Memoria. «Ogni altra vita» di Paolo di Stefano per il Saggiatore. Le vicende di un paese attraverso le biografie di chi lo ha attraversato nel Novecento. E di chi lo abita con sofferenza nel presente
Nei suoi libri, Paolo Di Stefano ha sempre rivelato l’attitudine dello storico, oltre a quella del narratore. Basti pensare ai due più recenti: La catastròfa e Giallo d’Avola. La catastròfa era dedicato all’incendio nella miniera di Marcinelle, in Belgio, nell’agosto del 1956, nel quale erano morti quasi trecento minatori, centotrentasei dei quali erano immigrati italiani: il libro raccontava le loro storie, facendo parlare i superstiti, in una lingua a metà fra il dialetto e il francese. Giallo d’Avola era dedicato invece a un fatto più piccolo: la misteriosa scomparsa, nel 1954 ad Avola, in provincia di Siracusa, di un contadino di nome Paolo Gallo. Accusati di omicidio il fratello Salvatore, con la complicità del figlio Sebastiano (anche loro contadini), ne era derivato un caso giudiziario durato fino al 1961, che in questo libro diventa anche la descrizione della Sicilia di allora, una Sicilia lontanissima dal boom che negli stessi anni stava scoppiando altrove, in Italia. Una Sicilia arcaica, tanto nell’economia quanto nelle relazioni sociali e famigliari.
Ora le medesime attitudini sono confermate da Ogni altra vita (il Saggiatore, pp. 260, euro 19). Come i precedenti libri anche Ogni altra vita racconta innanzitutto destini individuali: da quello di Adriano Arrabito, venditore di uova fresche a Scicli nella prima metà del secolo scorso, a quelli di Carlo Corbella, rinchiuso nel 1944 a Villa Triste, a Milano, dove la banda Koch segregava e torturava gli oppositori; o di Antonio Sbirziola, sempre in fuga, dal 1942 al 1961, da Caltanissetta fino all’Australia, in cerca di un lavoro, di una famiglia, di un po’ di benessere; o di Emanuele Scieri, morto nel 1999 a poco più di vent’anni, in caserma a Pisa, durante il Car di leva, una delle tante morti all’interno dei luoghi dello Stato rimaste inspiegate e dunque inspiegabili, irredimibili; o di Monica Trapani, morta giovanissima a sua volta, nel 2001, per mano del suo fidanzato, nel cortile della scuola, a Sesto San Giovanni; o di Veronica, che riesce a trovare il senso di se stessa facendo bungee jumping. Sono storie spesso tragiche, piene di fatica, privazioni. Ma sono anche storie d’amore, di coraggio; tutte commoventi, pur senza la minima concessione al sentimentalismo. Di Stefano racconta fatti con grazia, delicatezza, caratteristiche presenti in tutti i suoi libri. In Ogni altra vita a parlare sono anche i protagonisti, direttamente o tramite i diari che hanno lasciato (depositati presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano), altre volte chi è loro sopravvissuto (come i genitori di Emanuele Scieri).
Ma soprattutto sono storie che attraversano l’intero secolo scorso, le due guerre mondiali, gli anni dell’emigrazione di massa, e poi quelli della rinascita, arrivando alla attualità. Sono dunque storie che raccontano molto più di quel che sembra: in un coro di voci descrivono la trasformazione di un Paese intero, nello scorrere delle generazioni. Ma, come ha d’altronde dichiarato Di Stefano in un’intervista, nella vita dei protagonisti avviene una una frattura fra un prima e un dopo. Nel registrarla, la grazia del racconto rimane immutata. Ma se l’epopea dei destini, per quanto drammatici, sembrava inscritta almeno dentro un futuro di speranza e di libertà da conquistare, in vista del quale quelle fatiche e quelle privazioni venivano affrontate, da un certo momento in avanti ogni speranza sembra invece essere venuta meno, come se le vite fossero precipitate dentro se stesse, svuotate, perse nel solipsismo.
Questa la caratteristica dei destini che Di Stefano traccia, mano a mano che ci avviciniamo al presente: quasi che il futuro avesse cessato di rappresentare una speranza e fosse divenuto piuttosto pura e semplice attesa, come direbbe lo psichiatra Eugenio Borgna (che a questa differenza ha dedicato un libro splendido, L’attesa e la speranza), o peggio ancora una vera e propria minaccia (e non a caso del futuro come minaccia hanno parlato altri due psichiatri, Miguel Benasayag e Gérard Schmit, nel loro L’epoca delle passioni tristi).
Sotto questo profilo Ogni altra vita si differenzia dai due libri che lo hanno preceduto proprio perché contiene, seppur in controluce, un elemento di partecipazione emotiva, che emerge tuttavia ancor più evidente anche da un’altra circostanza: e cioè dal riferimento costante, che a ben vedere costituisce il filo conduttore del libro, alla vicenda personale dello stesso autore, ricostruita pezzo dopo pezzo, di capitolo in capitolo (in apertura di ciascuno). Sono pagine intime, e non solo personali.
Anche Di Stefano è nato ad Avola, anche lui era emigrato (a Lugano, dove ha vissuto a lungo prima di arrivare a Milano, dove ora vive e lavora come inviato di cultura del Corriere della Sera); e raccontando di sé, di suo padre insegnante di liceo, del nonno violento, del fratello morto a cinque anni di leucemia e sepolto in Sicilia è come se volesse dirci: queste storie, che vi ho raccontato, sono anche la mia, anch’io ne sono parte.
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