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Rivolte, pestaggi e atti di autolesionismo. “I centri per l’espulsione degli extracomunitari sono polveriere”

 La gabbia per farsi la barba e altri orrori “In quei lager ogni diritto è sospeso”
 La gabbia per farsi la barba e altri orrori “In quei lager ogni diritto è sospeso”

ROMA — «I Cie sono delle polveriere pronte a esplodere». A parlare è un funzionario di polizia che lavora come «guardiano in un lager per migranti ». È il buco nero dei centri d’espulsione: rivolte, atti di autolesionismo, pestaggi, fughe. «Indipendentemente dagli enti gestori – sostiene Alberto Barbieri, coordinatore di Medici per i diritti umani – i Cie sono incapaci di garantire il rispetto dei diritti fondamentali e inutili nel contrasto all’immigrazione irregolare».
LA GABBIA DI LAMEZIA TERME
Nel maggio di quest’anno un team di Medici per i diritti umani (Medu) ha pubblicato un rapporto sui centri in Italia. «Nel Cie di Lamezia Terme – raccontano – l’ente gestore ha messo una gabbia nel cortile dove i trattenuti vengono costretti a entrare per potersi radere, alla vista delle forze dell’ordine, e questo per evitare atti di autolesionismo». E ancora: nel Cie di via Corelli a Milano «la situazione di costante tensione ha portato a numerosi episodi di rivolta che hanno reso inutilizzabili quattro dei cinque settori della struttura. Critica è l’assenza, da circa un anno, di ogni servizio di assistenza psicologica e sociale».
GLI IMPICCATI DI TORINO
Dal recente rapporto della commissione diritti umani del Senato a quello del commissario europeo Thomas Hammarberg, i Cie sono da anni al centro delle polemiche. «Ho appena parlato con un ragazzo che minaccia di impiccarsi, ho cercato di tranquillizzarlo. Due giorni fa si è impiccato un altro, adesso mi hanno detto che si è salvato». A parlare è suor Anna (il nome è di fantasia), volontaria al Cie di Torino. «C’è una ragazza da venti giorni in isolamento – prosegue – ha dei problemi psichiatrici e quindi la tengono lì. E gli scioperi della fame sono continui».
LE RIVOLTE IN FRIULI
«Il Cie di Gradisca – racconta Gabriella Guido, portavoce della campagna nazionale “Lasciatecientare”, che chiede la chiusura dei centri e la revisione della Bossi-Fini – è stato a lungo un territorio di nessuno, privo di controlli esterni. Ricordo che c’è ancora un ragazzo in coma, dopo essere caduto ad agosto dal tetto della struttura durante una protesta. Stando alle testimonianze dei suoi compagni, era imbottito di psicofarmaci».
I SETTE CIE FANTASMA
Stando all’analisi dei Medici per i diritti umani, «attualmente solo sei dei tredici Cie italiani sono effettivamente funzionanti». I Cie di Trapani (Serraino Vulpitta) e quello di Brindisi non funzionano da oltre un anno. Il centro di Lamezia Terme è stato chiuso nel novembre 2012. I Cie dell’Emilia Romagna sono stati chiusi a febbraio (Bologna) e ad agosto (Modena) per lavori di ristrutturazione, dopo che le prefetture avevano revocato gli appalti al ribasso. Il Cie di Crotone è stato chiuso al principio di agosto dopo la morte di un giovane migrante e la successiva rivolta dei trattenuti. Il centro di Gradisca d’Isonzo è stato svuotato a inizio novembre dopo mesi di proteste.
AGENTI IN PRIMA LINEA
Durante l’indagine svolta da Medu, le condizioni di lavoro degli operatori degli enti gestori (per lo più privati) e degli agenti sono apparse critiche, per la difficoltà a gestire quelle che un funzionario di polizia ha definito «polveriere pronte a esplodere». L’introduzione dei bandi di gara al ribasso (fino al 30% in meno) sembra aver avuto l’effetto di un detonatore: dal 2012 il governo ha infatti adottato come unico criterio per la gestione dei centri, quello dell’offerta economica minima.
IL FLOP DELLE ESPULSIONI
Lo scopo dichiarato dei Cie è quello di rimpatriare gli irregolari. Ebbene, nel corso del 2012 solo la metà dei circa 8mila trattenuti nei centri è stata espulsa: in sostanza l’1% dei 326mila irregolari stimati dall’Ismu al primo gennaio 2012. Scarsi risultati a fronte di alti costi, se si pensa che per tutti i centri per immigrati, l’Italia spende oltre un milione 800mila euro al giorno. «Il prolungamento dei tempi massimi di trattenimento da 60 a 180 giorni (che risale al 2009) e successivamente a diciotto mesi (dal 2011) denunciano i medici che hanno visitato i centri – non ha avuto alcun effetto in termini di efficacia nei rimpatri».

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