Alfabeto e ricordi, la stanza di Franca

 Desaparecida a 18 anni. «Voleva fare la maestra, finì su un volo della morte»
 Desaparecida a 18 anni. «Voleva fare la maestra, finì su un volo della morte»

BUENOS AIRES — Al muro ci sono, uno di seguito all’altro, Alberi, Bambini, un Cavallo. Fino ad arrivare a due Zebre: una adulta e un cucciolo. Un alfabeto grande quanto una parete, dipinto oltre cinquant’anni fa in una cameretta di Buenos Aires da due giovani genitori in attesa di una bambina. La prima, e l’unica. «Mi avete condannato a studiare già prima di nascere» dirà quella bambina diventata ragazza, una pagella piena di dieci al Colegio Nacional, la scuola superiore dove si sono formati numerosi politici argentini. Solo un giudizio negativo, alla voce condotta: «mala» (cattiva). «Perché fin dal primo ginnasio mia figlia era rappresentante degli studenti» spiega la madre, Vera Vigevani Jarach, protagonista della web serie del Corriere della Sera , «Il rumore della memoria».
Entriamo con lei nella cameretta colorata, piena di quadri e fotografie. Una, grande, ritrae una ragazza «sorridente ma pensativa (pensierosa)». «Lei è mia figlia, sempre presente. Si chiama Franca. Si chiama, non si chiamava», precisa Vera.
Franca, detenuta desaparecida vittima della dittatura di Jorge Rafael Videla, è stata uccisa a 18 anni, poco dopo che il suo secondo fidanzato («come sono contenta che ne abbia avuti due!», dice la madre) le scattasse quella foto. Sequestrata il 25 giugno 1976, rinchiusa alla Esma, la scuola ufficiali della Marina usata come centro di prigionia clandestina, caricata meno di un mese dopo su un «volo della morte», drogata e gettata viva nel Río de la Plata. Il corpo disperso e nessuna tomba, come per i trentamila che scomparvero durante il regime militare, dal 1976 al 1983.
«Credo che l’abbiano presa perché era potenzialmente una leader» ipotizza la madre. «L’anno prima che la portassero via — racconta — il preside del Colegio era stato minacciato di essere rimosso e Franca fu tra gli organizzatori di un’occupazione per difenderlo. All’arrivo del nuovo dirigente venne espulsa. Offesa, anche quando in seguito ci fu la possibilità di rientrare, non volle più tornare in quell’istituto». Spirito indipendente, la figlia di Vera abbracciò la politica tardivamente, aderendo alla sinistra peronista, che poi si oppose alla dittatura: studentessa dell’ultimo anno, si iscrisse alla Unión de Estudiantes Secundarios (Ues); in seguito, quando dopo la maturità conseguita in un’altra scuola di Buenos Aires volle provare il mestiere di grafica, militò nella Juventud Trabajadora Peronista (Jtp).
Vera è stata per quarant’anni giornalista all’Ansa di Buenos Aires, redazione Cultura. La sua casa è piena di libri e di arte. Si respirano sapere, ideali, senso critico. Gli stessi con cui è cresciuta Franca. Come affrontarono, allora, una madre e un padre intellettuali le scelte — rischiose, ma frutto di quell’educazione — della figlia? «Mio marito le parlò, la mise in guardia quando decise di occupare la scuola — ricorda Vera —. Ma lei disse: “Papà, non lo hai fatto anche tu ai tempi dell’università?”. E lui non poté ribattere». «Più volte — continua la madre — le proponemmo di andare per un po’ all’estero, magari in Italia, ma lei rifiutò. Un genitore non vuole mai che un figlio sia in pericolo però poi deve accettare la sua volontà e il fatto che ha degli obiettivi».
Fino al punto che adesso Vera li ha fatti propri e cerca di portarli avanti. «Non si può essere genitore di qualcuno che non c’è più. Ma io sono ancora una madre, una madre di Plaza de Mayo» osserva l’ex giornalista, tra le fondatrici di quel gruppo di donne che lottarono per ritrovare i figli desaparecidos e che lottano, anche oggi, per ottenere giustizia e per non dimenticare.
E proprio in quella stanza — che è ancora così tanto, dopo oltre trent’anni, la cameretta di Franca — Vera ha ricavato il suo studio. «Questo è diventato il posto dove lavoro. E sono ben accompagnata — confida —. Perché sento che mia figlia mi sta vicino. Molte volte ho con lei dei dialoghi interiori. So cosa avrebbe pensato su tante questioni. Anche recenti».
Franca sperimentò per qualche tempo la grafica «ma voleva diventare una maestra — racconta la madre — perché pensava che la base del cambiamento fosse nell’educazione». Vera oggi ha 85 anni e attraversa l’oceano — Argentina-Italia, più volte l’anno — per parlare ai ragazzi delle scuole e testimoniare. Militante, come Franca. Della Memoria.
Alessia Rastelli

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