La lezione europea ci induce a capire come uscire dalla trappola che svuota di senso storico e politico la sinistra. E ci spinge a costruire una forza politica di governo
C’è vita a sinistra. Una forza unitaria e innovativa nello stile politico e credibile nel proprio programma, non minoritaria né chiusa in sterili pratiche testimoniali. La lezione europea ci induce a capire come uscire dalla trappola che svuota di senso storico e politico la sinistra. E ci spinge a costruire una forza politica di governo
Mai come oggi la situazione — nazionale e internazionale – è stata così gravida di pericoli e in così rapido mutamento. Mai come oggi sentiamo la paura di perdere del tutto il “nostro mondo”. Al tempo stesso, le evidenti contraddizioni aprono straordinarie opportunità di cambiamento, se solo la sinistra sapesse ritrovare il senso del proprio esistere, come ha invitato a fare martedì Norma Rangeri sul manifesto del 28 luglio.
Lo scenario europeo in particolare – dal quale dipendono buona parte dei nostri destini e che non può non costituire il riferimento principale del nostro agire – va rivelando drammatici punti di caduta che mettono in discussione la sopravvivenza dell’idea stessa di Europa. E che comunque rivelano che così com’è essa non può sopravvivere. Che l’Europa o cambia o muore.
L’iniziativa politica coraggiosa del governo greco e del suo popolo ha avuto il grande merito di mostrarlo a tutti, confermando la portata davvero storica dello scontro che si sta svolgendo nello spazio europeo. Il fatto che in questi giorni cruciali la Grecia sia rimasta sola, denuncia tutto il ritardo e l’inadeguatezza della sinistra europea a svolgere il proprio ruolo in questo nuovo spazio politico e sociale.
Il mercantilismo liberista dei Trattati, definiti a misura dell’interesse nazionale tedesco, è insostenibile. Porta l’eurozona al naufragio. E d’altra parte, non possiamo nascondercelo, è debole oggi il consenso, non solo al livello dei governi, per la radicale correzione di rotta necessaria alla sopravvivenza economica e democratica dell’eurozona. L’ostacolo immenso lungo la strada non è solo la debolezza delle leadership politiche ma il deficit, morale e culturale, dei popoli prigionieri dei divergenti interessi nazionali. Dobbiamo con urgenza definire insieme come uscire da una trappola che svuota di senso storico e politico la sinistra.
Non sono, questi, gli unici segnali devastanti che ci arrivano da Bruxelles, Francoforte e Berlino.
Vi si aggiunge l’ostentazione di “disumanità sovrana” mostrata nella questione dei migranti, la vera emergenza umanitaria del nostro tempo affrontata come fastidiosa questione di sicurezza.
La crisi delle culture politiche democratiche tradizionali, a cominciare da quella socialista, travolta dalla subalternità culturale al liberismo delle social-democrazie occidentali, e il simmetrico riemergere di populismi xenofobi e razzisti, non dissimili da quelli che caratterizzarono la catastrofe europea degli anni trenta.
La pratica costante di chiedere ai governi membri – a cominciare dal nostro, e da quelli spagnolo, portoghese e irlandese oltre che, naturalmente, a quello greco — di “far male” ai propri popoli, imponendo loro sacrifici dannosi e particolarmente dolorosi per gli strati più deboli, come prova di fedeltà a un patto mai siglato da quei popoli e divenuto insopportabile economicamente, socialmente e moralmente.
In questo quadro il governo italiano è totalmente subalterno a quella imposizione e a quei dogmi, non solo incapace di modificarne quantomeno gli aspetti più penalizzanti ma, anzi, impegnato a portare a compimento con zelo il mandato ricevuto dall’oligarchia che dirige l’Europa.
