? Nan Goldin, «Misty and Jimmy Paulette in a taxi, NYC», 1991

Intervista. Parla Lorenzo Bernini, autore di «Apocalissi queer». Nel libro si affronta l'universo omosessuale indagando fra le pieghe del suo bisogno di normalizzazione
">

Il perturbante sessuale

? Nan Goldin, «Misty and Jimmy Paulette in a taxi, NYC», 1991

Intervista. Parla Lorenzo Bernini, autore di «Apocalissi queer». Nel libro si affronta l’universo omosessuale indagando fra le pieghe del suo bisogno di normalizzazione

? Nan Goldin, «Misty and Jimmy Paulette in a taxi, NYC», 1991

Intervista. Parla Lorenzo Bernini, autore di «Apocalissi queer». Nel libro si affronta l’universo omosessuale indagando fra le pieghe del suo bisogno di normalizzazione

Ricor­date quando avviene il primo attacco di massa degli Uccelli di Hit­ch­cock? Durante la festa per gli 11 anni di Cathy Bren­ner. Obiet­tivo: i bam­bini. Dun­que i corpi desti­nati al futuro, il frutto della gene­ra­zione, la ripro­du­zione sociale. Bogeda Bay è la festa del queer nero. Fugge scon­volta, nella scena finale e in deca­pot­ta­bile spor­tiva, una fami­glia per­bene, in dive­nire ma già model­lata: Mitch Bren­ner, l’avvocato sca­polo (e non pro­prio macho), l’avvenente e sedut­tiva Mela­nie Daniels, la pic­cola Cathy. Fug­gono, men­tre corvi e gab­biani in massa li osser­vano, lascian­doci intuire che non se ne andranno facil­mente. La cata­strofe è solo all’inizio.

La scena è una delle Apo­ca­lissi queer citate da Lorenzo Ber­nini nell’omonimo volume appena uscito per Ets (pp. 235, euro 22). Ricer­ca­tore di filo­so­fia poli­tica all’Università di Verona, coor­dina con Adriana Cava­rero il cen­tro di ricer­che Poli­tesse, su poli­ti­che e teo­rie della sessualità.

Qua­lun­que cosa pos­sano evo­carci gli Uccelli di Hit­ch­cock o gli zom­bie gay di Bruce LaBruce, per­mane comun­que un di più di per­tur­bante, di ruvido, di deso­lante per il nostro oriz­zonte iden­ti­ta­rio. Echi di un ter­re­moto dell’ordine costi­tuito, espli­cite nar­ra­zioni anti-sociali, squa­der­na­menti di un maschile che resta un grumo di tabù, rove­scia­menti del per­be­ni­smo omo­ses­suale: le rifles­sioni di Leo Ber­sani e Lee Edel­man (che discu­tono con Freud, Lacan e Laplan­che, Proust, Gide e Genet, Guy Hoc­quen­ghem e Mario Mieli) appro­dano in Ita­lia annun­ciando molto rumore.

Nel paese dei para­dossi, fana­lino di coda nel campo dei diritti civili, si assi­ste negli ultimi anni a un gran ribol­lire di studi queer, per di più con un ritardo ven­ten­nale. Un vivaio di ricer­che e pub­bli­ca­zioni che dà fiato ad un intero filone anti-identitario e nel men­tre gay e lesbi­che rimar­cano il loro sta­tus di con­su­ma­tori per­bene, cor­rono a spo­sarsi, issano i loro figli come ban­diere e san­tini. In altre parole, deli­mi­tano nuovi peri­me­tri di rispet­ta­bi­lità e di inclu­sione, nono­stante qual­siasi riven­di­ca­zione fini­sca sedata nell’arena politica.

Del queer c’è chi tenta di estrarre l’ennesima escre­scenza iden­ti­ta­ria, da aggiun­gere in con­so­nante «q» all’ormai senile acro­nimo Lgbt. Altri invece evo­cano Judith Butler come ora­colo à la page. Nel libro di Ber­nini, invece, ci si immerge nei cuni­coli più recon­diti del queer, alla ricerca delle tracce più spa­ven­te­voli e rivol­tose della fisio­lo­gia iden­ti­ta­ria. «Né Ber­sani né Edel­man con­te­stano la neces­sità di lot­tare per i diritti delle mino­ranze ses­suali – sot­to­li­nea l’autore – Ma avver­tono che la sfera di cit­ta­di­nanza, più che uni­ver­sale, si è fatta uni­ver­sal­mente omologante».

Cosa con­te­stano dun­que que­sti pen­sa­tori antisociali?

Con­te­stano chi agita la reto­rica del fami­li­smo gay, chi riven­dica sol­tanto i «diritti della cop­pia» e fa scom­pa­rire le sin­go­la­rità, chi parla di gay pen­san­doli solo come pos­si­bili padri e mariti. La loro è una cri­tica spie­tata alla omo-normatività, non solo alla etero-normatività, come se que­sta avesse ripro­dotto la prima.

Per far que­sto vanno ad inve­sti­gare i lati più in ombra delle iden­tità «omosessuali»?

