Morto suicida a 71 anni una delle leggende del rock progressive con gli EL&P, e poi autore di diversi album solisti e collaborazioni per colonne sonore,
Un colpo di pistola alla testa ha messo fine alla vita di Keith Emerson: un suicidio che coglie di sorpresa, ancor più in questo 2016 che s’avvia ad essere ricordato come lo “Spoon River” musicale del decennio. E così a pochi giorni di distanza dalla dipartita del “quinto beatle”, George Martin, la bandiera della musica si tira di nuovo giù a mezz’asta. Al di là della diversità con cui i due hanno abbandonato la vita c’è ad accomunarli la caratteristica di essere stati due irriducibili ricercatori di un suono: ottenuto per l’uno attraverso raffinati arrangiamenti e tessiture strumentali, per l’altro attraverso l’esplorazione meccanica ed elettronica delle tastiere, e giunto alla fine al risultato desiderato eleggendo terreno fertile per le loro sperimentazioni due formazioni come i Beatles e gli Emerson Lake & Palmer.
Dunque, toccherà alla polizia stabilire le dinamiche che hanno portato il settantunenne funambolico tastierista inglese a spararsi nella villa di Santa Monica che divideva con la fidanzata Mari Kawaguchi, la prima a dare l’allarme; tutto ciò peraltro è accaduto nell’assolata California, richiamata alla memoria dalla copertina di uno degli album più sfortunati dell’avventura EL&P Love Beach, uscito nel ’78 e spazzato via dallo tsunami del punk sancendone nei fatti lo scioglimento: proprio quella parte degli States che l’aveva accolto, negli anni ’90, dopo il furibondo divorzio dalla moglie e la perdita della casa appartenuta allo scrittore di Peter Pan, James M. Barrie.
Si sapeva della malattia, la diverticolite che lo tormentava e che l’aveva costretto ad interventi chirurgici e a non poter più usare completamente tutte le dita delle mani. Di certo, la prospettiva di non poter suonare, qualcuno diceva “di divertirsi con i suoi giocattoli elettronici”, deve essere stata tremenda da sopportare per un artista che viveva il suo strumento come estensione del proprio corpo: testimoni l’autobiografia Pictures of an Exhibitionist e il documentario tratto che uscirà postumo. Se si dovesse inventare una definizione, calzante per pochi altri, qualche jazzista (Dizzy Gillespie, Roland Kirk, Sun Ra, John Coltrane con ben altre attitudini), Jimi Hendrix, forse Frank Zappa, il suo era un body-art-rock di fattura alta, sebbene demitizzato da una forte dose di ironia che gli era fornita dai suoi due più fedeli sodali: lo “schizoid man” Greg Lake, bassista dei primi King Crimson e cantante dalle forti intonazioni folk e il batterista pre-hard rock Carl Palmer, cui va aggiunto il bagaglio estremo ed eterodosso di Emerson poggiato su studi classici (le affezioni perlopiù romantico-ottocentesche con sporadiche incursioni nel ‘900 “barbaro” di Bartok e Copland torneranno manifeste o clandestine nei suoi dischi), frequentazioni jazz e pop.
Prima dell’esplosione sperimentale dei Nice, che conobbero notorietà con una manita di album nella seconda metà degli anni sessanta sia per una versione incendiaria di America odiata dal suo autore Leonard Bernstein sia per l’immagine fuori schema di Emerson che come retrospettivamente ci si accorse già conteneva tutto il “keithemerson” futuro. Insomma, le loro traiettorie musicali inevitabilmente andarono ad alimentare quello che sarà il progressive, fenomeno musicale che connoterà buona parte degli anni settanta, dando origine a gruppi musicalmente ineccepibili come i Genesis, gli Yes, i Van der Graf Generator, e moltissimi altri. Tutti sapevano suonare, spesso erano virtuosi dei loro strumenti, erano tutto quello che il punk avrebbe odiato e distrutto, in una battaglia discografica che contrapponeva l’iconicità e l’iconoclastia dei suoni – . In Italia il prog-rock attecchì non poco assumendo anche caratteri originali ed inediti e non sono epigonali.
La loro fu una fusione irripetibile di talenti, che trovarono nella forma perfetta del trio di derivazione jazzistica, ma già rodata nel rock dall’ Experience di Hendrix e dai Cream, un modo di interagire tra pari, tutti leader ma che finivano chi più chi meno per assecondare le iperboli di Emerson. Un pugno d’album leggendari, alcuni come detto iconici, l’omonimo uscito dopo aver stupito i partecipanti al Festival dell’Isola di Wight; Tarkus; Picture an exibition,il loro manifesto tratto da Modest Mussorsgky; Brain Salad Surgery e i tanti concerti, pure in Italia, paese che li elesse a più che beniamini e che si ricorderà di Emerson. Soprattutto la tv e il cinema preleveranno suoi temi. La sigla della trasmissione Odeon, Maple Leaf Rag di Scott Joplin, divenne un superhit, ma già tv7 in una delle sue declinazioni aveva cannibalizzato un brano degli EL&P.
Più intensa la collaborazione invece con i registi dell’horror all’italiana: Dario Argento lo chiamò per Inferno, Lucio Fulci per Murderock, e ancora Argento come produttore de La chiesa di Michele Soavi. Negli ultimi due decenni, Emerson con i due vecchi compagni diede vita a più reunion; lo smalto del tempo non aveva intaccato la loro musica, ma il fisico sì. Uno degli ultimi colpi d’ala vi fu nel 2008 con l’uscita dell’album Keith Emerson band featuring Marc Bonilla. Poi, giunse inesorabile il declino.
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