Museo in Trastevere. ’77, un album di festa e di lotta

Mostre. Al museo in Trastevere di Roma, le foto di Tano D’Amico e i disegni di Pablo Echaurren per raccontare gli anni dei movimenti antagonisti

Il sorriso spontaneo dei ragazzi e la loro rabbia, gli abiti a fiori svolazzanti delle donne e il sangue, la gioia e il dolore, la voglia di creatività e gli scudi dei poliziotti, e poi il bianco e il nero, la fotografia e la pittura. È tutta giocata sul contrasto la narrazione per immagini di Tano D’Amico e Pablo Echaurren, un racconto fatto di scatti fotografici e disegni che testimoniano quello che fu il ’77, un movimento spontaneo nato dalla voglia di rivoluzionare la politica e la vita in maniera dirompente e quasi imbarazzante. Stavolta la storia provano a raccontarla soprattutto i volti degli studenti, gli sguardi delle ragazze e le risate rapite dalle fotografie che per tanto, troppo tempo, sono rimaste nascoste ai più.

I MOMENTI DI FESTA accostati agli scontri di piazza ci guidano nel percorso espositivo allestito negli spazi del Museo di Roma in Trastevere: ’77 una storia di 40 anni fa nei lavori di Tano D’Amico e Pablo Echaurren (promossa da Roma Capitale e organizzata dal Centro Sperimentale di Fotografia Adams, a cura di Gabriele Agostini, fino al 14 gennaio). E sembra quasi si sentirli cantare gli «indiani metropolitani» mentre camminano per strada, o urlare durante la cacciata di Luciano Lama dalla Sapienza in quegli scatti in bianco e nero che appaiono interessati non tanto ai fatti ma alle ragioni che li hanno causati, come accade in tutte le foto di Tano D’amico. Anarchico da un certo punto di vista, slegato dalle regole, come Echaurren, amante della contaminazione tra le arti e insofferente alle gerarchie.

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Foto di Tano D’amico

«Basta una sola bella immagine – scrive D’Amico nell’ottimo libro che completa e arricchisce la mostra, Il piombo e le rose – Utopia e creatività del movimento (Postcart) -. Per una bella immagine ci vuole la tensione di una intera vita. Ci vuole un amore sconfinato. Ci vuole anche studio. I movimenti sono fatti da questi elementi. I movimenti hanno sempre vinto nella memoria. I movimenti hanno sempre prodotto le immagini più belle. Le immagini più belle hanno sempre prodotto nuovi movimenti. I movimenti sono figli delle più belle immagini del passato».

E PABLO ECHAURREN aggiunge: «Rispetto al ’68 il ’77 fu il rumore contro lo spartito, Franti contro Garrone, Godere invece che Potere, Dromedario al posto di Operaio, Felce e Mirtillo vs Falce e Martello. Affermare di voler instaurare la follia come forma superiore di conoscenza significava tagliare i ponti con la dittatura della struttura organizzativa classica, rifiutare ogni delega, ogni rappresentanza, ogni militanza. Ciascuno scriveva, poetava, lottava, contestava, si stampava un proprio giornale, si univa e si scioglieva a seconda dell’umore».

Proprio il rapporto fra arte, politica e ideologia attraversa tutta la mostra, che si focalizza sull’uso delle strategie artistiche delle avanguardie del ’900 da parte dei movimenti antagonisti del ’77. Resta da chiedersi cosa resta oggi di quel movimento che provò a sovvertire collettivamente la società e la cui storia non solo fu incompresa e travisata, ma aspetta ancora oggi di essere raccontata e scritta.

FONTE: Francesca De Sanctis, IL MANIFESTO

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