«Sì se puede». Il popolo di Unidos Podemos ci crede

Pablo Iglesias

Spagna al voto. Il segreto di Podemos: rileggere la storia spagnola sotto un altro punto di vista, capace di creare quell’attivazione emozionale che oggi porta Unidos Podemos a costituire un esempio di «sinistra» vera e maggioritaria

L’atmosfera di festa unita alla certezza di poter compiere un cambio storico, è già riscontrabile sulle carrozze della metropolitana nei dintorni di Legazpi, la stazione vicina al luogo dove si è svolto l’atto conclusivo della campagna di Unidos Podemos.

Il colpo d’occhio fa effetto: decine di migliaia di persone affollano la spianata di Madrid Rio, pronti a seguire con attenzione tre ore di comizio nel quale si alternano i leader della confluenza di sinistra che oggi sfida alle urne il partito popolare e il partito socialista. Tutti sembrano convinti che il momento più importante sia giunto: in un colpo solo si può superare il Psoe, ottenendo così «il sorpasso» come viene definito in Spagna, e porre in grave difficoltà Mariano Rajoy e il Pp, identificato con corruzione, politiche di austerità e malgoverno.

Nello spiazzo ci sono bandiere viola, per lo più, ma è nutrita anche la presenza di Izquierda Unida e del partito comunista spagnolo. Il pubblico – come sempre agli eventi di Podemos – mischia generazioni, identità politiche e un coro continuo: «Sì se puede». Ci si prova a riparare dal caldo torrido sui lati del palco, contornato da piante di lavanda che fanno estate e voglia di ozio accompagnata da birra ghiacciata.

Ma intorno è tutta un’altra atmosfera, perché si respira la certezza di vivere un momento storico. C’è la volontà di compiere l’ultimo sforzo, il traguardo è lì vicino, o almeno così appare.

Sul palco, alle 21, in un’ottica organizzativa puntuale e che non lascia niente al caso arrivano i protagonisti accompagnati da una musica in crescendo (sottofondo dello spot emozionante ambientato in un teatro): arrivano Pablo Iglesias, leader e candidato alla presidenza del consiglio dei ministri spagnolo e il numero due della formazione politica, Íñigo Errejón. Quest’ultimo è giovanissimo (è del 1983) e gigantesco nella sua preparazione teorica.

Le malelingue lo danno in contrasto, neanche troppo velato, con Iglesias e c’è chi giura che in caso di risultato negativo alle elezioni potrebbe diventare il numero uno. Di sicuro Íñigo Errejón non ama Monedero uno dei fondatori di Podemos che ieri era in prima fila, ma sotto il palco. Salirà solo alla fine, ricordato da Iglesias insieme ad altri che hanno «indicato il cammino».

Insieme a Iglesias ed Errejon c’erano anche la responsabile del programma di governo, Carolina Bescansa, la stella nascente di Podemos, classe 1988, Irene Montero e poi il sindaco di La Coruna Xulio Ferreiro (di Marea Atlantica), Monica Oltra vice presidente della comunità valenciana e Alberto Garzón, leader di Izquierda Unida.

Prima degli interventi, Ada Colau da Barcellona ha salutato in video la folla.

C’erano tutti per l’atto conclusivo di una campagna che – come è stato ricordato – dura ormai da due anni e ha finito per logorare molti. Non Unidos Podemos che tra video e spot elettorale regge l’urto di tre ore di parole e interventi, in un crescendo che si conclude con l’intervento finale di Pablo Iglesias. Prima di lui i suoi compagni e compagne avevano già ricordato gli argomenti salienti della volata finale. Innanzitutto il voto contro il Pp e  la corruzione di un partito che presenta Unidos Podemos come «los malos» e come forza anti sistema.

In secondo luogo sono stati ricordati i punti fermi del programma elettorale: transizione energetica, politiche sociali, del lavoro e di accoglienza per i rifugiati, insieme alla volontà di garantire i servizi essenziali pubblici per tutti: educazione e sanità. Nel cambio attenzione particolare è riservata ai temi del femminismo. Grande protagonista il poeta valenciano Miguel Hernandez, pluricitato.

Il primo momento rilevante della serata è stato senza dubbio l’intervento di Alberto Garzón di Izquierda Unida.