Vanno in questa direzione la manomissione del nostro ordinamento democratico costituzionale; la tendenziale liquidazione della nostra democrazia rappresentativa in nome di una forma di governo brutalmente sbilanciata sul potere esecutivo (una “democrazia esecutiva” o “esecutoria”); l’imposizione di una legge-truffa destinata a deformare gravemente le volontà dell’elettorato e di consegnare al demagogo di turno un potere senza più contrappesi né anticorpi; la volontà di cancellare le rappresentanze sociali (in primo luogo quelle sindacali) e l’umiliazione del mondo del lavoro con la cancellazione dei suoi diritti; l’aggressione volgare al mondo della cultura e della scuola, con l’umiliazione del sapere in nome di criteri gerarchici aziendali; la riduzione a merce di ciò che rimane del nostro patrimonio territoriale e dei nostri beni comuni…
Quella che si configura con il governo Renzi è una vera “emergenza democratica”. L’azione svolta finora e quella che si prepara a portare a compimento definiscono il profilo di un mutamento di sistema che richiede, per essere contrastato, un’innovazione politica e organizzativa all’altezza della sfida.
Come mostra la vicenda greca in tutta la sua drammaticità, oltre al conflitto tra Stati e interessi nazionali , si profila all’orizzonte un conflitto politico e sociale di tipo nuovo, tra democrazia e oligarchie finanziarie e burocratiche transnazionali; tra dominio totalizzante della forma denaro e affermazione dei principii fondamentali di giustizia sociale, eguaglianza e solidarietà; tra governo dall’alto di società sempre più ingiuste e partecipazione consapevole e diffusa alle scelte collettive, combattuto non più solo nell’angusto spazio nazionale ma in campo europeo, in cui sarà fondamentale la capacità di dar vita a formazioni di grandi dimensioni, credibili, forti, autorevoli, capaci di superare le distinzioni di nazionalità e le altrettanto asfittiche frammentazioni identitarie.
Per questa ragione noi oggi riteniamo non più rinviabile l’impegno di tutte le forze che si pongono in alternativa a questo quadro drammatico e che ancora si richiamano ai valori di eguaglianza, autonomia e libertà che furono della migliore sinistra a porre in campo anche in Italia, nei tempi brevi imposti dalla gravità della situazione, una forza unitaria, innovativa nello stile politico e credibile nel proprio programma, non minoritaria né chiusa in sterili pratiche testimoniali ma capace, come già è avvenuto in Grecia e in Spagna, di costituire un’alternativa di governo e di paradigma allo stato di cose presente. Un soggetto politico dichiaratamente antiliberista, dotato della forza per competere per il governo del paese in concorrenza con gli altri poli politici.
Tutte le ultime tornate elettorali hanno rivelato che senza un progetto unitario a sinistra, capace di superare l’attuale frammentazione, non c’è speranza di sopravvivenza per nessuno. Non possiamo continuare a ripetere che il tempo è ora. Bisogna dare, da subito, un segnale chiaro. Che si è pronti. E che c’è bisogno di tutte e tutti. Non solo di chi, in questi mesi, nell’area politica alla sinistra del PD, ha avviato un fitto dialogo in vista dell’apertura di un “processo costituente”, ma soprattutto degli altri, che nei “luoghi della vita” continuano a tessere resistenza, solidarietà, azioni civili, coesione sociale. A combattere l’imbarbarimento e a sperimentare il bien vivir. Quelli che aspettano che qualcosa si muova, e che sia credibile, nuovo, diverso, forte.
Dovranno essere soprattutto loro i protagonisti della grande “casa comune” che di deve iniziare a costruire.
Facciamo sì che sia da subito un “percorso del fare”. Individuiamo fin d’ora nell’iniziativa referendaria sui temi più vicini alla vita delle persone un terreno su cui impegnarsi qui ed ora. Impegniamoci a costruire su ogni tema la più larga rete di soggetti, che già ci sono, e già sono attivi.
Si lanci, ancor prima della pausa estiva, un messaggio chiaro e forte: che ci siamo. Che partiamo. Che possiamo farcela. Lo dobbiamo ai tanti che aspettano da troppo tempo.
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