Sognatori e anti-imperialisti: i leader di un’altra Africa

Idealisti, combattenti, sognatori di un’Africa unita e libera dal dominio coloniale, anti-imperialisti, radicali o moderati e perfino poeti. Molte le grandi figure politiche che hanno accompagnato in altri Paesi del continente africano, le lotte di Nelson Mandela in Sud Africa. Come Madiba, molti di loro rappresentano ormai un simbolo e sono stati arruolati dalla storia come icone.

Idealisti, combattenti, sognatori di un’Africa unita e libera dal dominio coloniale, anti-imperialisti, radicali o moderati e perfino poeti. Molte le grandi figure politiche che hanno accompagnato in altri Paesi del continente africano, le lotte di Nelson Mandela in Sud Africa. Come Madiba, molti di loro rappresentano ormai un simbolo e sono stati arruolati dalla storia come icone.

Anche se non sempre gli ideali per cui hanno lottato sono riusciti a compiersi pienamente.
UNA FIGURA GRANDE al tempo stesso controversa è quella di Jomo Kenyatta, padre fondatore del moderno Kenya, nato all’epoca del dominio coloniale, quando il suo Paese si chiamava ancora British East Africa. Intellettuale e giornalista a Londra, prima e dopo la seconda guerra mondiale, dove entra anche in contatto con diversi movimenti di lotta al colonialismo, Kenyatta fa ritorno a Nairobi nel 1947 per diventare leader del movimento indipendentista Kenian African Union, che verrà messo fuori legge pochi anni dopo all’epoca della rivolta dei Mau Mau. Considerato dai britannici un sovversivo vicino alla rivolta, Kenyatta viene arrestato e sconterà quasi sette anni di prigione fatti di isolamento e lavori forzati. Ma come è accaduto per Nelson Mandela – figura a cui però il moderato e atratti autocratico leader keniota non può essere veramente accostato l’esperienza del carcere lo rafforza politicamente. Dopo quasi un decennio di lotte dei kenyoti, la Gran Bretagna cede il passo. Il leader combattente diventa primo ministro nel 1963 (quando temporaneamente la regina Elisabetta mantiene il titolo di Queen of Kenya) e poi primo presidente del Kenya repubblicano dal 12 dicembre 1964 alla sua morte, avvenuta quattordici anni dopo. Oggi il Kenya è probabilmente una nazione moderna e relativamente ricca anche grazie a lui. Tra luci ed ombre, però, di un liberatore che non mancava di tratti autoritari, che non ha risolto i molti conflitti etnici che agitano il Paese ed ha però lasciato dopo di sé una dinastia: suo figlio Uhuru è infatti il quarto e attuale presidente del Kenya. Il panafricanismo che Kenyatta aveva inoculato da giovane vede in Kwame Nkrumah, leader dell’indipendentismo ghanese, il principale ideologo. Nkrumah però non voleva la “rivoluzione” anti-coloniale in un solo Paese, dato che, come ripeteva spesso, “l’indipendenza del Ghana non avrebbe senso se non insieme alla liberazione di tutta l’Africa”. Prima tra le colonie subsahariane a rendersi indipendente dall’impero britannico nel 1957, l’ex Costa d’Oro francese sperimenta sotto Nkrumah la ricetta del socialismo africano, condita con il classico ingrediente del dirigismo statale in economia. Il leader ghanese chiama per primo a raccolta ad Accra nel 1958 le nazioni del continente in piena fase di decolonizzazione perseguendo così il suo programma di un’Africa in lotta contro il colonialismo – per lui, evidentemente, l’ultima fase del capitalismo. La sua avventura politica svanisce però presto: un colpo di stato nel 1966 lo costringe all’esilio, fino alla morte avvenuta sei anni dopo nella cupa Romania di Ceaucescu. Nonostante le accuse di autoritarismo e scarso rispetto degli standard democratici, è la britannica BBC nel 1999 a rivelare i risultati di un sondaggio tra gli ascoltatori del servizio radio dedicato all’Africa. Nkrumah è votato “uomo del millennio”, simbolo di libertà in quanto leader del primo Paese africano ad emanciparsi dal colonialismo bianco.