Par­tono dal fatto che i gay da sem­pre ven­gono mostri­fi­cati, mar­chiati come anti­so­ciali, in quanto ste­rili per­ché «il loro retto è una tomba» per dirla con Leo Ber­sani, che infatti rilan­cia: il riscatto può pas­sare pro­prio attra­verso l’assunzione di quel mar­chio infame. Non gene­riamo? Certo. C’è chi non vuole gene­rare, non vuole ripro­dursi, non vuole par­te­ci­pare all’adorazione dell’icona sal­vi­fica del bam­bino. D’altra parte, come ha chie­sto Bea­triz Pre­ciado su Libé­ra­tion: «chi difende il bam­bino queer?». Le teo­rie queer anti­so­ciali invi­tano a libe­rarci dall’ossessione del «futu­ri­smo ripro­dut­tivo». E ancora: Hoc­quen­gem riprende la famosa «fase anale» di freu­diana let­te­ra­tura per rivol­tar­gliela con­tro. Coglie gli assiomi della psi­coa­na­lisi per con­fer­marli pro­vo­ca­to­ria­mente dal punto di vista iden­ti­ta­rio. Osanna la «nega­ti­vità ses­suale» dell’omosessuale».

Per­ché, dun­que, Ber­sani e Edel­man cri­ti­cano aper­ta­mente Fou­cault e Butler?

Con­si­de­rano la loro visione ras­si­cu­rante e poli­ti­ca­mente cor­retta. Per loro Fou­cault deses­sua­lizza il discorso sulla ses­sua­lità e tra­sforma il sog­getto ses­suale in un sog­getto «solo» poli­tico, per di più di stampo libe­rale, alla ricerca del pro­prio utile e del pro­prio pia­cere. Butler per­ché deses­sua­lizza il genere nella sua teo­ria performativa.

Ma loro con­te­stano la dina­mica per­for­ma­tiva nella costru­zione identitaria?

No, ma non sono dispo­sti a tacere sul lato per­tur­bante del ses­suale: la «pul­sione» che disturba il sog­getto, che addi­rit­tura ne decreta la morte nella forma di per­dita del con­trollo su se stesso e sul mondo. In que­sto senso, riven­di­cano una visione poli­ti­ca­mente scor­retta del rap­porto anale come pas­si­vità radi­cale e maso­chi­smo, come per­dita di potere e anti­doto alla vio­lenza. Riven­di­cano la nega­ti­vità, la soli­tu­dine e l’anti-socialità del sog­getto omo­ses­suale come sfide alla con­ce­zione libe­rale della soggettività.

Que­sto non signi­fica ripie­garsi nella rinun­cia di tra­sfor­mare il mondo?

Al con­tra­rio, io colgo in que­sto, nono­stante le tante con­trad­di­zioni di cui parlo nel libro, un invito a costruire comu­nità altre, intes­sute di legami effi­meri e potenti, capaci di tra­sfor­mare la realtà qui e ora, senza pen­sare ad un sog­getto col­let­tivo votato al pro­gresso. Il che riprende molto le espe­rienze degli anni ’70 dei movi­menti liber­tari, a comin­ciare dal Fhar in Fran­cia e dal Fuori in Italia.

Inol­tre, que­ste teo­rie anti­so­ciali pos­sono aiu­tare chi si sente schiac­ciato dall’omofobia, invi­tan­dolo a sot­trarsi allo sguardo feroce dell’altro, a riven­di­care la nega­ti­vità di cui gli omo­fobi ci marchiano.

Intanto si risco­pre la fer­ra­menta cul­tu­rale dei clas­sici della psicoanalisi…

Dopo la grande ondata deco­stru­zio­ni­sta, in tutte le disci­pline filo­so­fi­che si assi­ste ad un ritorno all’ontologia, alla ricerca di fon­da­menti. Così nelle cul­ture queer si ritorna alla psi­coa­na­lisi e al mar­xi­smo, anche se il rischio è di farne un uso dog­ma­tico per­ché si fini­sce per uti­liz­zarli sol­tanto come depo­siti di verità sull’umano. Men­tre noi oggi sap­piamo di quanti altri approcci — molto più vitali — siano ric­chi i nostri gia­ci­menti cul­tu­rali, a par­tire dalla filosofia.

Col­pi­sce che que­sti autori siano con­cen­trati sul «maschile». Non è un tor­nare indie­tro rispetto alle rifles­sioni sulle iden­tità queer?

Que­sto può sem­brare un limite, ma è un valore. Negli Stati Uniti si ragiona ora sulla fine del queer e si tenta di per­cor­rere nuovi sen­tieri come gli straor­di­nari «archivi affet­tivi». Ma in Europa e in Ita­lia, a fronte dell’uso mas­sic­cio delle teo­rie queer da parte del lesbo-femminismo, manca una filiera queer sulla maschi­lità e in par­ti­co­lare sulla msa­chi­lità gay. E in que­sto senso Ber­sani ed Edel­man pos­sono esserci molto utili.

Che impatto può avere l’irruzione del pen­siero queer in un paese così arre­trato come l’Italia?

Il queer ha il pro­filo di un signi­fi­cante flut­tuante e può essere decli­nato in tanti modi con­tro l’omofobia e l’omo-normatività. Usato come lente nel nostro oriz­zonte cul­tu­rale e poli­tico potrebbe sor­tire molti effetti. Penso al recu­pero della nostra sto­ria prima dell’avvento degli «omo­ses­suali moderni». La tra­di­zione dei fem­mi­nielli napo­le­tani, ad esem­pio, come resi­duo della tran­ses­sua­lità. Oppure alla radi­ca­lità del pen­siero di Mario Mieli. Penso al con­cetto di «ses­sua­lità medi­ter­ra­nea», ambi­gua, spu­ria e fun­zio­nale, rac­con­tata così bene dai cro­ni­sti del Grand Tour. Insomma: nella peri­fe­ria dell’impero, il queer potrebbe rive­larsi defla­grante per il nostro modo di essere gay.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password