Berlino. Presentato alla Volksbühne il movimento «Democracy in Europe Movement 2025» (DiEM). Lo stile post-ideologico dell’economista greco: il suo appello rivolto ai radicali, democratici, verdi, alla sinistra
BERLINO L’attenzione mediatica per l’avventura di Yanis Varoufakis a Berlino non è certo mancata. Sala strapiena, giornalisti in coda, domande a raffica: così la conferenza stampa che ha aperto il meeting organizzato alla Volksbühne di Berlino per la presentazione del manifesto di DiEM 2025 («Democracy in Europe Movement 2025»). È un testo che ha l’ambizione di aggregare intorno a un programma pluriennale di democratizzazione dell’Unione Europea movimenti sociali, forze politiche, circoli intellettuali, associazioni, lavoratori della conoscenza, e artisti attivi sulla scena continentale.
Le risposte di Varoufakis sono state di estrema chiarezza ed efficacia soprattutto su un punto che figurava tra i più delicati: ovvero il rapporto tra la sua iniziativa e le posizioni che in diversi Paesi europei di fronte alla gestione neoliberale della crisi puntano a un recupero della sovranità e della moneta nazionale. Si tratta di posizioni condivise anche da diverse forze della sinistra, tradizionale e non. Per fare i nomi più noti che sostengono simili punti di vista si possono ricordare Oskar Lafontaine in Germania e Jean-Luc Mélenchon in Francia. La posizione dell’ex ministro delle finanze greco su questo punto è stata di inequivocabile rifiuto. Al centro della sua iniziativa c’è l’obiettivo di una ripoliticizzazione dello spazio e delle istituzioni europee, come antidoto alle tendenze alla frammentazione, alla chiusura e alla competizione. In poche parole come antidoto alla deriva verso una riedizione “post-moderna” degli scenari degli anni Trenta, un rischio su cui ha spesso insistito. Del discorso nazionale non possono che avvantaggiarsi le destre più o meno estreme, come del resto gli orientamenti elettorali in Europa ci stanno ripetutamente dimostrando.
La giornata di presentazione di DiEM alla Volksbühne si è articolata in lunghe conversazioni tematiche, secondo il modello di una jam session a cui hanno partecipato attivisti e intellettuali, operatori dei media, sindacalisti ed esponenti di innovative esperienze municipali, a partire da quella di Barcellona. Nessuno in rappresentanza di organizzazioni o gruppi, ma tutti provenienti da una pluralità di esperienze collettive. La discussione ha preso le mosse da una «mappatura cognitiva» della crisi europea, per poi concentrarsi su un’analisi più specifica della situazione economica e su quello che potrà essere nei prossimi mesi il ruolo di DiEM. La giornata si è conclusa con l’effettivo lancio del manifesto, in una sala affollata da centinaia di persone, con schermi allestiti all’esterno per coloro che non hanno trovato posto. Ne parleremo domani.
Durante la conferenza stampa, così come durante «talk real» (il talk show organizzato da Europan Alternatives, a cui ha partecipato lunedì sera), Varoufakis ha adottato uno stile marcatamente «post-ideologico», quasi da liberal di oltre Oceano. Non ha certo taciuto la sua militanza nella sinistra, ma si è rivolto a «tutti i democratici, liberali, verdi o radicali che siano». Poiché la questione al centro della governance europea, ha insistito Varoufakis, è un plateale svuotamento della democrazia, con la totale esclusione dei cittadini – del demos – dai processi decisionali. In quest’ottica l’esperienza dell’anno 2015 in Europa è stata illuminante, tanto per lo scontro tra il governo greco e la troika dei creditori quanto per la cosiddetta «crisi dei migranti» e i suoi riflessi sui rapporti tra i Paesi membri dell’Unione: l’acuirsi della frattura tra Est e Ovest, che si aggiunge a quella tra Nord e Sud, le crepe sempre più vistose all’interno dello spazio di Schengen. Quanto ai movimenti di profughi e migranti verso l’Europa, Varoufakis ha espresso ancora una volta posizioni molto chiare: di fronte a chi fugge dalla guerra e dalla povertà «non si possono fare calcoli costi-benefici» e l’Europa non può sottrarsi al dovere di fare i conti con la propria storia. Una storia che attraverso il colonialismo ha cambiato irreversibilmente gli equilibri mondiali.
L’ambizione che caratterizza il progetto di DiEM non è affatto modesta. Non si tratta infatti di un semplice appello alla difesa delle forme e delle procedure democratiche. Al contrario, è il contenuto sociale del processo quello che sostanzia politicamente la democrazia europea di cui qui si parla. A questo scopo la sinistra, così come la conosciamo e a maggior ragione dopo le numerose sconfitte subite in questi anni, non ha forza sufficiente. Ciò di cui c’è bisogno è una radicale innovazione politica, capace di costruire materialmente una democrazia che non esiste su scala continentale e appare radicalmente svuotata di legittimità e contenuti su scala nazionale.
Da questo punto di vista, Varoufakis ha sottolineato la rilevanza essenziale – all’interno di un processo che si qualifica come «costituente» – dell’azione autonoma dei movimenti e delle lotte sociali. Non a caso, il suo soggiorno a Berlino è cominciato domenica, con un intervento all’assemblea di Blockupy, la coalizione che ha organizzato l’assedio dell’Eurotower a Francoforte lo scorso 18 marzo.
Un movimento per la democrazia in Europa continua ad avere numerosi ostacoli sulla sua strada sebbene se ne colga appieno l’urgenza. Ed è inevitabile che questo stato embrionale del movimento si rispecchi nel carattere ancora generico e indefinito della stessa rivendicazione di democrazia su scala europea. Di questo risente naturalmente allo stato attuale anche il progetto DiEM. E tuttavia la ricchezza della discussione che si è aperta a Berlino, l’eterogeneità dei partecipanti e dei linguaggi, la tensione e perfino l’entusiasmo che l’hanno caratterizzata indicano chiaramente l’apertura di una possibilità politica realmente nuova. Saranno i prossimi mesi a dirci quanto efficace.
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