Poli­zia «in armi» contro il nemico invisibile

L’Associazione nazio­nale fun­zio­nari di poli­zia vorrebbe nuove armi e nuove leggi per l’ordine pubblico. Servirebbe, invece, una cul­tura demo­cra­tica un poco più evo­luta di quella che cir­cola dalle parti dell’Anfp

L’Italia è sulla soglia di una san­gui­nosa Inti­fada? Dob­biamo atten­derci una ondata di vio­lenti scon­tri di piazza in tutto il paese? A giu­di­care dalle posi­zioni espresse dall’Associazione nazio­nale fun­zio­nari di poli­zia (Anfp) e dalla sua segre­ta­ria Lorena La Spina in occa­sione della pre­sen­ta­zione, a palazzo Chigi, di un libro (Dieci anni di ordine pub­blico, ricerca a cura di A. For­gione, R. Mas­succi, N.Ferrigni), si direbbe pro­prio di sì. In uno degli autunni più tie­pidi della recente sto­ria ita­liana, l’Anfp vede adden­sarsi le nubi della guer­ri­glia urbana, ma, come nei titoli dei film «poli­ziot­te­schi» di una volta, «la poli­zia è disar­mata», denun­ciano, o meglio non armata a suf­fi­cienza per fron­teg­giare le nuove insi­die del nemico. Que­sta volta, infatti, non è di orga­nico e turni che si parla, quanto pro­prio di armi. Cosa desi­de­rano, dun­que, i nostri fun­zio­nari di poli­zia? Sul piano difen­sivo uni­formi e pro­te­zioni più ade­guate, scudi leg­geri e resi­stenti. Su quello legi­sla­tivo norme più severe con­tro chi «abusa del diritto di mani­fe­stare» (Daspo, etc.). Su quello offen­sivo, pro­iet­tili di gomma, fucili mar­ca­tori (armi che spa­rano sfere ripiene di ver­nice per «mar­care» i mani­fe­stanti vio­lenti ai fini del rico­no­sci­mento), man­ga­nelli Tonfa, non­ché una task force spe­cia­liz­zata nello sta­nare, non si sa con quali metodi, i «guer­ri­glieri» intru­fo­lati nella massa dei manifestanti.

I pro­iet­tili di gomma, è noto, pos­sono pro­vo­care danni assai gravi, così come i man­ga­nelli con anima di ferro. Quanto ai fucili mar­ca­tori, sap­piamo, come si è visto il primo mag­gio a Milano, che i cosid­detti black bloc sono soliti disfarsi degli indu­menti indos­sati durante gli scon­tri. Cosic­ché la «mar­ca­tura» ser­virà più a fab­bri­care la vit­tima di turno, scelta a caso tra i mani­fe­stanti, che a non a indi­vi­duare il respon­sa­bile di qual­cosa: mac­chiato, dun­que reo e non vice­versa. Ma quel che è più grave è che que­sta logica di esca­la­tion degli arma­menti (che può com­pren­dere lacri­mo­geni sem­pre più tos­sici) rischierà di ali­men­tarsi da entrambe le parti. Così come la san­zione spro­po­si­tata di reati lievi spin­gerà a com­met­terne di sem­pre più gravi. Che l’ordine pub­blico signi­fi­chi anche e soprat­tutto trat­ta­tiva, rinun­cia alle zone rosse e alle città proi­bite, a sgom­beri vio­lenti privi di media­zione poli­tica, garan­zia di non essere espo­sti all’arbitrio di uomini in divisa, è com­ple­ta­mente estra­neo all’orizzonte di que­sta logica bel­li­ge­rante (non priva di toni vit­ti­mi­stici) che, non a caso, difende stre­nua­mente l’anonimato di chi la pra­tica, rifiu­tando il codice iden­ti­fi­ca­tivo per gli agenti impie­gati in ope­ra­zioni di ordine pubblico.

A motivo di que­sta pre­tesa di riarmo si insi­ste sulla pre­senza (volu­ta­mente esa­ge­rata) di «pro­fes­sio­ni­sti della vio­lenza». Ma si tratta, il più delle volte, di «incap­puc­ciati» occa­sio­nali, ani­mati più che da uno sta­tus pro­fes­sio­nale da quei con­te­sti di con­trap­po­si­zione e di scon­tro che una sag­gia gestione dell’ordine pub­blico dovrebbe saper ridurre al minimo.

I dati di que­sta pre­sunta Inti­fada ita­liana, con­stano di 9490 mani­fe­sta­zioni nel 2014. 24 al giorno quelle che com­por­te­reb­bero que­stioni di ordine pub­blico e cioè dispie­ga­mento di forze di poli­zia. Se si pensa che vi rien­trano epi­sodi come i ripe­tuti pre­sidi davanti al Miur di viale Tra­ste­vere a Roma, così come i malati di Sla davanti al Mini­stero delle finanze, le tra­sferte pro­vo­ca­to­rie di Mat­teo Sal­vini o i comizi poli­tici della più varia natura, non sem­brano dav­vero, per un paese demo­cra­tico di 50 milioni di abi­tanti, cifre da destare allarme o da sug­ge­rire esca­la­tion mili­tari. Baste­rebbe una cul­tura demo­cra­tica un poco più evo­luta di quella che cir­cola dalle parti dell’Anfp.

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