Torino. La «Cavallerizza» teme lo sgombero. L’Assemblea 14:45 intensifica l’offerta culturale per evitare la privatizzazione del bene pubblico
Torino. La «Cavallerizza» teme lo sgombero. L’Assemblea 14:45 intensifica l’offerta culturale per evitare la privatizzazione del bene pubblico
Eppure sul capo dei torinesi che stanno con tenacia riqualificando da sei giorni questo pezzo di Torino pende la voce che tutto il complesso della Cavallerizza avrebbe due compratori, probabilmente londinesi. E se ci sono i compratori, la partita si chiude. In breve tempo uno degli angoli più belli di Torino potrebbe così diventare un luogo privato dove piazzare un albergo, un centro commerciale, tutto dotato di parcheggio interrato. Per questa ragione l’assemblea ha deciso di intensificare l’offerta culturale ed invitare nomi di intellettuali che vogliano esprimersi su quella che, volgarmente, si può definire la vendita di un pezzo città che produce cultura. I nomi, almeno quelli che hanno avuto il coraggio di presentarsi, sono sempre gli stessi. Voci isolate che provengono dagli ambienti universitari come Guido Montanari, la sociologa Elisabetta Forni, o il sempre presente Ugo Mattei.
E quanto la loro presenza e quella di alcuni altri è scontata, tanto lo è l’assenza della vasta intellighenzia torinese di sinistra, in particolare la folta schiera di storici dell’architettura, timorosa nell’esporsi in campi che potrebbero creare qualche imbarazzo all’amministrazione cittadina. Qualcuno passa, un rapido saluto, e poi nulla, il silenzio in attesa degli eventi, che qualcuno si faccia avanti. Ma la professionalità con cui viene portata avanti la difesa della Cavallerizza sta portando ad un vasto ampliamento dell’offerta culturale e al tentativo di confronto verso i vari soggetti della città, anche non direttamente coinvolti. La Cavallerizza, di fatto, sta tentando di diventare un punto di aggregazione e resistenza culturale che sia in grado di attirare presenze da tutta Italia. E se non arrivano gli intellettuali sicuramente stanno giungendo i torinesi e non solo, non più intimoriti dalla propaganda che nel raccontare la situazione non esista a fare un minestrone di nemici pubblici, in primis i totemici «centri sociali».
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