Le moti­va­zioni della sen­tenza di appello che ha assolto tutti i dodici impu­tati, nel pro­cesso per la morte di Ste­fano Cuc­chi, rap­pre­sen­tano una con­ferma di quanto ave­vamo sem­pre soste­nuto e di quanto, con grande dignità, ave­vano segna­lato Ila­ria Cuc­chi e la sua fami­glia. Il pro­blema era nelle indagini.

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Dalla sentenza d’appello una verità: le indagini sulla morte di Stefano Cucchi furono sbagliate

Le moti­va­zioni della sen­tenza di appello che ha assolto tutti i dodici impu­tati, nel pro­cesso per la morte di Ste­fano Cuc­chi, rap­pre­sen­tano una con­ferma di quanto ave­vamo sem­pre soste­nuto e di quanto, con grande dignità, ave­vano segna­lato Ila­ria Cuc­chi e la sua fami­glia. Il pro­blema era nelle indagini.

Le moti­va­zioni della sen­tenza di appello che ha assolto tutti i dodici impu­tati, nel pro­cesso per la morte di Ste­fano Cuc­chi, rap­pre­sen­tano una con­ferma di quanto ave­vamo sem­pre soste­nuto e di quanto, con grande dignità, ave­vano segna­lato Ila­ria Cuc­chi e la sua fami­glia. Il pro­blema era nelle indagini.

 

Quando non si cono­scono gli atti di un pro­ce­di­mento non è cor­retto trarre delle con­clu­sioni cate­go­ri­che ma, gra­zie alle moti­va­zioni della sen­tenza, è pos­si­bile svol­gere alcune con­si­de­ra­zioni di fondo.

La prima: Ste­fano Cuc­chi non è morto per il freddo. Scri­vono i giu­dici di appello: «Le lesioni subite sono neces­sa­ria­mente col­le­gate ad un’azione di per­cosse e comun­que ad un’azione volon­ta­ria», il che come giu­sta­mente ha com­men­tato il Pre­si­dente della Corte d’Appello di Roma Luciano Pan­zani, signi­fica che «qual­cuno lo ha pic­chiato o forse spinto ma non si è pro­cu­rato le lesioni da solo». Quanto pre­cede costi­tui­sce un primo ele­mento di ine­lu­di­bile chia­rezza, che non può essere tra­scu­rato nella ricerca della verità.

La seconda con­si­de­ra­zione: in que­sti pro­cessi non è facile fare emer­gere la verità. Inda­gare sugli appa­rati dello Stato è, tal­volta, com­pli­cato per atteg­gia­menti omer­tosi e per un malin­teso senso di appar­te­nenza a una Isti­tu­zione. Si rifiuta il con­trollo e la cri­tica esterna per il timore di una dele­git­ti­ma­zione della strut­tura alla quale si appar­tiene e per­ché ci si sente dalla parte del bene e della ragione nei con­fronti di chi è deviato e per que­sto non merita rispetto.
La terza: sforzo e ten­sione inve­sti­ga­tivi non sem­pre sono appro­priati e ade­guati per le ragioni indi­cate in precedenza.

La quarta: la dignità delle per­sone e i diritti dei più deboli non sem­pre ven­gono con­si­de­rati quando si è sot­to­po­sti al con­trollo e alla custo­dia della pub­blica auto­rità. Eppure, custo­dire signi­fica sor­ve­gliare e vigi­lare allo scopo di pre­ser­vare l’essere umano nella sua dimen­sione fisica e psi­chica, ciò che uno Stato demo­cra­tico dovrebbe sem­pre essere in grado di garantire.

La quinta: in que­sta vicenda è stata riaf­fer­mata l’importanza e l’imprescindibilità del giu­di­zio di appello, che qual­cuno vor­rebbe eli­mi­nare. Si è assolto chi non aveva respon­sa­bi­lità certe e si è for­nita indi­ca­zione per nuovi spunti di inda­gine. Il dop­pio giu­di­zio di merito riduce la pos­si­bi­lità di errori e con­sente di avvi­ci­narsi mag­gior­mente alla verità.
Un’ultima rifles­sione merita la neces­sità di intro­durre, in tempi brevi, il reato di tor­tura che deve essere però reato pro­prio, ovvero che possa essere com­messo solo dal Pub­blico Uffi­ciale o dall’Incaricato di Pub­blico Ser­vi­zio e che si con­cen­tri su di una con­dotta qua­li­fi­cata dall’esito della infli­zione di una inten­zio­nale sof­fe­renza fisica o morale a chi venga pri­vato della libertà per­so­nale. Tale pro­spet­tiva, lungi dall’intento di col­pe­vo­liz­zare, come taluno ritiene, in modo indi­scri­mi­nato le forze di Poli­zia, ne esal­te­rebbe l’autorevolezza quando ne venga cor­ret­ta­mente eser­ci­tata la funzione.

L’Unione delle Camere Penali Ita­liane è in genere con­tra­ria alla iper­tro­fia legi­sla­tiva e alla crea­zione di nuove norme penali, ma in que­sto caso, il reato di tor­tura rive­le­rebbe la con­sa­pe­vo­lezza da parte dello Stato che certi fatti avven­gono e che non pos­sono essere tol­le­rati.
*Pre­si­dente dell’Unione Camere Penali

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