietoso auto­ri­tratto, dedi­cando al «povero Scott», e alla sua osses­sione per i ric­chi, un cru­dele cameo den­tro il suo grande rac­conto afri­cano «Le nevi del Kilimangiaro».

</CW>Lette oggi, alla giu­sta distanza dalle pole­mi­che, le riva­lità e gli attac­chi gra­tuiti nei quali si con­sumò in via defi­ni­tiva il rap­porto tra due mae­stri del romanzo ame­ri­cano, le tre parti della «Tri­lo­gia del fal­li­mento» appa­iono un pic­colo capo­la­voro di pene­tra­zione psi­co­lo­gica: un auto­ri­tratto impie­toso e privo di com­pia­ci­menti, nel quale Fitz­ge­rald accetta di met­tersi a nudo e fa di se stesso e dei pro­pri ripe­tuti passi falsi l’epitome di un paese e di una gene­ra­zione che, come egli afferma in uno degli ultimi saggi di que­sta rac­colta, essendo «pre­bel­lica e post­bel­lica allo stesso tempo», si tro­vava ad aver ere­di­tato due mondi: «quello della spe­ranza, nel quale era­vamo stati gene­rati, e quello della delu­sione, che ave­vamo ben pre­sto sco­perto per conto nostro».

La coe­si­stenza con­trad­dit­to­ria tra spe­ranza e delu­sione, roman­ti­ci­smo e cini­smo, sogno e disper­sione di sé, rap­pre­senta la costante che acco­muna tutti gli arti­coli rac­colti in Good Luck & Good­bye, e ne spiega la straor­di­na­ria mobi­lità e ric­chezza di tona­lità e regi­stri. Si alter­nano, con un effetto di com­ples­sità e armo­nia al con­tempo, pagine di feroce pene­tra­zione e sot­ti­gliezza e altre irre­si­sti­bil­mente comi­che nell’esaminare gli eccessi e le illu­sioni di una gene­ra­zione che sem­bra tro­vare nella fami­glia Fitz­ge­rald il suo ideale punto di sin­tesi. Pro­prio per­ché impie­toso prima di tutto con se stesso, lo scrittore-saggista può rivol­gere le pro­prie armi acu­mi­nate anche verso il mondo che lo cir­conda; rac­con­tare le sma­nie di suc­cesso e le ambi­zioni dei nuovi ric­chi tra­scor­rendo nel giro di poche righe dalla fasci­na­zione alla cri­tica al ribrezzo, e senza mai per­dere un’oncia di cre­di­bi­lità; ridere di sé e della pro­pria vita e ripen­sarla con la nostal­gia di chi ha molto sognato, e molto per­duto. È dif­fi­cile tro­vare in qua­lun­que altro libro sui rug­genti anni venti una simile capa­cità di com­pren­sione e di ana­lisi che, nel caso di Fit­ge­rald e per quanto para­dos­sale possa appa­rire, è resa ancor più intensa dal fatto di essere stato parte inte­grante di quel mondo, suo cori­feo e cantore.

Pur nella loro varietà, i saggi di Good Luck & Good­bye man­ten­gono un livello qua­li­ta­tivo quasi sem­pre altis­simo. Cia­scuno potrà rin­trac­ciare all’interno del volume la pro­pria vena pre­fe­rita, e optare, oltre che per la tri­lo­gia del fal­li­mento (che a distanza di anni rimane una tappa irri­nun­cia­bile per «capire Fitz­ge­rald»), di volta in volta per le esi­la­ranti pagine dedi­cate alla dif­fi­coltà di essere ric­chi («Come vivere con 36.000 dol­lari all’anno» e «Come vivere pra­ti­ca­mente con niente»); per le magni­fi­che auto­bio­gra­fie «in pil­lole», rico­struite a par­tire dai cock­tail ingur­gi­tati, gli alber­ghi fre­quen­tati o i beni accu­mu­lati nel corso degli anni e offerti all’incanto (rispet­ti­va­mente, «Una breve auto­bio­gra­fia», «Accom­pa­gna il signore e la signora F. al numero…» e «All’asta – Modello 1934»); per i saggi nei quali si fa luce, con grande acume, sulla scena let­te­ra­ria e cul­tu­rale con­tem­po­ra­nea («Come spre­care mate­riale», «Una nota sulla mia gene­ra­zione» e «Ring», tra gli altri).

Ma nes­suno potrà fare a meno di sof­fer­marsi, incan­tato, sulle rie­vo­ca­zioni nostal­gi­che di New York («La mia città per­duta») e dei pro­pri esordi di scrit­tore e di uomo, che in «Primi suc­cessi», magni­fico scritto del 1937, rag­giun­gono i toni pro­fon­da­mente com­mo­venti di chi, guar­dando a ritroso «nella mente di un gio­vane che aveva per­corso le strade di New York con le suole di car­tone», rie­voca il periodo troppo breve «nel quale io e lui era­vamo una per­sona sola, quando il futuro appa­gato e il pas­sato malin­co­nico si fon­de­vano in un unico mera­vi­glioso momento – quando la vita era let­te­ral­mente un sogno».

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