I compagni che sbagliavano

 È fondamentalmente il racconto di una grande passione. Oltre che di un’estrema Resistenza. La descrizione dettagliata di un mondo, di una comunità umana e politica: quella di quei comunisti, ex partigiani, che scesi dalle montagne inseguivano il mito della rivoluzione.

 È fondamentalmente il racconto di una grande passione. Oltre che di un’estrema Resistenza. La descrizione dettagliata di un mondo, di una comunità umana e politica: quella di quei comunisti, ex partigiani, che scesi dalle montagne inseguivano il mito della rivoluzione.

E allo stesso tempo, di fronte alle macerie della guerra, davano prova, lì dove governavano, di grande capacità e coraggio nella ricostruzione del Paese, attraverso cooperative e piani regolatori. Ma è anche la metafora di una certa sinistra in bilico tra purezza e radicalità dell’ideale e concreta pratica dell’amministrazione. Stordita nello scoprire di volta in volta alleati o quasi, quelli che, nel clima della Guerra fredda, dovevano essere, e dal loro punto di vista di militanti erano, i nemici dichiarati.
Il Rivoluzionario (edito dalla editrice Frassinelli, pagine 468, e 18,50) — il bel libro di Valerio Varesi, giornalista e scrittore, autore dei racconti del commissario Soneri dai quali è stata tratta anche un serie televisiva di successo — è ambientato a Bologna, il granaio del Partito comunista italiano, città dove la doppiezza togliattiana trovò una sua pratica tangibile.
Siamo nel 1945, le vittime del nazifascismo vogliono giustizia, reclamano, qui come altrove, la cacciata dei rappresentanti del vecchio regime dalle istituzioni: «Questi ci fottono un’altra volta». Si spara, ancora, nelle terre d’Emilia. Dove, com’è noto, nella furia della vendetta cadono anche vittime innocenti.
Il partito, che pure aiuta i «compagni che sbagliano» nascondendoli oltre confine, invita alla prudenza. Alla pazienza. Mentre la piazza ribolle e si consumano violenti scontri con la polizia. Il sindaco Dozza, da Palazzo d’Accursio, media e punta tutto sulla ricostruzione: i nuovi quartieri, la Fiera, la tangenziale.
Il compagno Oscar Montuschi, ex combattente partigiano, non ci sta: vede via via più sfuocato l’ideale della Liberazione. Non gli basta più il lavoro nelle cooperative, che anno dopo anno si ispirano più marcatamente (anche) a criteri di mercato.
Non comprende il dialogo con i cattolici. La ricerca di una pratica di governo. La sua piccola storia, dalla carriera nella «Federazione più potente del comunismo occidentale», alla scuola di partito a Mosca e all’impegno diretto con i movimenti rivoluzionari, si intreccia con quella dell’Italia, attraverso il terrorismo di destra e di sinistra, la strategia della tensione e il movimento studentesco, fino alla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Il racconto procede avvincente, ma nella testa di Oscar Montuschi non c’è mai spazio per un dubbio: o il Rosso o il Nero. Eppure nei titoli di coda, quando i compagni di un tempo, orfani di tutto, si ritrovano a lavorare con i preti di strada, gli ideali di solidarietà e uguaglianza resistono ancora.

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