Lettera a Barbara Azzaroni

tra l’odore acre dei lacrimogeni, come se non fossero trascorsi venticinque anni, il corpo di Francesco che scivola lontano lungo via Mascarella, proprio come quello di Carlo Giuliani

Bologna, febbraio 2002

 

Ti ho cercata. Con lo sguardo ho scrutato nella folla tra il buio della

sala, la gola arsa dal fumo delle troppe sigarette, sperando d’intravedere

il tuo corpo minuto o i ricci impertinenti dei tuoi capelli. Invano.

Sono sicuro che non càeri, chissà  perché? Avevi di meglio da fare?

Peccato, hai perso una buona occasione: una serata interessante sai,

sullo schermo, in un silenzio intenso, parlavano di noi, sì, hai capito bene,

proprio di noi. Per la verità  il pretesto era radio Alice, la ricordi

vero?,

ma era il nostro cuore che narrava d’amore e desideri, di paure e

angosce

tra l’odore acre dei lacrimogeni, come se non fossero trascorsi

venticinque

anni, il corpo di Francesco che scivola lontano lungo via Mascarella,

proprio come quello di Carlo Giuliani a Genova, nel luglio scorso. A

proposito, l’hai saputo? Ma certo, tu eri sempre attenta, informata

sulle “cose” del mondo e non avrai perso l’abitudine.

Sono sicuro, avresti sorriso, nonostante tutto. Sulla parete i volti e

le parole di persone amiche. Volti imbolsiti dagli anni, le mani

raggrinzite

che si agitano per spiegare, per cercare di far capire. Quei volti,

quelle mani sono lo specchio della nostra vita. Memoria per le future

generazioni,

si dice così, anche se non è molto chiaro: ogni uomo e donna è infatti

prigioniero del proprio tempo e condannato a consumare un proprio

percorso,

errori inclusi. Ma non ti voglio annoiare e poi tu non càeri.

Sì, certo, hai ragione, eravate in molti a mancare, ma non credere che

questo ti giustifichi. Ormai faccio confusione, i volti si accavallano

alla rinfusa, e i nomi non li ricordo con precisione, è un difetto ma a volte

può essere utile? non ho visto Maurizio che ha deciso un bel giorno di non

scrivere più poesie e si è addormentato con i barbiturici su a San Luca,

e Chiara, chissà  poi se si chiamava così, che decise di aspettare il treno

sdraiata sui binari della stazione di San Ruffillo, o Rigobello che in

un giorno di permesso dalla fabbrica incontrò un proiettile all’uscita di

una banca dalle parti di Marco Polo, dopo averla rapinata, e poi tanti altri

di cui ho perso ogni traccia. Cosa?? mi chiedi se ho pianto? No, non ho

pianto

e non è che ne vada fiero. D’altronde non sono riuscito a piangere

neppure

al tuo funerale o quando ti ho vista al tigì riversa a terra in quello

squallido bar, coperta da un panno, gli stivaletti esposti al tuo

fianco,

chissà  perché ti hanno tolto le scarpe? Ovviamente non ha nessuna

importanza, ma vedi che stupidi particolari rimangono impressi nella

mente

umana? E così sei ritornata a Bologna nella tua casa in San Vitale e

dopo ti abbiamo accompagnata senza un grido perché non càera nulla da dire,

ciascuno

con il proprio lamento, verso un dove che neppure noi conosciamo.

Non càeri e non conosco la ragione. Forse, azzardo, perché rappresenti,

tuo

malgrado, la perdita della nostra innocenza, l’altra faccia di un

medesimo

volto che ogni uomo trascina con fatica dentro di sé: colpevole,

colpevole,

urla la Storia dei vincitori e non è facile guadagnarsi un posto nel

“viale dei Giusti”, come tu ben sai.

Barbara, scusami se dopo tanto tempo ti disturbo ma mi sei mancata e

volevo dirtelo

 

Baci

Moreno

 

P.S.: quando l’incontri, lassù in paradiso, salutami Alice.

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