Parata commemorativa della fine della seconda guerra mondiale. La decisione di non andare da Putin da parte di molti leader europei, non è un invito a celebrare la pace
È stato, ancora una volta, il papa a dire essenziali parole circa il 70° anniversario della fine del conflitto che insanguinò l’Europa e larga parte del globo terracqueo, fra il 1939 e il 1945. Francesco ha ammonito a guardare a quegli eventi per impararne le lezioni, non ripetendo gli errori del passato. Nelle stesse ore, all’incirca, il ministro degli Esteri italiani in visita a Kiev dichiarava che l’Italia sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina, così schierandosi accanto al governo golpista che è al potere da poco più di un anno in quel Paese, dove, sempre nel mese di maggio – lo scorso anno – si consumò uno degli episodi più atroci seguiti al colpo di Stato: la strage di Odessa, i cui autori, essendo al governo, ovviamente non sono mai stati perseguiti.
La grande parata celebrativa che si tiene a Mosca ogni anno il 9 maggio quest’anno non vedrà la presenza di Obama, Merkel, Cameron, Hollande… Giustamente, potremmo aggiungere: sono loro i principali responsabili della condizione endemica di conflittualità internazionale, e, in particolare, coloro che stanno tentando nuovamente di realizzare l’accerchiamento della Russia, la cui potenza evidentemente comincia a impensierire gli Usa e i suoi servi-alleati. Sono loro che hanno favorito prima, sostenuto poi, il golpe ucraino, portando al potere un loro uomo, con il sostegno attivo di gruppi neonazisti. Curiosamente (ma nemmeno troppo) a Mosca andrà Alexis Tsipras, in omaggio al sostegno che la Russia sta dando alla Grecia, mentre l’Unione Europea tenta di strangolarne l’economia, per piegarne le scelte politiche ai dettami del Fmi e sodali; ma la presenza di Tsipras alla parata moscovita sottolinea altresì l’accordo russo alla richiesta dei danni di guerra presentata dal governo greco alla Germania, che non può «dimenticare» quello che Wehrmacht e SS fecero al popolo greco.
L’Europa si presenta, dunque, più frammentata e divisa che mai all’appuntamento dell’8/9 maggio 2015. In un convegno tenutosi a Varsavia pochi giorni fa, precisamente sul tema della Seconda guerra mondiale e le memorie dell’Europa, anche tra gli studiosi partecipanti sono emerse le fratture, che il tempo non può sanare. Le memorie dell’Europa sono e restano divise: e non potrebbe essere diversamente, tanto più in un clima politico che ancora Papa Francesco, inascoltato, aveva già mesi or sono definito come preparatorio a una Terza guerra mondiale. E l’UE non sembra affatto indirizzata a costruire un tessuto politico comune: il 9 maggio per Bruxelles è la festa dell’Europa, con riferimento alla dichiarazione di Schumann del 1950, «casualmente», data della vittoria sovietica contro il nazismo, giorno in cui, come immortalato dalla immagine della bandiera rossa issata sul Reichstag, l’Armata rossa entrò a Berlino, scrivendo la parola fine sulla catastrofica esperienza del Terzo Reich.
Bizzarramente, per la prima volta, il governo della neutralissima Svizzera ha deciso di ricordare l’anniversario della fine della guerra, partecipando a eventuali manifestazioni celebrative.
E anche l’Austria si appresta a celebrare degnamente la ricorrenza, non dimenticando evidentemente che a Vienna sta in bella vista il monumento all’Armata Rossa. Alla principale manifestazione, quella di Mosca del 9 maggio, saranno tuttavia pochi i leader europei, tra i quali il primo ministro slovacco (ma non il presidente della Repubblica, critico di Putin) e il presidente della Repubblica Ceca, e, appunto, il primo ministro ellenico Tsipras. Intanto la Polonia dal canto suo, animata da un diffuso odio antirusso, ha cercato di impedire, contro ogni diritto internazionale, l’ingresso sul proprio territorio, dei motociclisti russi (i «lupi notturni») diretti a Berlino per il 9 maggio, per rendere omaggio ai compatrioti caduti nella guerra contro la croce uncinata.
E il governo ucraino si è spinto molto più in là, decidendo di commemorare e onorare, alla memoria, tanto i caduti contro il nazismo, quanto quelli che combattendo a fianco dell’esercito tedesco, o in esso inquadrati, si erano battuti contro la Russia.
Insomma, la carta d’Europa appare in movimento, e il 70° della fine del più grande, devastante conflitto militare della storia, non si presenta come occasione per celebrare la pace, con un rinnovato impegno a ripudiare la guerra (per riprendere la bella espressione della nostra carta costituzionale), ma piuttosto come una fotografia di una nuova linea di demarcazione, dove gli attori sulla scena fanno le facce feroci, irresponsabilmente, lasciando credere di essere pronti a ricominciare il gioco della guerra, salvo farne ricadere sulla opposta squadra la responsabilità. Esattamente come accaduto nel 1914 e poi nel 1939.
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