? La riunione degli ex detenuti dell’Eta a Durango, nei Paesi Baschi © Reuters
Spagna . Con un atto pubblico annunciano la «fine della lotta armata»
«Il nostro impegno nei confronti del nuovo scenario politico è totale». Ad affermarlo ieri, nella cittadina basca di Durango (provincia di Bilbao), è stato José Antonio López Ruiz, noto come Kubati, ex detenuto dell’organizzazione armata Eta.
? La riunione degli ex detenuti dell’Eta a Durango, nei Paesi Baschi © Reuters
Spagna . Con un atto pubblico annunciano la «fine della lotta armata»
«Il nostro impegno nei confronti del nuovo scenario politico è totale». Ad affermarlo ieri, nella cittadina basca di Durango (provincia di Bilbao), è stato José Antonio López Ruiz, noto come Kubati, ex detenuto dell’organizzazione armata Eta.
Una dichiarazione fatta non a titolo individuale, ma a nome del gruppo di ex reclusi recentemente scarcerati dalle prigioni spagnole dopo aver scontato interamente le condanne. In realtà, dopo aver scontato ben più del dovuto, come stabilito lo scorso ottobre dalla Corte europea dei diritti umani in una sentenza che ha obbligato la Spagna a porre in libertà decine di etarras (membri di Eta) a cui era stata ricalcolata (ovviamente al rialzo) la pena molti anni dopo che le condanne a loro carico erano già state emesse in via definitiva dai tribunali.
Di fronte a numerosi giornalisti, in un atto pubblico caricato di una certa solennità, gli ex detenuti si sono resi protagonisti di un gesto di grande importanza: accettare apertamente il «nuovo scenario politico», e cioè la fine della lotta armata da parte dell’organizzazione terrorista e la scelta a favore di vie legali e non-violente da parte dell’ex braccio politico dell’Eta, la izquierda abertzale. Oltre a ciò è venuto anche il riconoscimento, per la prima volta, di «avere causato sofferenza». Una mossa attesa, dopo che la scorsa settimana a fare lo stesso passo era stato il collettivo dei circa 500 detenuti che tutt’ora scontano le loro pene. Una presa di posizione, quella degli etarras in carcere, di enorme rilievo, perché ha dimostrato che una parte fondamentale dell’organizzazione armata non metterà i bastoni fra le ruote al processo di pacificazione in corso.
La paura dei settori impegnati nel dare linfa al «nuovo scenario politico», apertosi nell’ottobre 2011 con la dichiarazione di «cessazione delle attività» da parte dell’Eta, è sempre stata, infatti, che dal collettivo dei detenuti venissero opposte resistenze tali da compromettere gli sforzi per chiudere una pagina dolorosa della storia di Euskadi e della Spagna. Resistenze che avrebbero rischiato di offrire pretesti utili al governo conservatore del premier Mariano Rajoy per continuare a restare completamente immobile, limitandosi solo a ripetere il mantra: «L’Eta si deve sciogliere». In questo modo, invece, gli etarras in carcere tolgono alibi all’esecutivo del Partido popular (Pp), che ora non potrà più giustificare l’inazione che su questo tema lo contraddistingue — mentre è attivissimo a smantellare i diritti civili e sociali.
Un aspetto sul quale il processo di pace rischia di incagliarsi è proprio il destino dei detenuti, molti dei quali devono scontare ancora lunghe condanne. La izquierda abertzale, insieme ai settori più moderati del nazionalismo basco e ad esponenti del Partito socialista (Psoe), chiede che finisca la cosiddetta «dispersione penitenziaria», e cioè che i membri dell’Eta in carcere vengano trasferiti in istituti di pena dei Paesi baschi. Attualmente, infatti, la gran parte è reclusa in prigioni molto lontane, rendendo molto difficile le visite dei familiari. Il riavvicinamento a casa potrebbe essere il primo passo di un possibile graduale reinserimento sociale, da attuarsi in un’ottica di elaborazione condivisa del passato traumatico sul modello di altri conflitti di simile natura.
Nonostante le novità di questi giorni, dalle reazioni del Pp non si intravedono novità. Dopo il comunicato dei detenuti era stato il ministro degli interni, Jorge Fernández Díaz, a dire che non cambiava nulla, mentre ieri sono stati esponenti di rango inferiore a tacciare l’iniziativa degli ex reclusi come «un’offesa alle vittime» da parte di persone che «continuano ad essere semplicemente dei terroristi». Per il Psoe, invece, la scelta compiute dai detenuti «rappresenta un passo importante», anche se nei confronti dell’iniziativa pubblica di ieri i socialisti avevano espresso delle riserve. Che si tratti di «un evento impensabile fino a poco tempo fa» è sicuro il giornalista Luis Aizpeolea, storica firma del quotidiano liberal-progressista El País e profondo conoscitore delle cose basche. In un commento pubblicato sull’edizione online del principale giornale spagnolo, Aizpeolea sottolinea che con il comunicato degli ex detenuti ieri si è compiuto definitivamente ciò che da sempre veniva chiesto all’Eta: «che facessero le loro rivendicazioni indipendentiste con gli strumenti della politica e non con il terrorismo».
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