Dallo stato di diritto al security state

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Hollande da un’emergenza all’altra. Il rischio, nemmeno tanto celato, è che le leggi d’eccezione modifichino irrimediabilmente, il volto della democrazia francese

«Quando lo stato d’eccezione diventa la regola tutto diventa possibile», sosteneva Walter Benjamin. Se questo è vero, non è affatto rassicurante la risposta che la Francia sta dando, sul fronte interno, agli attentati di Parigi — non dientichiamo che il primo provvedimemnto è stato proprio la chiusura di Schengen.

Com’è noto, dopo l’immediata dichiarazione di stato d’emergenza — che una norma dell’ordinamento francese permette di dichiarare per un tempo massimo di 12 giorni — lo scorso 19 novembre l’Assemblea nazionale ha approvato, con soli 6 voti contrari e un’astensione, una legge che ha prolungato per tre mesi questo istituto. E a fine febbraio, come preannunciato dal presidente Hollande, verrà richiesta un’ulteriore proroga di tre mesi. Intanto si sta cercando di rendere permanenti le disposizioni più significative, con il loro inserimento nel codice penale. Infatti, è al vaglio del Consiglio di Stato un progetto di legge che prevede un forte spostamento di poteri dal controllo giudiziario verso la polizia e le procure. In particolare, i pubblici ministeri potrebbero disporre di perquisizioni domiciliari, telecamere cimici e software senza l’autorizzazione di alcun giudice; le regole di ingaggio della polizia diventerebbero meno rigide (così come più semplice l’uso di armi da parte loro); la custodia cautelare senza avvocato sarebbe consentita fino a quattro ore; e, ancora — uno dei punti più controversi — la cittadinanza francese potrebbe venire revocata a cittadini con doppio passaporto condannati per terrorismo.

Il rischio, nemmeno tanto celato, che questi provvedimenti portano con sé è quello di modificare, fino a compromettere irrimediabilmente, il volto della democrazia francese. E forse in un contesto segnato da un bisogno crescente e diffuso di sicurezza, rilevarlo, questo rischio, può apparire davvero un vezzo libertario, degno di qualche battaglia radicale (e non è un caso che sia proprio il Partito Radicale in Italia a richiamare il tema). Se non fosse che derogando a valori come le libertà fondamentali e le garanzie del diritto la Francia e l’Europa – come già gli Stati uniti del Patrioct act del 2001– non fanno che scivolare in una trappola letale. Lo ha spiegato bene il filosofo italiano, Giorgio Agamben che, in vari interventi sulla stampa francese, ha ricordato: la struttura che portò ai totalitarismi era una struttura di stato d’eccezione permanente. E tracciando così le linee di un confronto, quello tra i regimi totalitari e i provvedimenti di oggi, che può apparire retorico e persino usurato, ma che rivela tutta la sua efficacia se si guarda esclusivamente, come Agamben suggerisce, alla struttura giuridico-politica dello stato. In Germania i campi di sterminio sono stati possibili proprio grazie allo smantellamento dello stato di diritto: ben prima dell’ascesa di Hitler, dal 1919 al 1924, i governi di Weimar fecero ripetutamente ricorso alla dichiarazione dello stato d’eccezione, che conferiva ampi poteri al presidente del Reich e sospendeva gli articoli della costituzione concernenti garanzie fondamentali. Ovvero quelli sulla privazione della libertà personale, sull’inviolabilità del domicilio e della corrispondenza privata, sulla custodia preventiva, sulla libertà d’espressione e di stampa, su quella di manifestare e di associarsi e sul diritto alla proprietà privata.
Ma che cosa prevede lo stato d’emergenza oggi in Francia? Dei provvedimenti che sembrano corrispondere puntualmente a quelli appena elencati: dichiarare il coprifuoco, interrompere la libera circolazione, impedire qualsiasi forma di manifestazione pubblica e chiudere locali. Consentire il controllo dei mezzi d’informazione e permette alle forze dell’ordine perquisizioni a domicilio senza autorizzazioni del giudice. Inoltre, con la proroga votata dall’Assemblea nazionale, si è stabilito di poter ricorrere al «domicilio coatto extragiudiziale» nei casi di persone giudicate pericolose ma senza elementi sufficienti per incriminarle; e di poter imporre il braccialetto elettronico. Sul trasferimento di poteri alla polizia e sulla custodia cautelare da rendere permanenti, si è già detto all’inizio. Ma va aggiunto che anche queste disposizioni richiamano altre norme della giurisprudenza eccezionale nazionalsocialista: quelle in base alle quali la gestione dei campi di sterminio veniva affidata a un corpo di polizia, le SS; e quelle per cui i campi stessi erano inseriti nel regime della Schutzhaft (letteralmente: custodia protettiva). Un istituto giuridico, quest’ultimo, classificato come misura di polizia preventiva che permetteva di prendere in custodia degli individui indipendentemente dalla rilevanza penale della loro condotta. L’ultima nota, la più estrema, va fatta sui provvedimenti che interessano la revoca della cittadinanza. Tutti gli ebrei sterminati nei campi erano stati prima privati di questo diritto. Oggi in Francia si discute di rendere permanente la perdita della cittadinanza francese per i cittadini con doppio passaporto condannati per terrorismo. Così, a parità di crimine, i francesi conserveranno la nazionalità i «binazionali» (musulmani) no. L’analogia, questa volta, si assottiglia quanto alle implicazioni, ma non si può nascondere che il nodo sia comune: quello della revoca della porta di ogni diritto. Spogliato di ogni forma di protezione, un cittadino resta null’altro che un corpo inerme. Esposto, nella sua nudità, a un potere poliziesco di vita e di morte.

In definitiva, solo se si comprende questa particolare struttura giuridico-politica l’incredibile che nei campi è avvenuto diventa intelligibile e spiegabile. Ma proprio alla luce di queste considerazioni ci si dovrebbe interrogare in modo più drastico sugli accadimenti, le decisioni e i progetti politici dei giorni nostri. Rispondere a un’emergenza impoverendo e disattivando libertà fondamentali vuol dire imboccare una via senza ritorno. Ammesso che l’Europa vinca questa «guerra» — proprio così l’ha chiamata il presidente Hollande – i suoi stati non ne usciranno liberi e democratici come sono stati, nonostante tutto, finora. Essi saranno diventati, piuttosto, come dicono alcuni studiosi americani, dei security state: completamente incentrati su una diversa gestione degli effetti e un diverso esercizio del potere sugli uomini e sui corpi, ma assolutamente incapaci di incidere sulle cause. Ma un security state non è più uno stato di diritto.

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