Grande combattente pacifista è stato Julius Kambarage Nyerere che può essere considerato il fondatore della Tanzania moderna e indipendente. Insegnante prima di diventare politico – tanto da essere ricordato con il nome di Mwalimu, ovvero maestro nella lingua locale –, dal 1952 studia storia ed economia all’università di Edimburgo. Proprio in Scozia entra in contatto con il pensiero socialista dei Fabiani. La sua versione umanitaria e dialogante di socialismo sarà applicata all’emancipazione africana, che per Neyerere significherà sì panafricanismo ma in versione di non allineamento internazionale piuttosto lontana da quella sperimentata in Ghana da Nkrumah, ricca invece di assonanze con il sudafricano African National Congress. Presidente dal ’64 all”85, Nyerere muore di leucemia in un ospedale di Londra nel ’99. Fervente cattolico considerato da tutti una figura politica caratterizzata dalla grande onestà personale, il presidente della Tanzania potrebbe diventare anche santo un giorno, dato che dal 2005 è aperta la causa di beatificazione.
EROICA E TRAGICA la figura dell’eroe congolese Patrice Lumumba, a cui è toccata la beffa di essere presidente per meno di un anno. Quando il Belgio concede un’indipendenza di facciata al Congo nel giugno 1960, l’allora 35enne leader anti-coloniale gioca fino in fondo la sua partita cominciando dall’esercito, che Lumumba vuole composto di africani. Pochi mesi dopo, grazie alle trame del Belgio che aveva fatto il possibile per indebolire il leader rivoluzionario, sarà un giovane militare di nome Mobutu a estromettere l’eroe dell’indipendenza. Un colpo di stato, quello del dittatore, che lo manterrà al potere fino al ’97. Mentre Lumumba finirà giustiziato, e il suo corpo sciolto nell’acido, all’alba del 1961.
Altro simbolo del panafricanismo è Thomas Sankara, primo presidente del piccolo Burkina Faso negli anni ’80. Un po’ come Nyerere e Lumumba e forse perfino più di loro, Sankara è stato un rivoluzionario amato e carismatico, che si è guadagnato il rispetto del popolo per la sua personale onestà e umiltà, e per il suo impegno ideale costante per il progresso materiali dei popoli africani. Diversamente dai precedenti, però, Sankara era prima un guerrigliero che un politico, tanto da meritarsi il soprannome di “Che Guevara africano”. Con il Che condivide sicuramente un tempo molto breve passato al governo. Nel 1987, dopo circa 3 anni al potere, Sankara viene deposto e assassinato dal suo braccio destro, Blaise Compaoré. Allora il colpo di stato andò a buon fine grazie al sostegno di francesi e americani. E Compaoré governa ancora oggi il piccolo e travagliato Burkina.
PRIMO LEADER DEL Senegal post-coloniale, Léopold Sédar Senghor è una figura di politico decisamente singolare. Presidente in carica dal 1960 al 1980, già deputato all’Assemblea nazionale francese dal 1946, Senghor ha letteralmente scritto in poesia il proprio programma politico, fatto di socialismo, umanismo e emancipazione dei popoli africani attraverso la presa di coscienza della loro negritudine Con questo nome, infatti, Senghor aveva battezato il movimento letterario che lui, con altri, aveva contribuito a creare. “Négritude”, scrive in francese il leader poeta, “è la coscienza di esser nero…è innanzitutto una negazione: il rifiuto di assimilarsi e di perdersi nell’altro”. Ovvero il cuore di quell’identità irriducibile all’imperialismo occidentale per cui tanti in tutta l’Africa hanno lottato.

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