Mentre il pubblico ha cominciato a intonare cori repubblicani, «España mañana sera republicana» (un argomento di tensione rispetto a Podemos che non ha mai spinto troppo sulle istanze anti monarchiche), Garzón ha ricordato che «ci hanno detto che siamo contro il sistema, ma è il sistema che è contro di noi» e ha portato parecchio in avanti il discorso: «Da domani, ha detto, la mobilitazione popolare non deve fermarsi, perché dovremo essere per strada a difendere un governo (un eventuale governo di Unidos Podemos ndr) che sarà ostacolato dalle oligarchie di questo paese».

Il processo di confluenza tra partito eventualmente al governo e forze e pulsioni popolari, sull’esempio sudamericano bolivariano, in Spagna ormai è un dato acquisito. Le persone al comizio finale, tanti i giovanissimi molti dei quali con i genitori, si esaltano alle parole di Garzón perché è chiaro a tutti che se la vittoria è «sulla punta delle nostre dita», come sottolineerà Errejon da lì a poco, è anche chiaro che le forze che si muovono contro questo cambiamento sono tante e subdole.

Ma quello che sorprende – oltre al seguito inter generazionale di questa forza politica – è la capacità di rendere popolari e mainstream teorie e pratiche politiche che da noi vengono ancora definite «radicali» e vengono relegate a un nicchia politica ormai completamente irrilevante. Ieri al comizio finale i toni si sono accesi: contrariamente agli interventi televisivi i leader politici hanno parlato con la volontà di convincere gli ultimi indecisi e con la forza di inchiodare la propria visione politica e futura in un ambito ben preciso della sinistra.

Gli interventi di Errejon e di Iglesias sono stati da manuale e dovrebbero essere ascoltati (è tutto in streaming e disponibile on line) da chi ancora oggi si ostina a paragonare Podemos al Movimento Cinque stelle o altre forze populiste e fondamentalmente di destra che si muovono nel panorama europeo.

Unidos Podemos, innanzitutto, ed è emerso chiaramente ieri, è anti fascista. La memoria storica in Spagna è ancora vicina, il franchismo è caduto solo quarant’anni fa.

Dire «fascismo» in Spagna è quindi qualcosa di «mostruoso» che ancora oggi viene percepito come differenza politica fondamentale rispetto ad altri partiti. E sulle politiche dell’accoglienza la differenza, ad esempio con i Cinque stelle, è lampante: ieri tutti i discorsi hanno sottolineato la necessità di rendere tutti i migranti cittadini con pari diritti come gli spagnoli.

Ma Iglesias si è spinto ancora più in là con un intervento che oggi tutti i quotidiani spagnoli sottolineano per la sua forza ideologica. Iglesias ha provato a collegare Unidos Podemos alla storia spagnola «di cui siamo orgogliosi». Fin dai tempi della resistenza a Napoleone, per arrivare a quella anti franchista. In questo senso Iglesias ha reso popolari e comprensibili a tutti i tre significanti vuoti di Laclau: «patria, ordine e legge».

Sono concetti complicati per la sinistra, ma non in Spagna. Perché Unidos Podemos li ha riempiti di significati su cui ha finito per giocare tutta la sua comunicazione. C’era uno striscione esemplificativo ieri a Madrid: «La patria es la gente».

Non si tratta quindi di minimizzare, di semplificare, anzi: è il contrario. Unidos Podemos ha caricato di significato parole che in Spagna sono sentite, percepite, comprendendo che per arrivare al potere bisogna parlare a tutti, sottolineando le proprie radici: popolari, socialiste, libertarie, anti franchiste.

Il tutto appoggiato su un partito organizzato, disciplinato, capace di gestire più livelli di comunicazione e creare un’attenzione su cui poi riversare tutto il peso ideologico di politiche di sinistra.

Iglesias ha ricordato come l’unico voto utile del 26J sia quello di Unidos Podemos, ha nuovamente ricordato al partito socialista la volontà di formare un governo che sia davvero del cambio e ha esaltato il pubblico quando ha ricordato il 15M – il giorno degli indignados – come un potenziale giorno di festa nazionale.

Sta qui forse il segreto: rileggere la storia spagnola sotto un altro punto di vista, capace di creare quell’attivazione emozionale che oggi porta Unidos Podemos a costituire un esempio di «sinistra» vera e maggioritaria. E lo scarto con altre forze considerate populiste e anti sistema è evidente e lampante.

E se non fosse sufficiente basti la frase finale di Allende con cui Iglesias ha chiuso il suo intervento: «la historia es nuestra y la hacen los pueblos».

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