Auguri vecchio Paz

Paz

Disegnerebbe ancora? E che cosa? A casa del fratello di Andrea Pazienza immaginando, tra inediti e ricordi, come sarebbe stato a sessant’anni

Due esami mancavano, più la tesi. Quanti laureandi sono franati sul traguardo. Anche Andrea Pazienza, genio del fumetto, anzi no, genio del disegno italiano. «La laurea, il Dams me la darà ad honorem quando avrò sessant’anni», disse, guascone come sempre, in un’intervista televisiva del 1987. Precisò: «Se ci sarà ancora il Dams, quando avrò sessant’anni». Pausa, sorriso: «Se ci sarò ancora io, quando avrò sessant’anni…». Il Dams c’è ancora, se può consolare. Purtroppo Paz no. Il giorno delle sue sessanta candeline sta per arrivare, è il 23 maggio prossimo, ma da ventott’anni il mondo deve andare avanti senza le sue «vignette» come le sminuiva lui, guascone anche al contrario.
Nessuno sa come sarebbe stato Pazienza a sessant’anni. Immaginarlo pare impossibile come pensare Peter Pan in coda agli sportelli Inps, o il Piccolo Principe che fa le analisi per la prostata. Allora cerco di indovinarlo nella bella faccia di Michele, suo fratello, che di anni oggi ne ha cinquantotto, quando mi apre la porta del suo appartamento di Ozzano dell’Emilia tappezzato di disegni di Andrea. Ma lui capisce al volo e dice «aspetta », e torna con un disegno. Il profilo di un uomo seduto, stempiato, nasone, cicca in bocca, matita in mano; e il segno è quello unico, inconfondibile, di Pazienza. E c’è una scritta, sotto: “A Paz a cinquantasei anni”. «È venuto fuori tre anni fa dai cassetti di un amico». Paz ha disseminato il mondo di disegni; per fortuna, da qualche anno, i suoi fratelli Michele e Mariella da una parte e sua moglie Marina Comandini dall’altra stanno facendo salti mortali per recuperarli e ricomporre l’archivio di quello che solo uno sbadato o un ignorante potrebbe rifiutarsi di considerare un grande maestro dell’immagine del Novecento.
Insomma si immaginò uomo maturo, per non dire vecchio, lui che lo chiamavano «il vecchio Paz» già a vent’anni. Espressione burbera, ma fisico asciutto, schiena dritta e soprattutto: matita in mano. «Di questo possiamo stare certi: non avrebbe mai smesso di disegnare», commenta Michele. «Ma quando è saltato fuori questo disegno, ci siamo tutti rimasti un po’ così. Per Andrea non esisteva il futuro. Ma il suo presente che valeva il triplo del nostro. Andrea ha vissuto anni che valgono decenni. Andrea è morto di vecchiaia». Del resto, la sua data di morte l’aveva scritta lui stesso in una autobiografia: «Morirò il 6 gennaio 1984». Sbagliò per difetto, di quattro anni. Morì a trentadue, una notte di giugno, nel suo cascinale di Montepulciano, dov’era fuggito da qualcosa che se lo riprese: quell’ultimo fatale “schizzo”, che non era un disegno, di cui nessuno parla, ma tutti sanno.
«Quando guardo le foto di noi insieme», sono tutte lì sotto il vetro della scrivania, «come credi che mi senta? Ma Andrea non avrebbe saputo invecchiare. Come le rockstar. La fisicità, i nervi erano la sua vita. Dove voleva arrivare, non credo se lo sia mai chiesto. Cosa voleva fare, lo sapeva. Voleva cavarsi la voglia.
Di cosa? Di tutto quel che gli faceva voglia. Sì, ma poi?, gli rimproveravo quando studiavamo insieme a Bologna, lui Dams io Agraria.
Poi niente, mi guardava senza capire l’obiezione. La bulimia gli ha riempito la vita di piaceri e di guai, e alla fine gliel’ha portata via.
Ma lui lo sapeva, ha concentrato la vita per fare tutto prima che fosse troppo tardi». Diceva «la pazienza ha un limite ma Pazienza no», invece c’era anche per lui.
Ma se immaginarsi nel futuro il Dorian Gray dei pennarelli l’ha fatto anche lui, almeno una volta, proviamo a farlo anche noi. Dove lo troveremmo oggi? In una galleria d’arte? «Le mostre di cose appese al muro lo annoiavano, però ha esposto… Era una contraddizione vivente Andrea. Per un gallerista che gli fosse simpatico e che lo pagasse bene, lo avrebbe fatto». L’antitecnologico Paz se ne andò sulla soglia dell’era digitale. Oggi sarebbe davanti a un computer? «Ma vuoi scherzare? Ad Andrea non chiedevo neanche di attaccare la spina del televisore. Disegnare al mouse? Da escludere». Ma qui interviene Nicola, che dello zio ha un po’ l’espressione, e come lui fa il liceo artistico: «Papà, esistono le tavolette elettroniche, tu disegni come con la matita e compare sullo schermo». Del resto, il polimorfo Andrenza fece in tempo a usare la novità tecnologica del fax. Lo disegnò col posca nero, il suo fax, entusiasta come un bambino di non dover più andare in posta per spedire le vignette a Linus o al Cannibale: «Anche Spaz ha il telefacs! Il telespaz!». Mai sottovalutare le capacità di adattamento del genio.
E se fosse diventato un attore? Con i poster per Fellini, un piede a Cinecittà ce l’aveva… «Perché no? Era bello, un adone, era seduttivo, e lo sapeva. Ma avrebbe potuto recitare solo nei panni di se stesso». Anche le sue sturiellèt forse erano proiezioni di sé. «Ma certo. Lui era tutti i suoi personaggi». Chi in particolare? «Forse Colasanti il bello, di certo Pompeo, che è la sua cosa più grande». Perfino Zanardi? Il tremendo Zanardi, spietato, cinico, violento? «Quando Andrea disegnava, era in un altro mondo. Cuore, cervello, mano legate dai nervi, disegnava furiosamente, velocissimo, rincorreva tutte le emozioni, poteva commuoversi fino alle lacrime o farsi prendere dall’adrenalina». Era le sue storie, entrava di persona nelle sue storie. Nostalgiche, come le estati a San Menaio. O stralunate come le avventure di Paz e Pert, lui e Pertini, un libro disegnato in tre giorni. Cose d’APaz.
E poi, in fondo, tutto cominciò da attore. «In camera nostra, a San Severo, da bambini, fra i due letti lui recitava tutti i personaggi delle storie che già disegnava sui quaderni di scuola, serate intere di storie improvvisate, fino a quando mamma ci chiamava per cena. Neanche una di quelle storie è mai arrivata a una conclusione…». Eccoli, quei quadernini. La mano è già quella, l’intreccio fra parole e segni è già quello. Bisogna credere nel Dna, il genio innato esiste. E sul frontespizio di uno di quei quadernini, cosa c’è scritto mai? Una data, 1968: Andrea aveva dieci anni. E sotto, una scritta: «può durare fino al 2001». Ci pensava già, al futuro remoto. Ma l’opera del genio dura anche di più. È l’uomo, purtroppo, che ha una scadenza.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password