Val Susa. La questione della ripartizione dei costi rimane anche dopo aver appurato ufficialmente, tramite un documento governativo, che tutte le previsioni di traffico erano errate e fuori scala
Appurato ufficialmente con le parole di un documento governativo che tutte le previsioni di traffico prodotte nella trentennale odissea del Tav in Val Susa erano errate e fuori scala, rimane il problema, denunciato fin dal 2013 dai tecnici Notav, della ripartizione dei costi inerenti il maxi tunnel di base. Gli stessi tecnici, accademici, che hanno sempre sostenuto che i calcoli governativi sul traffico erano insostenibili, e mai sono stati creduti fino alla capitolazione governativa di qualche settimana fa.
L’appello pubblicato su queste pagine il 23 febbraio affrontava in un passaggio il problema della ripartizione dei costi: «assumendosi, (l’Italia, ndr) in maniera del tutto irrazionale, l’onere del 58% delle relative spese benché esso insista sul territorio italiano solo per il 21%». Tale suddivisione dei costi «del tutto irrazionale» è probabilmente apprezzata oltralpe, dato che nel dossier francese di Inchiesta pubblica del 2006, preliminare alla Dichiarazione di Utilità pubblica del tunnel, è possibile leggere questa frase che spiega i termini dell’accordo: «L’operazione è positiva per la Francia a causa dell’assunzione della maggior parte dell’investimento da parte dell’Italia». Gli italiani sono generosi, si sa.
I tecnici del PresidioEuropa, anch’essi in passato bollati come «sedicenti», sostengono: «Il costo di questo tunnel di 57,2 km, accettato dal Ministero delle Infrastrutture italiano e riportato a pagina 9 della Delibera CIPE n. 67/2017, è di 9,6 miliardi, mentre i due soci, al netto del contributo a fondo perduto dell’Unione Europea di 3,4 miliardi, devono così contribuire: Italia € 3,6 miliardi ossia € 293,5 milioni al km, Francia € 2,6 miliardi, ossia € 57,9 milioni al km, costo al km inferiore di 5 volte».
E avanzano la proposta: «Rimediare a questa assurda asimmetria sarebbe facile: Italia e Francia sottoscrivono un altro accordo per la Torino-Lione per stabilire la nuova ripartizione dell’investimento in base ai km di proprietà. La Francia dovrebbe aumentare la sua quota di 2,3 miliardi, quasi raddoppiando il suo contributo da 2,6 a 4,9 miliardi di euro.
L’Italia così ridurrebbe la sua quota dello stesso importo». Questo risultato creerebbe una situazione talmente insostenibile per le casse della Francia, da farle abbandonare il progetto, dato che porterebbe altre munizioni al presidente Macron che nel suo mirino, da tempo, ha già posizionato il tunnel di base della Torino – Lione. Al momento questa suddivisione «del tutto irrazionale» su un progetto che ha visto collassare le sue motivazioni trasportistiche, non è ancora oggetto di approfondimento.
Sono invece state esposte mercoledì scorso al Commissario straordinario del governo per la Torino – Lione, Paolo Foietta, le ragioni per cui la grande opera Tav si deve ancora fare. Ecco il punto dirimente che soggiace le ragioni di questa scelta: «Dal 1997 ad oggi la quota di traffico merci che utilizza l’autostrada tra Italia e Francia è passata dal 77% al 90%, con un forte impatto sull’ambiente lungo l’arco alpino dove attualmente circolano 42,5 milioni di tonnellate di merci, con quasi 2 milioni e 800 mila tir». Quindi, par di capire, il Tav deve essere realizzato perché ci sono troppi camion. Si passa quindi dagli esorbitanti flussi merce, inesistenti, a ragioni ambientali ecologiche. Componente quella ecologista per altro sempre presente, ma meno propagandata rispetto la «saturazione dell’infrastruttura storica»: linea ferroviaria per altro ammodernata nel 2011 sul tratto italiano, con un investimento pari a 107 milioni di euro.
Ma torniamo alla giusta considerazione che i tir inquinano e ce ne sono troppi sulle strade. Nel luglio del 2011, quando in val Susa esplodevano moti di piazza, iniziarono dal lato francese i lavori di scavo della seconda canna del tunnel autostradale del Frejus, per ottemperare alle direttive comunitarie delle gallerie inserite nella rete Ten-T.
Originariamente per motivi di sicurezza, poi per motivi commerciali. La seconda canna, lunga 12,848 km entrerà in esercizio nel 2019, rendendo così il traforo del Frejus la più lunga galleria europea a doppia canna. Un investimento importante, che ovviamente stimolerà il traffico su gomma anziché a frenarlo: i costi sostenuti sino ad ora ammontano a 127,3 milioni di euro per la parte italiana.
È questa una della tante bizzarrie che hanno fomentato l’opposizione non solo alla grande opera, ma allo Stato, percepito come un avversario di cui dubitare: raddoppiare i tunnel autostradali quando si vuole diminuire il traffico merci su gomma. Una scelta coerente, facilmente comprensibile da tutti.
FONTE: Maurizio Pagliassotti, IL MANIFESTO
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